Shakespeare’s Narrative Sources: Italian Novellas and Their European Dissemination

1565 – Semidiplomatic

DE GLI HECATOMMITHI DI M. GIOVANBATTISTA GYRALDI CINTHIO NOBILE FERRARESE.

PARTE PRIMA                                                                                                                                                                                        

NEL MONTE REGALE Appreſſo Lionardo Torrentino MDLXV.

D. O. M.

 

HIS IN HECATOMMITHIS MEIS QVIBVS VITIA DAMNARE, VITÆ AC MORIBVS CONSVLERE, SACROSANCTÆ PONTIFICIÆ AVCTORITATI, AC ROMANÆ ECCLESIÆ DIGNITATI HONOREM HABERE STVDVI.

OMNIA PIA, SANCTA, AC PIORVM PATRVM, PONTIFICVMQVE MAXIMORVM SCITIS, ORDINIBVS, DECRETIS, CONSTITVTIONIBVS Q. CONSENTANEA SVNTO.

SI QVID FORTE AB HIS ALIENVM PER IMPRVDENTIAM (QVOD TAMEN MINIME REOR, HOC ENIM MAXIME CAVI) MIHI EXCIDERIT, ID OMNE IRRITVM, CASSVM, INDICTVM, AC INFECTVM PENITVS ESTO.

 

Nos Frater Marcus Cigliarius ordinis Predicatorum à Reuerendo Patre Christophoro Galeano, de Sauigliano, eiuſdem ordinis, & hereticæ prauitatis Inquiſitore in Vice Inquiſitoris officio electi, ac deputati fidem facimus Hecatommithos per Dominum Cinthium Ioannem Baptistam Gyraldū, Philoſophia doctorem, & Nobilem Ferrarienſem, compoſitos, & in duobus volumibus diſiunctos, conſonos eſſe Sanctæ Romanæ Ecclefiæ, & ab Apostolica fide nō abhorrere ideoq. nos illi eorum imprimendorum licentiam præstitiβe, in quorum omnium fidem has nostras manu nostra ſcriptas, nostroq, ſigillo munitas confecimus, easq in ipfis voluminibus imprimi mandauimus. Ex æde Diui Dominici in Monte Regali xvi. Kal. Iulij MDLXV.

Nos Frater Marcus Cigliarius Vice Inquiſitor &c.

Locus ſigilli.

 

Quia Ita eſt, Ego Hieronymus Ferragata Epiſcopus Verrenſis, Et Suffraganeus, & Vicarius generalis Illuſtriſsimi ac Reuerendiſsimi Michaelis Ghislerii Cardi Nalis & Montis Regalis Epiſcopi, his me ſubſcripſi, ſigillumq. meum appoſui.

Locus ſigilli.

 

AL SERENISSIMO ET INVITTISSIMO SIGNORE IL SIGNORE EMMANVELE PHILIBERTO DVCA DI SAVOIA.

La inconstanza della Fortuna, oltre alla indiſpoſitione mia, SERENISSIMO SIGNORE, la quale mi hà apparecchiati uarij, & noioſi trauagli, è ſtata cagione, che io, come per mio diporto, mi ſia ridotto à riuedere que cento ragionamẽti, i quali compoſi nel fiorire de gli anni miei, dando loro tutto quel tempo, che mi auanzaua da graui studi di philoſophia, alli quali io daua opera con ogni diligenza, col lume della quale Philoſophia, fonte & origine de lodeuoli costumi, & di tutte le honeſte diſcipline, & fimilmente di ogni uirtù, cercai di condurre al fine questa mia fatica, dirizzata tutta, con molta uarietà di eſſempi, à biaſimare le uitioſe attioni, & à lodare le honeſte. Accioche fi conoſceſſe quanto ſiano da eſſere fuggiti i uitii, & con quāto animo ſi debbano abbracciare le virtù, per operar bene, & meritarne laude, & honore in queſta vita, ſperandone nō pure fra mortali eterna gloria, ma celesti premii doppo la morte. Et perciò fù mia intentione, ſopra ogn’altra coſa, di addurre in questa opera auenimenti ſimigliantiβimi al vero, i quali poteſſero portare, con honesto diletto, qualche profitto ad ogni ſorte di perſone. Questi ragionamenti, poi che io fui riceuuto nel collegio de dottori, ſenza impor loro l’ultima mano, furono meβi da me da parte, per eſſermi ſtato dato da Signori miei il carico di esporre, alla giouentù Ferrareſe, nello studio nostro, l’opere di Ariſtotile. Et per eſſere dapoi stato chiamato ad esporre gli auttori di humanità (studio, che contiene in sé la cognitione delle altre ſcienze, inſieme con una feliciſsima purità di ſcriuere, & di ragionare) per uolere dell’ Eccellentiβimo Signore il Signore Donno Hercole ſecondo da Este Duca quarto di Ferrara, et ſignor mio di felice, et honorata memoria. A queſto publico ufficio dell’una, et dell’altra profeβione, da sé molto graue, & faticoſo, ſi aggiūſe il peſo di Segretario, ove ſono ſtato occupato aſiduamente, & nella città, & fuori, per tutto il tēpo che egli uiſſe, et anche alquanti anni da poi, in ſeruigio dell’ Eccellentiβimo Signore Duca Alfonſo ſecondo, ſuo digniſsimo Figliuolo, & ſucceſſore feliciβimo in tutto il dominio del Padre, & de gli Auoli, & Maggiori ſuoi, che per cōtinua ſucceſione di più di cinquecento anni, l’hanno tenuto, et felicemēte conſeruato con molta giuſtitia, et cō ſomma beniuolēza de popoli loro, Ma poſcia che piacque à S. Eccellentia che, ſotto la medeſima prouiſione, la quale ſempre, con magnifica, & liberal mano, mi concedette, mi uiuesſi à me, & alle Muſe. Io, uedutomi auanzar tempo di ripigliare in mano i tralaſciati ragionamenti, per lo spatio di più di trenta anni, ſe non in quanto uoleua l’Eccellentiſsimo Signore mio alcuna uolta udirne qualche parte, mi miſi à rileggergli, più tosto per pigliarne qualche ricreatione, nelle mie graui molestie, che con animo di porgli nel publico, ma quantunque io gli habbia ueduti nati nel campo de miei più uerdi anni, nondimeno, nel rileggergli, ſi mi ſono offerti tali, che nō mi ſono paruti indegni, che uſi loro intorno qualche maggior diligenza in questi canuti, la onde gli hò richiamati (come ſi ſuol dire) ſotto la lima, & ui hò meſſa quella maggior diligenza che mi hanno conceduta i noioſi trauagli dell’animo, & la indiſpoſitione del corpo, accioche, ſe non diueniſſero perfettamēte terſi, & politi, almeno poteſſero comparire men rozzi, & rugginoſi meno. Ora, eſſendo eβi diuiſi in due parti, et hauendo io finalmente deliberato di porgli in luce, hò voluto che la prima parte eſca ſotto il feliciβimo nome di voſtra Altezza, sì perche il ſereniβimo ſplendore di tanta dignità in guiſa illumini l’oſcuro di queſta mia giouanil fatica, ch’ella appreſſo à uoi prima, INVITTISSIMO SIGNORE, poſcia appreſſo à gli altri, ſi rimanga in quel pregio, in che ella, da sé, non rimarrebbe giamai, ſenza il raggio di così chiaro lume. Sì anco per moſtrarmi grato, con quel miglior modo, che mi concede la qualità del baſſo stato mio, alla Altezza vostra, & conoſcitore di quella immenſa, et ineffabil corteſia, colla quale ella, ſenza hauermi pur mai ueduto, di ſua spontanea uolonta , mi hà chiamato, con honorata prouiſione, fra la luce di tanti eccellenti huomini, & nobiliβimi spiriti, che giouando, colle dotte lettioni loro, à Giouani uirtuoſi, ſudditi di vostra Altezza, honorano l’Academia ordinata da lei, ſenza riſpiarmo alcuno di fatica, ò di speſa (come quella, che hà l’animo uie maggiore della gran Signoria, che ella poſſiede) à beneficio de popoli ſuoi, accioche ella, uero eſſempio di ogni virtù, habbia anco ſotto sé gente degna di eβere ſignoreggiata da lei, uero rifugio, &, fra le tempeste di questi noſtri tempi, ſicuriſsimo porto di tutte le uirtù, & di coloro ſimilmēte, che adornaſi di eſſe, con ogni studio, ſi ſono dati. Però che voſtra Altezza, ſi come prudentiſsima ch’ella è, hà veduto che, come inſin da ſuoi primi anni hà fatte, & hà ſeguitato à fare, & farà coſe degne di eterna memoria, così, col mezzo di questa ſua honorata Academia, potranno tutta uia ſorgere, oltre à quelli, che ci ſono, vivaci, & begli ingegni, che, colle ſcritture loro, conſecreranno i glorioſi, & magnanimi ſuoi fatti, così di guerra, come di pace, alla immortalità. Perche non i theſori, non le torri, non le statue, non le altre opere d’incude, ò di martello, ò di altra manuale arte, fanno immortali i magnifici fatti de grandi, & valoroſi Principi (però che il tempo logora coſe tali, &, molte fiate, la ingiurioſa Fortuna, più tosto che non conuerrebbe, le fa cadere à terra inſieme col nome di coloro, all’honore de quali elle erano alzate) ma gli ſtudi, & gli inchiostri de gli huomini  ſcientiati, contra la forza de quali nō puo lunghezza di Tempo, né impeto di Fortuna. Et, ſe ciò non foſſe, ſarebbono ſtati ſommerſi nelle tenebre dell’oblio, & in ſilentio eterno, i nomi di quelli Heroi, i quali ſono ſtati conſeruati chiariſsimi fra gli huomini dalle Historie, dalle Poeſie, & dalle altre compoſitioni de pellegrini ingegni, che, quaſi Cigni canori, poggiando al Cielo, con ſuauiſsimo canto, gli hanno portati honoratiſsimi per tutte le parti del mōdo, con immortal memoria. Quindi chiamò Aleſſandro il Magno fortunato Achille, hauendo egli hauuto Homero, che di lui così altamente ſcriſſe. Et, nel uero, come l’eccellenti, & magne impreſe, danno degna materia à gli ſcrittori di adoperare honoreuolemente lo ingegno, & lo stile, così hanno elle l’anima, et la uita da eſsi, per opera de quali diuengono inſieme, con quelli de gli ſcrittori isteſsi, immortali i nomi di coloro, che fatte le hanno. Alla qual coſa quantunque io mi conoſca poco atto, & ſpetialmente intorno à glorioſi fatti di voſtra Altezza, per eſſere ciò ſoma da altri homeri, che da deboli miei (perche non meno meriterebbe ella hora vn’ Homero, od un Virgilio, che di lei cantaſſe, che lo ſi haueſſe meritato Achille, & Augusto nei tempi antichi) non ſie nondimeno che, con animo gratiβimo, ciò non uoglia, et non deſideri, & non cechi almeno, quando altro io non poſſa, di fare, che non ſolamente questi, che hora uiuono, ma quelli anche, i quali doppo noi uerranno, mi conoſchino ſuo diuoto, & obligato ſeruitore. Et uoglio credere, che occulta uirtù, ò fatale diſpoſitione habbia operato, che come io, ne gli anni adietro, hò ſeruito à gli Eccellentiβimi Signori miei naturali, così hora ſia ſtato chiamato da Vostra Altezza à ſeruirla in queſta ſua felice Academia del Monte Regale. Accioche io, nato della honorata Donna, c’hebbe origine dalla nobile famiglia de Mombelli, ſudditi di vostra Alt. Doppo l’hauer giuato xxxiiij. anni publicamente leggendo alla patria mia, veniβi à giouare anche qui, come cittadino ſuo, à queſti popoli, onde hebbe il naſcimēto chi mi produſſe in uita, & (acquistandomi quaſi un’altra patria) per ſuo ſeruitore mi faceβi conoſcere A.V. Alt. Porgo adunque, SERENISSIMO SIGNOR mio, questa prima parte de gli Hecatommithi (che così hò nominati queſti miei ragionamenti, dalle cento fauole, ò nouelle, che le uogliamo chiamare, che ſi contengono in loro) con quella riuerenza, ch’io debbo, à Voſtra Altezza. Non per coſa degna di lei, che troppo ben conoſco, che all’alto ſegno del ſuo purgato giudicio non puo arriuare la baſſezza loro, ma per testimonio (infin che miglior fortuna mi offeriſca più degna occaſione di honorarla, et di dimonſtrarle più pienamente la deuotione dell’animo mio) della mia oſſeruanza uerſo lei, et di quella fedele, et ſincera ſeruitù, colla quale le ſono, et ſarò ſempe aſtretto. Degnerà adunque V. Alt. di accettare queſto mio picciolo dono, con quella corteſia, che regna nel ſuo reale, et altiſsimo animo, et che la fa andare honoratiſsima, oltre all’altre eccellenti ſue doti , fra più benigni, et magnanimi ſignori dell’età noſtra, et, facendo fine. Prego nostro Signore Iddio, che la conſerui à lunghi, et felice anni, et la faccia compiutamente contenta, di tutti i ſuoi alti, et nobili deſideri.

Dalla Academia Di Monte Regale. adi xiiii di Giugno MDLXV. AV. Alt. Humile, et obligatiſs. ſeruitore Giouanbatista Giraldi Cinthio.               

 

 

DECA TERZA.                        

CONSALVO, PIGLIATA AGATA per moglie, s’innamora di una meretrice, ſi delibera di auelenare Agata. Uno ſcolare gli dà inuece di ueleno, poluere da far dormire, la dà egli alla Moglie, la quale, oppreβa dal ſonno, ê ſeppellita per morta, Lo ſcolare la trahe del ſepolchro, & ſe la mena à caſa, è condannato il Marito â morte, ella lo libera dalla morte, ſalua la ſua honestà.

NOVELLA V.                                                                                                                                                                      

Venuta Liuia al fine della ſua nouella, diſſe Sempronio. Le donne debbono molto guardarſi di dar materia di eβere così gastigate da lor mariti, che non puote eſſere, che il Marito, quando anco foβe tale, quale ci hà mostrato Adorno la nouella di Liuia, ciò ueggendo, non conoſca l’animo della ſua Donna poco pudico, ſe bene non incorre in vergogna col corpo, la qual coſa puote eſſere cagione, che il Marito habbia ſempre qualche ſoſpetto di lei, & perciò vie meno l’ami. Lo stimolo dell’honore, dee così opporſi, nelle donne, alla femminil fragilità, che non ſi laſcino vincere da diſhonesti appetiti. Et la fede data à mariti, la debbono far diuenir coſtantiβime. Et tale costanza ſi vedrà da quello, che ſon per narrare, in vna nobiliβima Donna, la quale, anchora, che foſſe grauemente ingiuriata dal Marito, & egli ſi induceβe à volergli dar morte, ella nondimeno, uincendo il mal uoler di lui, colla ſua molta fede, lo liberò da vituperoſa morte. Fù in Siuiglia, nobile città di Spagna, un Gentilhuomo, che Conſaluo hauea nome , il quale più laſciuo, & più mutabile era, che à nobil’huomo non era conueneuole. Questi innamoratoſi di una Gentildonna, che Agata era detta, uso ogni diligenza per hauerla per moglie. Et perche ella era pouera, oue Conſaluo era ricchiβimo, i parenti gliele diedero. Parendo loro di fare vn gran guadagno. Ma appena ſi finì l’anno, ch’egli, ſatio di lei, mostrò quanto foſſe coſa poco gioueuole alle donne, hauer Marito più ricco, che ſauio, & quanto ſia meglio dar le donne àgli uomini, che alla roba. Perche, eſſendo andata ad habitare in quella contrada vna cortigiana, & ricca, & bella, che con mill’arti, & mille inganni ſi facea prigoni gli animi degli huomini, che, come ſemplici, non ui ſi ſapeano opporre. Conſaluo fù uno de primi, che ne costei lacci incappò, &, fuori di ogni credenza, di lei ſi acceſe. Et era a tal termine giunto, che non hauea mai bene, ſe non quanto era ſeco. & eβendo ella ſopra ogni femina diſſoluta & auida del guadagno, non à Conſaluo ſolo, ma à quanti ſi andauano à lei con copia di danari largamente ſi daua. La qual coſa tanto doleua à Conſaluo, quanto ſi può penſare ognuno, che dolga vedere molto amata donna nelle mani altrui. Era nella città uno ſcolare di medicina, & di nobil caſa, & che molto conuerſaua con Conſaluo, il quale ſi era così innamorato di Agata, che non bramaua altro, che goderſi di lei, Et hauendo commodità di andare in caſa, per la domestichezza, ch’egli teneua col Marito, non laſciaua coſa à fare, perch’ ella l’amaſſe, & il compiaceſſa di se. La qual coſa, ancor che foſſe noioſa alla Donna, & perciò haueſſe voluto, ch’egli ſi foſſe rimaſo di andarle in caſa, nondimeno, conoſcendo ella il Marito huomo di poca leuatura, & molto dilettarſi dell’amicizia dello ſcolare, tolleraua la molestia, ch’egli le daua, leuandogli nondimeno ogni ſperanza, di poter mai conſeguir da lei coſa men che honesta. Questi, per porle il Marito in diſpetto, fè che vna vecchia, che era molto atta à piegar gli animi delle donne à deſideri de loro amanti, le ſpiegò, come ſe foſſe moſſa à compaβione di lei, l’amore, che Conſaluo alla Meretrice portaua. Mostrandole, che indegnamente ella gli era tanto fedele. Et, d’una coſa paſſando ad un’altra, le diſſe finalménte, ch’era grande ſciocchezza, che pigliandoſi piacer il Marito d’altre donne, ella, come melenſa, ſe ne steſſe a diſagio. Agata, che ſaggia era, & amaua il Marito, le diſſe, ch’ella volentieri uedrebbe il Marito tale, quale egli dourebbe eſſere, & quale ella lo deſideraua. Ma, poſcia ch’egli pure di altro animo era, non gli voleua ella torre quella libertà, che ò la mala uſanza del guasto mondo, ò priuilegio, che tra loro ſi haueſſero fatto gli huomini, hauea lordata. Et ch’ella non era mai, faceſſe con altre donne il Marito ciò, ch’egli ſi uoleβe, per uiolar quella fede, che data gli hauea, nè per ſcemare il deſiderio di conſeruare l’honore, che naturale deue essere ne gli animi delle donne, &  che le face degne di loda in tutte le parti del mondo. Et, che tanto più deueua ella ciò fare, quanto non hauea dato, altro di dote al Marito, che l’honestà. onde nō voleua ella mai da questo penſiero leuarſi, &  poſcia, alquanto turbatetta, le ſoggiunſe, ch’ella ſi marauigliaua molto, ch’eſſendo ella vecchia di tale età, che dourebbe riprendere le giouani, s’elle à ciò fare ſì priegaβino, le deſſe così fatti conſigli, i quali l’erano tanto noioſi, che s’ella foſſe mai più così ardita, che di coſe tali le diceβe parola, le farebbe prouare, quanto ſimili ragionamenti le foβero ſpiaceuoli: Riferì la vecchia allo ſcolare, ciò che Agata detto le haueua, & ne rimaſe egli molto tristo. Ma, non restò perciò di amare la Donna, auiſandoſi che non era così duro cuore, che amando, pregando, lagrimando, à lungo andare, non ſi armmolliſce, Cōuerſando costui con Cōſaluo, gli diβe egli, che acceſo era coſì della Meretrice, come lo ſcolare della Agata, & che non gli increbbe mai tanto di hauere moglie a lato, quanto gli rincreſcieua allhora. Perche non hauendo egli Agata, ſi piglierebbe la impudica Aſelgia (che coſì era appellata la meretrice) per moglie. Però ch’ella ſola era quanto di bene egli hauea nel mondo. Et ui aggiunſe, che ſe non temeſſe il gastigo della giustitia le darebbe morte. A queste parole diſſe lo ſcolare, che ad ogni modo era graue ſoma una mogliera, che foſſe uenuta à fastidio al marito, & che s’altri cercaua di liberarſene, tentaua coſa degna di ſcuſa.  Et ragionando una uolta, & un’altra Conſaluo ſeco di questo ſuo deſiderio, &  ritrouandolo tutta uia fauorire la parte ſua, preſe tanta baldanza con lui, che un giorno gli diſſe. Tu mi ſei quell’amico, che mi ſei, & questa nostra amicitia mi fà credere, che t’increſca non meno, che à me, ch’io mi ritroui in questo trauaglio, nel quale tu mi uedi, per non poter pigliarmi per moglie Aſelgia, Et però perſuadendomi di potere hauere, poi che medico ſei, compenſo al mio male, ti uoglio dire quello, che mi è uenuto in mente, & quello ſimilmente, in che io mi uoglio ſeruir di te. Io mi ſono deliberato, quanto prima potrò, di far morire Agata, & hà più giorni, che io mi uolgo questa coſa per l’animo, ma mi ha fatto ſoprastare il non ſapermi ritrouar modo di farla morire, che a me non ſia poſcia imputata la ſua morte. Et ſappiendo, che tu ſei medico, & per lo lungo studio, c’hai dato à questa arte, imaginandomi, che tu ſappi di molte coſe, che ſarieno atte à compire questo mio deſiderio, ti prego ad eſſermi in ciò corteſe, che te ne ſarò ſempre obligato, Lo Scolare, ſubito, ch’ udì così dire à Conſaluo, conobbe, che quindi gli ſi potèa ſcoprire la uia di potere, col mezzo del ſuo ingegno, hauere Agata nelle mani. Ma tenendo nell’animo chiuſo il ſuo penſiero diſſe à Conſaluo. Che egli era uero, che non gli mancauano modi così ſegreti di far morire le perſone con ſegreti ueleni, che non ſarebbe alcuno mai, che ſi poteſſe accorgere, che di ueleno ſi moriſſero quelli, che lo pigliaſſero. Ma che due coſe lo ritraheuano da compiacerlo, l’una perche i Medici erano al mondo, non per leuare la uita ad altri, ma per conſeruargliele. l’altro, che porrebbe à troppo gran pericolo la uita ſua, qualunque uolta a ciò fare ſi diſponeſſe. Perche potrebbe auenire, come pare che uoglia Iddio, ch’auēga in ſimili caſi, che per non penſato modo ſi ſaprebbe ciò, che fatto ſi foſſe, & che non meno ſarebbe egli condannato à morte, che Conſaluo. Et che per lo primo riſpetto non ſi uoleua egli dare à far coſa, che foβe centra la profeβione ſua, & per lo ſecondo, non uolea porre à riſchio, per coſa tale, la uita ſua. Conſaluo ciò udendo, diβe, che le leggi dell’amicitia non uietauano, che uno amico non ſi partiſſe dall’honesto, per ſeruigio dell’altro. Et che perciò non doueua egli mancargli in questo ſuo deſiderio, Nè li due riſpetti addotti lo deueano rimouere da ciò, Perchè tanto hoggidì era tenuto medico, chi uccidea gli huomini, quanto colui, che gli ſanaua. Et che eſſendo ciò ſegreto fra lor due ſoli, non era da temere, che mai ſi deueſſe ſapere. Et che quando anco aueniſſe, ch’egli foſſe incolpato di hauere auelenata la Moglie, gli prometteua egli di non dir mai, che da lui haueſſe hauuto il ueleno. Lo Scholare gli diſſe, che poſcia, ch’egli così gli prometteua, proporrebbe l’eſſergli amico al diritto della Medicina. & che lo compiacerebbe. Et, laſciato Conſaluo tutto lieto, ſe n’andò à caſa, & compoſe una ſua meſcolanza di poluere da fare talmente dormire, ch’altri ſarebbe giudicato morto. Et l’altro giorno portò la poluere à Conſaluo, & gli diſſe. mi fate far coſa, Conſaluo, che non farei per me medeſimo, ma poſcia, che più hà poſſuto in me l’amor, ch’io vi porto, che il giusto, e’ il deuer mio, ui prego à mantenermi la fede, & non paleſar à perſona giammai, che questo ueleno da me habbiate hauuto. Così gli promiſe Conſaluo di fare. Et preſa la poluere dimandò, in che modo egli la deueſſe vſare. à cui diſſe egli, che la ſera gliele poneſſe gentilmente nel mangiare, & che mangiata che la ſi aueſſe, così acconciamente Agata ſe ne morrebbe, che parrebbe ch’ella dormiſſe. Preſa Conſaluo la polue, & uenuta la ſera, la poſe nel mangiare dell’Agata. La quale, mangiata, che l’hebbe, ſentendoſi tutta ſonnacchioſa, ſe n’andò nella ſua camera (però, ch’ella con Conſaluo non ſi giaceua, ſenon quando egli l’adimandaua, il che era di rado) & entrò nel letto, et non paβò l’hora, che la preſe così profondo ſonno, che pareua veramente morta. Conſaluo, quando tempo gli parue, ſe n’andò anch’egli à letto, & stando tuttauia colla mente trauagliata, aſpettò con grandiβimo deſiderio il giorno, tenendo certo di ritrouare la Moglie morta. Fattoſi giorno, egli ſi leuò, & ſe n’andò fuori di caſa, & ui stette per lo ſpatio di un’hora, poſcia ſi ritornò à caſa, & dimandò alla Cameriera di Agata, che foſſe di lei, non ſi è ella anchor moſſa, riſpoſe, & egli come, diſſe, dorme ella tanto istamane? ſuole eſſere leuata auanti giorno, & hora ſon paβate due hore del dì, & anchora dorme? uà tosto, & riſuegliala, che uoglio, ch’ ella mi dia alcune coſe, le quali ſono ſotto le ſue chiaui. La Cameriera, presta al comandamento, ſen’andò alla Madonna, & chiamatala vna, &  due fiate, e non riſpondendo ella, le poſe le mani addoſſo, & toccandola gentilmente le diſſe. Leuateui Madonna, che il Meſſere ui domanda. Ma non riſpondendo ella, Le preſe la Giouane un braccio, & ſcotendola aſſai gagliardamente, &, non riſpondendo la Donna, nè mouendoſi punto, ſen’andò à Conſaluo, & diſſegli, Meſſere, io non poſſo far riſentire Madonna, per coſa, che io le faccia, Conſaluo, allhora lieto. uà, diſſe, &  ſcuotila tanto, ch’ella ſi riſenta. Ritornò la Cameriera, & fe quanto le hauea detto Conſaluo, ma tutto fece in vano. Onde ritornataſi à lui, diſſe ch’ella credeua certo, che Madonna foſſe morta, tanto l’hauea ella ritrouata fredda, &  inſenſibile.  Come morta? diſſe egli, & ciò diβe come marauiglioſo, & pieno di ſpauento, &, andatoſi al letto, la chiamò, la ſcoſſe, la strinſe fortemente colle mani, le torſe le dita, & delle mani, & de piedi, & al fìne, non ſentendo coſa alcuna Agata. Cominciò à gridare a dolerſi, à rammaricarſi, a percuoterſi, & à maledire la ſua fortuna, che l’haueſſe, coſì tosto, priuo di così fedele, & amoreuole Moglie. Et hauendo ſcoperta tutta, & riuoltata la Donna, & non veggendo coſa alcuna perla ſua perſona, la quale haueſſe à dare ad alcuno inditio di ueleno, uolle mostrare di compire ogni vfficio di amoreuole marito. Per la qualcoſa fece egli chiamare quanti medici erano in Siuiglia, i quali uenuti, & uſati tutti quegli argomenti che loro paruero atti à far riſentire perſona viua, & ritrouandola pure immobile, & inſenſibile, giudicarono, ch’ella da ſubita morte fuβe stata occupata, & per morta la laſciarono. A questa loro riſolutione, benche fra sé, ne foβe lietiβimo Conſaluo, fìnſe nondimeno di ſentirne estrema dolore & pareua che non uoleβe più uiuere morta la Moglie. Siche fece chiamare i parenti della Donna, & con loro ſi dolſe infinitamente del caſo auenuto, & poſcia fece apparecchiare belle, & horreuoli eβequie, & la fè, con molta pompa ſeppellire, in vno auello ch’hauea Conſaluo fuori della terra, nel cimitero de frati dell’oβeruanza. Lo Scholare, che il luogo molto bene ſapeua, & aueua in contado una ſua caſa, non molto lontana à quella chieſa, ſe n’era la ſera gito fuori di Siuiglia, &  la notte, quando tempo gli parue, pigliata con eſſo lui vna lanterna cieca all’auello ſe n’andò, & perche egli era giouane, & di buon nerbo, hauendo portate con ſeco alcune coſe, atte à potere leuar la pietra, che chiudeua il ſepolchro, l’aperſe, & entrato in eſſo ſi recò la Donna in braccio, la quale, eſſendo gia finita la forza della polue, ſi riſentì, tosto, che egli la moſſe. & ueggendoſi ella iui tra stracci, & oſſa di morti, &  vestita, come ſe morta foſſe, ohime, miſera, me diſſe, oue ſon’io? chi mi hà, dolente me, qui meſſa? Il uostro infedele Marito, riſpoſe lo Scholare. Il quale auelenataui, per pigliarſi Aſelgia per moglie, ui ha fatta qui ſepellire. & ſon’io qui uenuto, moſſo à compaβion della uostra ſciagura, co remedi opportuni, per uedere, s’io poteua richiamare la uostra felice anima à gli uſati uffici, &, quando ciò non haueβi potuto, morirmi qui à canto il uostro corpo, & laſciarlo,  in questo auello, colui congiunto. Ma poſcia che, in questo uostro graue periglio, mi è ſtato di tanto fauoreuole il Cielo, che la uirtù de rimedi, che fatti ui hò, hanno rattenuta la uoſtra gentil’anima, congiunta al uostro belliβimo corpo, uoglio, uita mia cara, che quinci conoſciate qual ſìa ſtata la fede del uostro maluagio Marito, & qual ſi ſia la mia, & qual di noi due meriti eſſere amato da uoi. La Donna ritrouandoſi in quello auello, uestita da donna morta, ſi credette quanto lo Scholare detto le haueua, & le parue, che foſſe il ſuo Marito più d’ogn’altro misleale, & crudele. Et riuoltataſi allo Scholare gli diſſe. Rhisti, che così hauea nome egli, negar non ui poſſo, che infedeliβimo non ſia il mio Marito, né poſſo non confeſſare, che uoi non ſiate amoreuoliβimo. Et forza mi è dire, poi che, miſera me, in questo luogo tra morti, et da morta uestita mi uéggio, che io conoſco la uita da uoi. Ma perche’, ſe il mio Marito mi hà rotta la fede, io però intera hò ſerbata, &  ſerbo la mia, ſe uolete, che questo uostro pietoſo, & amoreuole ufficio mi ſia caro, & cara mi ſia la uita, che data mi auete, ui prego, che uogliate hauere raccomandata l’honestà mia, & non uogliate, coll’uſarmi atto uillano (la qual cosſa non mi poβo penſare, che mi debba auenir mai da tanta corteſia) far meno lodeuole questo uostro corteſe atto, il quale, ponendo uoi freno al concupiſcibile deſiderio, & allo sfrenato appetito, ſi rimarrà il più uirtuoſo, &  più degno di honore, che foſſe mai fatto da corteſe gentil’huomo. Rhisti uolle con efficaci ragioni farle uedere, che il Marito non hauea più in lei ragione alcuna, & che quando ue ne haueſſe anco, tanto era stato ſozzo questo ſuo atto, col quale le hauea dato così certo pegno del mal’ animo ſuo, che deueua eſſere ſicura della morte, qualunque volta ella gli ritornaſſe nelle mani. Et, che perciò ella non deuea tenere più stima alcuna di lui, ma deuea mostrarſi grata del riceuuto beneficio, & eſſergli tanto benigna, che ella conſentiſſe, che poteſſe godere il frutto delle ſue fatiche. Et, con queſte parole, ſi piegò verſo lei, per darle un baccio. Lo riſpinſe la Donna, & gli diſſe. Rhisti, ſe il mio Marito hà ſciolte, colla ſua poca fede, le ragioni del matrimonio, non le hò ſciolte io, nè ſcioglierle mai uoglio, inſin che mi durerà la uita. Dell’andargli alle mani, mi uoglio appigliare al uòstro conſiglio, non perche non ui andaβi uolentieri, quando lo poteβi ritrouar di miglior penſiero, ma per non incorrere altra volta in così grave pericolo. Quanto à dare degno guiderdone à queſta vostra lodeuole fatica, il maggiore non ui ſaprei io dare, che restarui eternamente obligata: & ſe questo mi baſta, mi resterò in questa mìa angoſcia tanto contenta, quanto comporta il miſero stato, in ch’io mi ritrouo ora. Ma, ſe uoi forſe uoleste, che la perdita dell’honestà mia ui deueſſe eſſer mercede, vſcite, ui prego, di questa ſepoltura, & chiudetemici dentro, che io uoglio più tosto, riceuer morte dalla crudeltà del Marito mio, con ſaluezza del mio honore, che da tale pietà hauer la uita, colla perdita della mia pudicitia. Conobbe à tali parole il liberatore della Agata la ſua bontà, & posto, che gli foβe graue di ritrouarla di così fedele, & fermo animo, che nè la Morte iſteſſa le potea far mutar penſiero, pure, auiſandoſi, che il tempo poteſſe uincere il propoſito della Donna, le riſpoſe, che rimanea contento di uederla de ſì buon animo, & che perciò egli non voleua altro da lei, che quello, ch’ella gli uolea dare. Et con queste parole la traſſe della ſepoltura, & la conduſſe à caſa ſua. & raccomandolla ad vna ſua vecchia, & ſe ne ritornò in Siuiglia. Laſciando la cura à quella Donna di diſporre l’Agata ad eſſergli piaceuole. Conſaluo, dopo alcuni giorni, mostrando di non poter star ſenza donna, ſi preſe Aſelgia per moglie. La qual coſa parue molto stana à parenti di Agata. & ſe ne stettero tutti coll’animo ſoſpeſo. Standoſi Conſaluo colla nuoua Mogliera, gli auenne quello con lei, che à lui con Agata era auenuto. Però, che eſſendo costei uſa non ad un’huomo, ma alle centenaia, & à uiuere in quella licenza, nella qual uiuono le ſimili a lei, tenendola Conſaluo con quella diligenza, che gli inſegnaua la gran geloſia, ch’egli ne haueua, le uenne egli à tanta noia, che nol poteua ueder uiuo, & conobbe allhora Conſaluo, che differenza foſſe fra l’amore di honesta donna, & di una meretrice. Dicendole adunque Conſaluo del poco amore, ch’egli conoſceua in lei, & riſpondendogli ella orgolioſamente, venne in tanto furore, ch’ egli fe diſſe, Scelerata, per godermi te, hò auelenata Agata, ch’era la più amoreuole donna, che mai per matrimonio ſi congiungeſſe ad huomo, & il guiderdone, che me ne vuoi rendere è il dimostrarmiti tutta uia più diſpettoſa, & più ſpiacéuole. Aſelgia ciò inteſo ſi uide hauer ritrouata la uia da ſcioglierſi da Conſaluo. Per la qual coſa induſſe un ſuo drudo à riuelare à parenti di Agata, che il Marito auelenata l’haueua, Eβi, che di ciò haueano hauuto qualche ſoſpetto, ciò inteſo, andarono al Podestà, & gli fecero, à ſapere, quanto colui haueua lor detto. Il Podestà di ſubito fè prendere Conſaluo, & la Meretrice, per intendere la uerità del fatto. La vecchia in questo mezzo, ch’era con Agata, non mancaua di tentarla continuamēte, per indurla à compiacere allo ſcholare, che liberata l’haueua. Ma non potendo Agata tollerare quella moleſtia, diſſe un giorno alla vecchia, dite a Rhiſti, che alla ſepoltura mi torni, ch’iui minor noia mi fiè morirmi, che rimouermi in questa ſeccagine. La qual coſa intendendo lo Scholare, aueua deliberato di uenire alla forza, poi che nè benefìcio riceuuto, nè preghi, nè niuna altra coſa potea far mutare penſiero ad Agata. In questo tempo confeβo Conſaluo hauere auelenata la Moglie con ueleno, ch’egli hauea tenuto molti anni in caſa (che in ciò egli mantenne la fede allo Scholare) & perciò fu condannato alla morte. La qual còſa fa cariβima à Rhiſti, perche egli ſi penſò, che morendo il Marito, egli ſi rimarrebbe della Donna ſignore. Venne il giorno, nel quale deueua eſſere tagliata la testa à Conſaluo. &, ciò peruennuto alle orecchie di Agata, ſi deliberò ella di uoler far uedere al ſuo misleal Marito, in questo estremo, quanta foſſe la ſua fede. &, uſcitaſi incontanente di caſa di Rhisti, con toſto paſſo, alla città ſe n’andò, & entrata in corte del Podestà, gli ſi fece innanzi: & gli diſſe. Meſſere, Conſaluo è da uoi ingiustamente dannato à morte, perche non è uero, che la ſua moglie vcciſa egli habbia, anzi è ella uiua. & io ſon eſſa, però non laſciate che proceda più oltre la ſentenza data da uoi, eſſendo ella, come chiaramente potete uedere, ingiuſtiβima: A queſte parole il Podestà, che la teneua morta, rimaſe come fuori di sè, & nō la potè mirar ſenza qualche ribrezzo, penſandoſi di uedere non una donna uiua, ma una Fantaſima, però ch’ella era in habito dimeſſo, & molto afflitta, per lo graue affanno, che la premeua, per lo caſo auenuto prima à sè, poſcia al Marito. Fra questo tempo i ſergenti conduſſero Conſaluo auanti al Podestà, acciocch’egli, ſecondo il costume di quel luogo, cōmetteſſe à ſergenti, che il menaβino alla morte. Ma non fù ſi tostò Conſaluo ueduto da Agata, ch’ella colle lagrime sù gli occhi, à braccia aperte, lo corſe ad abbracciare, &, pendendogli dal collo, gli diſſe. Ahi Marito mio, oue ui ueggo io, per la uostra follia, condutto? Eccoui la uostra Agata, non morta nò, ma (la Dio merce) uiua, la quale, ui ſi uuole anco, in queſto punto, mostrare quella Mogliera, ch’ella ſempre ui è stata. II Podestà, ciò ueggendo, lo fece ſubito ſapere al Signore. Il quale, pieno di grandiβima marauiglia, & ciò, à gran pena, credendo, ſi fè condurre dinainzi Conſaluo, & la Moglie, & uolle ſapere come ciò ſi foſſe, che eſſendo stala ſepolta per morta Agata, ella iui ſi ritrouaſſe uiua. Conſaluo non ſapeua, che ſi dire altro, ſenon, ch’egli, per l’amore, che ad Aſelgia portaua, auelenata haueua la Moglie, ma, come ella ſi foſſe ritornata uiua, & iui ſi ritrouaβe, non ne ſapea dir coſa alcuna. Ma la Donna gli diſſe, come lo Scholare, con ſuoi argomenti, l’hauea liberata dalla morte, ma come ciò ſi haueſſe egli fatto, non ſapeua ella dire. II Signore, fatto uenire Rhiſti, inteſe, come, in uece di ueleno, egli la polue allopiata data gli haueua, per lo ſingolare amore, ch’egli portaua alla Donna, & ui ſoggiunſe, che, quantunque la Donna haueſſe veduta la crudeltà del Marito, & egli leuata l’haueſſe dalla morte, non hauea però mai potuto rimouerla dal fermo propoſito di conſeruare colla ſua honestà, la fede al Marito. Conobbe il Signore, che in donna honesta puo molto più il riſpetto dell’honore, che tutte le ingiurie, & commendò molto l’aſtutia di Rhiſti, & la fede, & l’amor della Donna. Et voltatoſi poſcia verſo Conſaluo, gli diſſe. Non meritaui così fatta mogliere, & ſarebbe ben degno, ch’ella più tosto di Rhisti ſi foſſe, che tua, nè meriteresti, anchora ch’ella ſia uiua, minor pena, che quella, che apparecchiata ti s’era, però che, in quanto à te, hai queſta gentiliβima Donna vcciſa, Ma voglio, che di tanto, giouamento ti ſia la bontà, & la fede della Moglie tua, che tu te ne rimanga uiuo, non per te, che nol meriti, ma per non dare à lei quell’affanno, che sò, ch’ella haurebbe della tua morte. Ma ti giuro bene, che ſe mai mi unirà alle orecchie, che tu meno, che amoreuolmente la tratti, ti farò prouare, quanto io ſappia punire cosi fatti delitti. Conſaluo, imputando ſuo poco conoſcimento, ciò, ch’egli haueua fatto, tanto promiſe al Signore di fare, quanto egli gli haueua impoſto. Et, qui fatto fine, laſciò Conſaluo la Meretrice, che egli per moglie ſi hauea preſa, & ſi uiſſe in pace con Agata, la constanza della quale fè, che oue Rhiſti per l’adietro, per la ſua beltà, l’hueua amata, egli per lo inanzi, per la ſua honeſtà, quaſi come ſanta, l’adoraſſe, parendogli, che maggior bontà, & maggior fede non ſi poteſſe ritrouare in mortal donna.