Shakespeare’s Narrative Sources: Italian Novellas and Their European Dissemination

1525 – Novella XXXIII – Modernised

IL NOVELLINO DI MASUCCIO SALERNITANO NEL QUALE SI CONTENGONO CENQUANTA NOVELLE.

Al nobilissimo et invittissimo Principe Giovanni Battista Boiardo conte di Scandiano degnissimo.

Sebastiano Corrado. S.&F.P.



Veggiamo ai tempi nostri Signore sapientissimo esser surta una dannevole usanza de non solo gli storici, poeti, et oratori laziali evolgere, ma eziandio nei volgari scrittori, in quelli massimamente, la lezione de’ quali risolta non poca utilità, ogni studio e fatica porre, fra i quali, secondo me exporge il mio basso ingegno, non solo è da noverare il facetissimo Novellino de Masuccio Salernitano, ma da esser non dilungo ai vernacoli etruschi, ovver’ fiorentini famosissimi novellanti e poeti apposto. Di frutto certamente non mediocre e ai frequentanti di esso il stillo giocondo, et le ammaestrevole novelle, ne quale se possano di sta vita i vari casi leggendo conoscere, che nelle caliginose tenebre de’ nostri occhi porgano risplendente luce. Imperoché conosciuta l’altrui (come se dice) mattezza, facile è da simili errori schifarsi. Non ignaro adunque io la eccellenza vostra non poco di tali opere dilettarsi, anzi da quelli progenitori esser devenuti i quali de’ volgar lingua ornatissimi autori sanza controversia chiamar si possano, et de’ quali il militante nome, si per questa una cagione efficace, si per le altre egregie, et innumerabili virtù dei Boiardi  peculiare, oltra il nobilissimo sangue, ornamento, già gli italici confini è trapassato. Mi è parsa cosa convenevole, anzi necessaria, et de obbligazione, essendomi vostra signoria patrona, il sopradetto libro sotto il scudo et nome di vostra signoria pubblicare acciocché veggiando i lettori de più cose studiosi, essa opa  nel capo portare l’elmo de quel nome dei Boiardi, qual nessuno, o pochi sono che per fama non conoscano esser de muse italiche così volgari como latine, quasi unico presidio e speme, avidamente nelle mani pigliano il nostro Salernitano, il qual, insieme con la nostra osservanzia dedicati ad essa, Vostra Signoria legga et conosca, et non si sdegni alle volte quando avrà occhio per nostro amore leggere questo libretto, et se ’l dono non è tale quale meriterebbe, risguardi non tanto il dono, quanto lo animo del donante.          

VALE.



DEL NOVELLINO DI MASUCCIO SALERNITANO

PRIMA PARTE.

Come che io manifestamente comprenda e per indubitato tenga, inclita et eccelsa madonna, che al suono della mia bassa e rozza lira non si convenga di libro comporre, nemmeno di proprio nome intitolarlo, et che più di temerità degnamente sarò ripreso che d’alcuna eloquenza ne molto ne poco commendato. Nondimeno, avendo dalla mia tenera età faticato per esercizio del mio grosso et basso ingegno, et della pigra et rozza mano iscritte alcune novelle per autentiche istorie approvate nei moderni et antichi tempi intervenute, et quelle a diverse degnissime persone mandate, si come chiaro nei loro titoli si dimostra, per tal cagione ho voluto quelle che eran già disperse congregare, et di esse insieme unite fabbricare il presente libretto et quello per la sua poca qualità nominare Il Novellino. Et a te solo presidio & lume della nostra italica regione intitolare et mandare, a tale che tu con la facondia del tuo ornatissimo idioma, et eccellenzia del tuo peregrino ingegno, polendo le molte ruggini che in esso sono et tollendo  et resecando le sue superfluità, nella tua sublime et gloriosa biblioteca lo vi possi aggregare. Et quantunque molte ragioni da quello mi avessero quasi ritratto, et persuasomi di non entrare a tal lavoro, pur nuovamente occorrendomi un volgare esempio, il quale non sono già molti anni passati che da dovero intervenne alla nostra salernitana città, a ciò seguire mi ha confortato et spronato, et quello prima che più oltre vada, di raccontare intendo.

Dico adunque che nel tempo della felice et illustre ricordazione della Reina Margherita fu in questa nostra città, uno ricchissimo mercatante genovese di gran traffico, et conosciuto per tutta Italia, il cui nome fu messere Guardo Salusgio, di assai orrevole famiglia nella sua città, costui adunque spaziando un dì davanti al suo banco posto in una strada, chiamata la drapperia, ove erano di molti altri banchi et botteghe di argentieri, et sartori. Et in quello spaziare gli venne veduto dinanzi ai piedi di uno povero sarto un ducato veneziano, il quale come che lutulento et pesto molto fosse, nondimeno il gran mercatante come molto famigliare di quella stampa incontinente il conobbe, et sanza indugio inchinatosi ridendo disse: “per mia fede ecco uno ducato!” Lo misero sarto che ripezzava un giuppone per avere del pane, come ciò vide, vinto di velenosa invidia, et per la strema povertà, da rabbia con dolore si rivoltò verso il cielo con le pugna serrate et turbato molto, maledicendo la giustizia con la potenzia insieme de Iddio, aggiungendo ben si dire: “oro ad oro corre, et la mala sorte dagli miseri non si move giammai, ma io dolente tutto ’l di oggi mi ho faticato, ne ho guadagnato cinque tornesi non trovo se non sassi che mi rompono li calzari, et costui ch’è signore d’un tesoro ha trovato uno ducato doro dinanzi li piedi miei, che ne ha quello bisogno che hanno gli morti dell’incenso!”

El prudente et savio mercatante, che avea fra questo mezzo dall’argentiere che li stava di rimpetto con foco et altri argomenti fatto ritornare il ducato alla pristina bellezza, con piacevole viso si rivoltò al povero sarto, et gli disse: “buon’uomo, tu hai torto rammaricarti di dio, per cagione che lui ha giustamente operato farmi trovar questo ducato, impero che si fosse recapitato in tue mani lo avresti alienato da te, et se pure lo avessi tenuto l’avresti in qualche vili strati posto, et solo, et a non proprio luogo lasciato stare, di che a me avverrà tutto il contrario, perché io lo porrò con suoi pari, e in una grande et bella compagnia.” Et ciò detto, si rivolse al suo banco et gittollo alla summità di molte migliaia di fiorini, che in quello erano.

Dunque, avendo come di sopra ho già detto, delle disperse nouvelle composto il molto pesto et lutulento libretto, per tutte le già dette ragioni ho voluto a te, dignissima argentera, et per ottima conoscitrice di questa stampa mandarlo, acciocché con i tuoi facilissimi argomenti lo possi rebellire, et quello divenuto bello, tra li tuoi ornati et elegantissimi libri abbia qualche minimo luogo, il quale alla loro decorazione ne aggiungerà un’altra maggiore, perché, come vole il filosofo, le cose opposite insieme congiunte con maggiore luce si distingue la loro disuguaglianza, et oltra a ciò ti supplico che quando ti sarà conceduto alcun’ occhio lo legger di dette mie novelle non ti sia molesto però che in esse troverai di molte facezie, et giocose piacevolezze che continuo nuovo piacere porger te saranno cagione. Et se per avventura tra gli ascoltanti fosse alcuno pinzocaro seguace de finti religiosi della scelerata vita, et nefandi vizi di quali io intendo nelle prime dieci novelle alcuna cosellina trattarne, che mordendo mi volesse lacerare et dire ch’io come maledico et con velenosa lingua ho detto male di servi d’iddio; ti piaccia per quello dal cominciato camino non desistere, però che sopra tale lite solo prego la verità ch’al bisogno l’arme prenda in mia difesa, et rendami testimonio che ciò non procede per dir male d'altrui né per veruno odio privato o particolare che io con tal gente m’abbia. Anzi per non tacere il vero ho voluto ad alcuno gran prence et ad altri miei singolari amici dare notizia de certi moderni et d’altri non molto antichi avvenuti casi per li quali se potrà comprendere con quanti diversi modi et viziose arti per addietro gli sciocchi ovvero non molto prudenti secolari sieno da falsi religiosi stati ingannati a tale che li presenti faccia accorti, et li futuri sieno provisti, che da sì vile et corrotta generazione non si facciano per innanzi sotto fede di finta bontà avviluppare, et oltre ciò conoscendo io li religiosi assai bone persone, me pare di necessita essere costretto in alcune cosa imitare li costumi loro, et massimamente che la maggior parte di essi, come hanno la cappa addosso, pare che loro sia permesso et in secreto et in pubblico dire male de’ secolari, aggiungendo che tutti siamo dannati, et altre bestiaggini da esserne lapidati; et se forse opporre volessero che predicando rimordeno gli difetti di cattivi, a questo facilmente rispondo, che iscriuendo non parlo contra la virtù de buoni, et così sanza inganno o vantaggio trappassaremo et da pari morsi saremo tutti trafitti. Dunque, andando dietro alle loro orme, et con verità iscrivendo le scelleraggini et guasta vita d’alcun di loro, niuno se ’l deve a noia recare. Nondimeno, se a coloro che hanno le orecchie ammassate di santa pasta, che non possono de religiosi udir male, ottimo et solo rimedio mi pare che a detta infirmità sia, sanza leggere o ascoltare dette mie novelle, andarsene con dio, et seguendo la pratica de frati ogni dì la conosceranno più fruttuosa all’anima et al corpo, li quali essendo abundanti d’ogni carità di continuo la comunicano con le loro brigate. Et tu valorosa et formosissima madonna, con la costumata umanità leggendo, tra le molte spine trovarai alcun fioretto, lo quale ti sarà cagione tal volta di farti ricordare del tuo minimo servo et ossequiosissimo Masuccio, il quale di continuo ti si raccomanda et gli dii priega per lo augumento dello stato tuo felice et fecondo. 



MASUCCIO.

Finito il breve et inetto esordio, alla nominata tua serenità drizzato, seguirò appresso le mie già promesse novelle, ovvero istorie, delle quai nelle prime dieci, come già è detto, si conteranno alcune detestande operazioni di certi religiosi, tra le quai vi ne sono non solo da generare ammirazione, ma intrinseco dolore agli ascoltanti, et alcune non sanza piacevole risa & festa saranno da trapassare. Et fra le altre la prima allo invitto et potentissimo Re nostro signore intitolata, la quale finita, d’altre materie, et piacevoli et morali, et alcune pietose et lagrimevoli intendo raccontare, si come nel seguente ordine continuando si contiene.





[PARTE III

NOVELLA XXXIII]



Argomento.

Mariotto Sannese innamorato di Giannozza come micidiale si fugge in Alessandria, Giannoza si finge morta, et da sepoltura tolta, va a trovare l’amante, dal quale sentita la sua morte per morire anco ei ritorna a Siena, et conosciuto è preso et tagliatogli la testa. La donna no ’l trova in Alessandria, ritorna a Siena, et trova l’amante decollato, et ella sopra ’l suo corpo per dolore se more.

Allo illustrissimo signore duca de Malfi.

Novella xxxiii.

Esordio:

Quanto sono più avversi et infelici li variati casi d’amore, tanto più appassionati et suavi amanti se dee de quelli scrivendo dare notizia. Et perché ha gran tempo che ho conosciuto te illustrissimo mio Signor, non solo negli amorosi lacciuoli avvolto, ma saviamente amando prudentissimo, mi è già piaciuto de uno pietosissimo accidente de dui miseri innamorati donarti pieno avviso, acciocché con la tua accostumata prudenza et accumulatissime virtù doni giusta al tuo parere sentenza quali de essi, ogni loro effetto considerato, più ferventemente amasse.

 

Narrazione.

 

In questi dì da un tuo senese di autorità non picciola fu tra certe leggiadre madonne raccontato che non è già gran tempo che in Siena fu un giovane de bona famiglia, costumato et bello, Mariotto Mignanelli nominato, il quale essendo fieramente innamorato d’una leggiadra giovanetta, chiamata Giannoza, figliola d’un notabile et molto stimato cittadino, et forse di casa saraceni, in presso di tempo ottenne d’essere da lei altresì ardentissimamente amato.

            Et avendo più tempi pasciuti gli occhi de li soavi fiori d’amore, desiderandosi per ciascuno gustare gli suoi dolcissimi frutti, et cercate più et diverse vie et niuna cauta trovandone, la giovane, che non era meno prudente che bella, deliberò occultamente prenderlo per marito, a tale che se contrarietà de fatti il godere loro fosse interdetto, avessero avuto scuto da coprir il commesso errore.

           Et per dare al fatto con opera compimento, corrotto per danari un frate augustinese mezzo, del quale occultamente contrasse detto matrimonio, et appresso da sì fatta colorata cagione pigliatase certa con non meno piacere de l’uno che dell’altro, interamente adimpìro loro bramose voglie. E avendo de tal furtivo et licito in parte amore, alquanto con felicità goduto, avvenne che loro prava et inimica fortuna per contrario tutti gli loro et presenti et aspettati desideri rivolse.

            Et ciò fu che Mariotto un dì venendo a parole con uno altro orrevole cittadino, et da parole a fatti in tanto andò la cosa che Mariotto ferì colui d’uno bastone in testa, della quale ferita fra brevi dì se morì. Pel quale Mariotto occultatose et dalla corte con diligenza cercato, et non trovatosi, dal signore et dal potestà non solo fu a perpetuo esilio condannato ma gli fu dato bando di rubello.

           Quanto et quale fosse de dui infelicissimi amanti occulti novelli sposi il supremo dolore, et lo amaro lagrimare per sì lunga et per loro creder perpetua separazione, chi fosse da sì fatte punture stato trafitto solo ne porà vero giudizio donare. Egli fu sì fier et acerbo, che all’ultima dipartenza più volte l’uno in braccio dell’altro fu per gran spazio per morto giudicato. Pur dando alcuno loco al dolore, sperando col tempo per alcuno possibile accidente lo repatriare gli sarìa concesso, de pari volere deliberò non che da Toscana, ma de Italia se absentare, et in Alessandria andarsene, ove un suo zio avea, chiamato ser Nicolò Mignianelli, uomo de gran traffico et molto conosciuto mercatante. Et con assai moderati ordini come se avessero in tanta distanza con lettere possuti visitare, con infinite lagrime la innamorata coppia se divise.

             El misero Mariotto partito, et d’ogni suo secreto un suo fratello fatto consapevole, sopra ogni altra cosa caramente il pregò che d’ogni accidente della sua Giannozza particulare e continovo il facesse avvisato, et con li dati ordini intrato in cammino verso Alessandria se avviò, ove a convenevole tempo giunto et trovato el barba, et da lui lieto et amorevolmente recevuto, d’ogni suo passato affare il fe’ capace, el quale come a prudentissimo con ricrescimento ascoltando non tanto el caso del commesso micidio, quanto del avere a tanto parentato offeso, et conoscendo che ’l reprendere de le cose passate poco più che nulla giovava, se ingegnò con lui insieme darsene pace, et pensar col tempo d’alcuno opportuno rimedio provvedere. Et postogli de suoi traffichi tra le mani, più et più tempi appresso di sé con gran passione, e quasi continovo lagrimare il sostenne, perché non era veruno mese che con più lettere non fosse, et dalla sua Giannozza e dal fratello visitato, el che a si fiero caso et in tanta absenzia era a ciascuna delle parte mirabile satisfazione.

              Et in tali termini stando la cosa, avvenne che essendo el padre de Giannozza da molti molto rechiesto, et infestato de maritarla, et con diverse colorate cagioni niuna accettandone, alla fine essendo dal padre astretta a pigliare marito tale che ’l negare non averia avuto luogo, era da sì fiera battaglia la sua afflitta mente de continovo inquietata, et in maniera che la morte più che tale vivere le seria stata carissima, et oltre ciò avendo ogni speranza del ritornare del suo caro et occulto marito trovata vana, et che ’l palesare al padre la verità del fatto nulla arìa giovato, anzi de maggiore sdegno gli sarìa stato cagione, propose con un modo non che strano ma pericoloso et crudele et forsi mai udito raccontare, ponendo l’onore et la vita in periglio, a tanti mancamenti sodisfare e d’animosità grande aitata, avendo al padre resposto contentarse d’ogni suo piacere, subito mandò per il religioso primo tramatore del fatto, al quale con gran cautela discoperto ciò che de fare intendeva, el rechiese che del suo aiuto le fosse favorevole.

            El quale, ciò sentito come et già de loro costumi alquanto ammirato, timido et lento mostrandosi, ella con la virtù e incantesimo de messer San Giovanni Boccadoro il fe’ ardito et gagliardo devenire a volere con virilità l’impresa seguir. Et per la pressa che gli cacciava, el frate andò prestissimo et egli stesso come ad esperto nel mestero compose una certa acqua con certa composizione de diverse polvere, terminata in maniera che bevuta la arebbe non solo per tre dì fatta dormire, ma de essere da ciascuno per vera morta giudicata.

              Et alla donna mandata, la quale avendo primo per uno corriere a posta il suo Mariotto, de quanto fare intendeva, pienamente informato, et dal frate l’ordene de ciò se aveva da fare inteso, con gran piacere quella acqua se bee, et non dopo molto spazio gli venne un stupore sì grande che per morta cascò in terra, de che le sue fante con grandissimi gridi fero il vecchio padre con altre assai brigate al rumore correre, et trovata la sua unica et da lui tanto amata figliuola già morta, con dolore mai simile gustato, fatti venire prestissimo medici con ogni argomento da revocarla in vita, e niuno valendoli, fu da tutti tenuto per fermo ella dalla giozza sopravenutali fusse morta.

             Tutto ’l dì et la seguente notte in casa con diligenza guardatala, et niuno segno se non de morta conoscendo, et con infinito dolore dell’afflitto padre pianti et rammarichi de parenti, et de amici et generalmente de tutti senesi, con pompose esequie in uno onorevole sepulcro in santo Augustino fu il dì seguente sepolta.

              La quale in su la mezzanotte fu dal venerabile frate con l’aiuto d’un suo compagno secondo il preso ordine dalla sepoltura tratta, et alla sua camera condotta, et appressandose già l’ora che ’l terminato beveraggio avea il suo corso consumato, con foco et altri necessarii provedimenti con grandissima difficultà in vita la redussero. Et nel pristino sentimento retornata, ivi a pochi dì travestita in frate con lo buono religioso a Porto Pisano se condussero, dove le galee d’acqua morta in Alessandria passando doveano già tocar e trovato detto passaggio in ordine in quelle imbarcaro’. E perché gli marittimi viaggi sogliono essere o per contrarietà di tempi, o per nove occorrenzie de mercatanzie molto più lunghi, che non vorrebbono gli vianti, avvenne che le galee per diverse cagione oltre il devuto termine più mesi stettero ad armare.

            Gargano, fratello de Mariotto, per continuare l’ordine dal caro fratello, lasciato subito con più et diverse lettere de mercatanti, con ricrescimento grandissimo avea il disaventurato Mariotto della improvista morte della sua Giannozza particularmente informato, et dove et come era stata pianta, et seppellita, et come non dopo molto il vecchio e amorevole padre per gran dolore era da questa vita passato. A quali avvisi essendo la avversa et noiosa fortuna assai più favorevole che al messo della dolente Giannozza non fu, e forsi per avere agli predetti amanti l’acerba et sanguinosa morte che li sopragionse, apparecchiata, per modo tale che ’l messo de Giannozza fu su una caravella che con frumento in Alessandria andava, preso da corsali et morto.

             De che Mariotto non avendo altro avviso che quello per suo fratello, et per certissimo tenendolo, quanto de tale acerbissima nova fusse et con ragione dolente et afflitto, pensalo lectore se pietà alcuna in te regna, el suo cordoglio fu de tale qualità et natura che de non stare più in vita de tutto se dispose, al quale né persuasioni, né conforti del suo caro barba valendoli, doppo il suo lungo et amaro pianto de ritornarse a Siena per ultimo partito già prese, a tale che se la fortuna in alcuno atto gli fosse stata benivola a non fare el suo ritorno sentire et porre travestito a pie’ del sepolcro, dove egli credea la sua Giannozza essere sepolta, et quivi tanto piangere che se avessero li suoi giorni terminati et se per disgrazia fosse stato conosciuto, giocondissimo reputava lo essere per micidiale giustiziato, pensando essere già morta colei che più che sé medesimo amava et da lei era stato ugualmente amato.

             Et in tale consiglio firmatose, aspettando lo partire delle galee di veneziani per ponente sanza alcuna parola al socio dirne, in quelle saliro’ con grandissimo piacere correndo alla predestinata morte. In brevissimo tempo arrivò in Napoli, et da quindi per terra in Toscana condottose quanto più presto poté travestito in peregrino a Siena da niuno cognosciuto se ne entrò, et a uno non molto frequentato ospitale reparatose, et sanza dare di sé alle sue brigate alcuna notizia, a convenevole ore se ne andava alla chiesa dove la sua Giannozza fu sepolta. Et dinanzi al suo sepulcro amaramente piangeva et volentieri se avesse possuto sarìa dentro la sepoltura intrato, a tale che con quello delicatissimo corpo che vivendo non gli era stato concesso lo godere, morendo lo avesse col suo eternalmente accompagnato, et a quello mandare a effetto erano firmi tutti suoi pensieri. Et non restando de esser al solito dolerse e lagrimare continovo, avuti per cauta via certi ferri, et una sera al vespro occultatose dentro la chiesa, la venente notte tanto se affaticò che avea il coperchio della sepoltura sotto pontelle posto, et stando per entrare avvenne che ’l sacristano andando per sonare a mattutino, sentì certo rumore, e andato a cercare quello che fusse, trovò costui a detto esercizio occupato, perché credendolo ladro che i corpi morti volesse dispogliare, gridando forte “al ladro, al ladro!” tutti gli frati vi corsero, et presolo et aperte le porte, et molti e diversi secolari intrativi, et trovato il misero amante, il quale ancora che tra vilissimi strati fosse avvolto, fu subito conosciuto essere Mariotto Mignanelli, et quivi detenuto prima che giorno fusse ne fu tutta Siena repiena. Et pervenuta la nova alla signoria, comandorno al podestà che per lui andasse, et presto ne facesse quello che le leggi et le loro costituzioni comandavano.

             Et cusì preso et ligato fu menato al palagio del podestà, al quale dato della corda sanza volere molti tormenti recevere confessò puntalmente la cagione de sua desperata venuta, el che ancora che universalmente ogn’uno ne avesse grandissima compassione, et tra le donne amaramente se ne piangesse, giudicando colui essere unico al mondo perfetto amatore, et ciascuna col proprio sangue lo avrebbe ricomparato, nondimeno fu per lo primo dì della giustizia a perdere la testa condannato, et cusì al dato termine sanza posser da amici et da parenti reparare fu mandato ad effetto.

             La infelicissima Giannozza con la guida del detto frate dopo più mesi con molti et diversi travagli gionta in Alessandria in casa de ser Nicolò se condusse, allo quale data conoscenza et dettoli chi era et per quale cagione venuta, e ogn’altro suo passato accidente raccontatoli, fu ad un’ora et de maraviglia et de ricrescimento repieno, et dopo che onorevolmente la ebbe recevuta et fattali come a donna revestire, et al frate dato ultimo commiato, alla disaventurata giovane disse come, et per quale disperazione per la avuta nova el suo Mariotto sanza alcuno fargline sentimento s’era partito, et come per morto egli lo avea pianto, attento che non per altro che per morir era andato.

             Se ’l presente dolore grande de Giannozza passo, et con ragione tutti gli altri et suoi dell’amante per adietro avuti ogni cosa considerata, pensalo chi pensare il sa, et dee però ch’al mio parere ogni parlare ne sarebbe scarso. Revenuta dunque in sé, et col suo novello padre consigliatase, dopo più e diversi ragionamenti de calenti lagrime bagnati, deliberorno ser Nicolò et ella rattissimamente venirsene a Siena, et o morto o vivo che Mariotto trovassero con quelli remedii che da tale istrema necessità erano concessi, al meno al onore de la donna reparare, et racconciati i fatti suoi il meno male che puoté, revestita la donna in uomo, trovato buon passagio, et con prospero vento navigato, in breve tempo alli toscani liti arrivando a Piombino dismontorno, et di quindi occultamente a un podere de ser Nicolò presso Siena se condussero, et di novelle dimandando trovorno il loro Mariotto tre dì avanti essere stato decollato.

             La quale acerbissima nova da loro sentita, quantunque sempre per fermo l’avessero tenuto, nondimeno essendone fatti certissimi, quanto ambedui insieme et ogn’uno da per sé remanesse ismorto et afflitto, la qualità del fiero caso ne sarà giudizio, li pianti de Giannozza erano col forte chiamare oimè si ardenti che un cuore de marmo arìano commosso a pietà. Pur essendo da ser Nicolò de continovo confortata, dopo più savi et pieni de carità consigli deliberorno de a tanta perdita solo all’onore de sì gran parentato provvedere, e fare che occultamente la poveretta giovane dentro un devotissimo monastero se rechiudesse, et quivi avesse li suoi infortunii, la morte del caro amante con la sua miseria insieme, fine che ’l vivere gli fosse concesso, amaramente pianto. Et cusì fu con grandissima cautezza fatto, et mandato a intero effetto, ove essendo sanza dare de sé, se non a l’abbadessa, alcuna notizia, con intenso dolore et sanguinose lagrime, con poco cibo et niente dormire, il suo Mariotto de continuo chiamando in brevissimo tempo finì gli suoi miserrimi giorni.

 

Masuccio.

 

Assai più da passionate donne che da omini virili sarà de tanti avversi casi avuta doppia compassione, et oltra ciò unico e ferventissimo sarà da quelle l’amore de Giannozza, et più che quello de l’amante giudicato. Ma se per avventura se troverà da tale discussione alcuno che saviamente amasse, con vera ragione proverà incomparabilmente essere stato più grande et calente quello del misero Mariotto, per cagione che, posto che la giovane come a donna adoperasse cose maravegliose nell’andare a trovare l’amante, pur commossa dal credere vivo trovarlo et con lui insieme longamente godere, ma il disaventurato amante sentendola morta volse prontissimamente non per altro venire, che per perder la propria vita.

              Ma lasciando ad altri tale pianto, raccontarò appresso un facetissimo caso come un gelosissimo oste ancora che astuto fusse, condusse la moglie con la sua medesima cavalla per cupidità de picciolo guadagno insino alla nave del giovane che l’amava.  



Impresso in Venezia nella officina Gregoriana nell’anno del Signore MDXXV, addì XII di zugno.