LA SECONDA PARTE DELLE NOVELLE DEL BANDELLO IN LVCCA PER IL BVSDRAGO. M.D.LIIII
IL BANDELLO AL MOLTO MAG. ET ECCELLENTE M. GIROLAMO FRACASTORO POETA & Medico dottiſsimo.
SALANDO Questa State il valoroſo & illuſtriss. Signore, il S. Cesare Fregoſo, vostro grandiſſimo amico e mio Signore, à ber l’acque de i Bagni di Caldero, oue alloggiò in una caſa di Meſſer Matteo Boldiero, perſona gentiliſsima, e d’ogni parte di castigata & integerrima vita. Quiui (come aſsai meglio di me ſapete) di tutta Lombardia, e de Lamagna, e d’altre parti vicine e lontane, molta gente concorre, per la ſalubritá di quell’acque; de le quali mirabiliſsimi effetti, ogni volta che ordinatamente ſi beueno, ſi ſono veduti. Et io tra gli altri ne poſſo render veriſsimo testimonio; Che eſsendo dal noioſo mal de le reni fieramente afflitto, voi me le faceste bere alcuni dí, qui in Verona, l’un giorno per l’altro, mandando à Caldero à prender eſſa acqua. Il giouamento che ella mi fece, fu tale, quale voi & io desiderauamo, per ciò che di modo mi liberò da quei dolori, che piû non ho da poi ſentito pur una minima puntura, che prima non mi poteua chinar à terra, ne chinato ſenza graui dolori leuarmi. Stette il Signor Ceſare à detti Bagni alquanti di, usando de l’honesta libertà, la quale à chi beue quell’acque ſi concede, ricreandoſi di brigata con quelli, che à i Bagni ſi ritrouauano. Veniuano anco da le Cittati circonuicine, Gentilhuomini aſsai à viſitarlo, i quali tutti eſſo Signore lietamente riceueua, e con ricca e ſontuosa menſa honoraua; Che conoſcete bene, come egli ſa honorar cui ne l’animo gli cape che il vaglia. Si faceuano varii e piaceuoli giuochi, e chiunq; più di trastullo pigliaua in un giuoco che in un altro, in quello ſi daua piacere. Hora ragionandosi un giorno de i casi fortunenoli, che ne le coſe de l’Amore, auuerſi auuengono, il capitano Aleſſandro Peregrino narrò una pietoſa historia, che in Verona, al tempo del Signor Bartolomeo Scala, auuenne: la quale per il suo infelice fine, quasi tutti ci fece piangere. E perche mi parue degna di compaſsione, e d’eſſer consacrata à la posterità, per ammonir i Giouini che imparino moderatamente à gouernarſi, e non correr à furia, la scriſsi. Quella adunque da me ſcritta, à voi mando e dono, conoſcendo per eſperienza le ciancie mie eſſerui grate, e che volentieri quelle leggete. Il che chiaramente dimostra il vostro colto e numeroſo Epigramma, che ſoura le mie Parche già componeste. State ſano.
LA SFORTVNATA MORTE DI DVI INFELICISSIMI AMANTI, CHE L’UNO DI VELENO, E L’ALTRO DI DOLORE MORIRONO, CON VARI ACCIDENTI
NOVELLA I.IX.
IO credo (valoroſo Signor mio) ſe l’affettione che io meritamente à la Patria mia porto, forſe non m’inganna; che poche Città ſiano ne la bella Italia, le quali à Verona poſſano di bellezza di ſito eſſer ſuperiori, ſi per coſi nobil Fiume (com’è l’Adice) che quaſi per mezzo con le ſue chiariſsime acque la parte; e de le mercadantie che manda l’Alemagna, abondeuole la rende; come anco per gli ameni e fruttiferi Colli, e piaceuoli Valli, con aprici campi che le ſono intorno. Taccio tante Fontane di freſchiſsime e lampidiſsime acque ricche, che al comodo de la Città ſerueno, con quattro nobiliſsimi Ponti ſoura il Fiume, e mille venerande antichità, che per quella ſi vedeno. Ma perche à ragionar non mi moſsi per dir le lodi del nido mio natio, che da ſe steſso ſi loda, e rende riguardeuole; verrò à dirui vn pietoſo caſo, & infortunio grandiſsimo, che à dui nobiliſsimi Amanti in quella auuenne. Furono già al tempo de i Signori de la Scala, due Famiglie in Verona, tra l’altre di nobiltà e ricchezze molto famoſe, ciò ê i Montecchi & i Capelletti; le quali tra loro (che, che ſe ne foſſe cagione) hebbero fiera e ſanguinolente nemicitia, di modo che in diuerſe miſchie, eſſendo ciascuna potente, molti ci morirono, coſi di Montecchi e Capelletti, come di ſeguaci che à quelli s’accoſtarono; Il che di più in più i lor odii accrebbe. Era à l’hora Signor di Verona Bartolomeo Scala, il quale aſſai s’affaticô per pacificar queste due ſchiatte, ma non ci fu ordine già mai; tanto era l’odio abbarbicato ne i petti loro. Tuttavia gli riduſſe à tale, che ſe non vi poſe pace, ne leuò almeno le continoue miſchie, che tra loro aſſai ſouente con morte d’huomini ſi faceuano; di maniera che ſe ſi ſcontrauano i Giouini, dauano luogo à i più vecchi de la contraria fattione. Auuenne adunque, che vn’anno dopo Natale, ſi cominciarono à far de le feſte, oue i Maſcherati concorreuano. Antonio Cappelletto capo de la ſua Famiglia, fece vna belliſsima feſta, à la quale inuitô gran nobiltà d’huomini e di donne. Qui ui ſi videro per la maggior parte tutti i giouini de la Città, tra i quali v’andò Romeo Montecchio, che era di venti in vent’vn’anno, il più bello e corteſe di tutta la giouentû di Verona. Egli era maſcherato, e con gli altri entrò ne la caſa del Cappelletto, eſſendo già notte. Si trouaua Romeo à l’hora fieramente innamorato d’vna Gentildonna à la quale paſſauano circa dui Anni che s’era dato in preda, & anchor che tutto il di, oue ella à chieſe od altroue andaua, sempre la seguitaſſe, non di meno, ella d’vn ſolo ſguardo mai non gli era ſtata corteſe. Haueua le piû e piû volte ſcritto lettere, & ambaſciate mandato, ma troppa era la rigida durezza de la Donna, che non ſofferiua di far vn buon viſo à l’appaſsionato Giouine. Il che à lui era tanto graue e moleſto à poter comportare, che per l’eſtremo dolore che ne patiua, dopo l’eſſersi infinite volte lamentato, deliberò da Verona partirſi, e ſtar fuori vno o dui anni, e con varii viaggi per l’Italia macerar questo ſuo ſfrenato appetito. Vinto poi dal feruente Amore che le portaua, biaſimaua ſe steſſo, che in coſi folle pensiero foſſe caduto, & à modo veruno partirſi non ſapeua. Tal hora tra ſe, diceua. Non ſia già vero che io coſtei più ami, poi che chiaramente à mille effetti conoſco la ſeruitù mia non l’eſſer cara. A che ſeguirla ouunque và, ſe il vagheggiarla nulla mi gioua? Egli mi cõuiene non andar ne à chieſa, ne à luogo ou’ella ſi ſia; Che forſe non la veggendo, queſto mio fuoco, che da i ſuoi begli occhi l’eſca e l’alimento prende, ſi ſcemerà à poco à poco. Ma che? Tutti i ſuoi penſieri riuſciuano vani, perciò che pareua quanto piû ella ritroſa si moſtraua, e che ei meno di ſperãza haueua, che tanto piû l’amor verſo lei cresceſſe, e che quel di che non la vedeua, non poteſſe hauer bene. E perſeuerando più costante e feruẽte in questo amore, dubitarono alcuni amici ſuoi, che egli non ſi consumaſſe. Onde molte fiate amoreuolmente l’ámonirono, e pregarono che da tal impreſa si distoglieſſe. Ma coſi poco le lor vere ammonitioni, e ſalutiferi conſegli curaua, come la Donna di coſa che egli faceſſe teneua conto. Haueua tra gli altri, Romeo vn compagno, al quale troppo altamente increſceua, che quello ſenza ſperanza di conſeguir guiderdone alcuno, dietro ad eſſa Donna andaſſe ᵱdendo il tempo de la ſua giouinezza, col fior de gli anni ſuoi; onde tra molte altre volte vna coſi gli parlò. Romeo; à me che come fratello t’amo, troppo di noia dá il vederti à q̃ſto modo, come neue al Sole conſumare; e poi che tu vedi con tutto ciò che fai e ſpendi (e ſenza honore profitto ſpendi) che tu nõ puoi trar coſtei che ad amarti ſi pieghi, e che coſa che tu adopri non ti gioua, anzi più ritroſa la ritroui, à che piû indarno affaticarti? Pazzia eſtrema è voler vna coſa nõ difficile, ma impoſsibile render facile à fare. Tu ſei pur chiaro, che ella ne te ne le coſe tue cura. Forſe ha ella alcuno Amante à lei tanto grato e caro, che per l’Imperadore non l’abbandonarebbe. Tu ſei giouine, forſe il piû bello che in questa noſtra Città ſi truoui; Tu ſei (ſiami lecito ſu gli occhi dirti il vero) corteſe, vertuoſo, amabile e (che aſſai la giouentù adorna) di buone lettere ornato; Poi vnico al Padre tuo figliuolo ti ritruoui, le cui grandi ricchezze à tutti ſono notiſſime, e forſe che egli verſo te tien le mani ſtrette, o ti grida ſe tu ſpendi e doni come ti pare. Egli t’é vn fattore, che per te s’affatica, e ti laſcia far ciò che tu vuoi. Ho mai deſtati e riconoſci l’errore oue tutto il di viui; Leua da gli occhi tuoi il velo che gli acceca, e non ti laſcia veder il camino che dei caminare; Deliberati por l’animo tuo altroue, e di te far padrona Donna che lo vaglia. Ti muoua giuſto ſdegno, che molto piû può ne i regni de l’Amore, che non può eſſo Amore. Si cominciano à far de le feſte, e de le maſchere ᵱ la Terra; va’ à tutte le feſte, e ſe per ſorte vi vedrai q̃lla che tanto tempo indarno hai ſeruito, non guardar lei, ma mira ne lo ſpecchio de l’amor che portato l’hai, e ſenza dubio trouerai cõpenſo à tanto male quãto ſoffri, ᵱche giuſto e ragioneuol ſdegno in te di tal maniera s’accẽderà, che affrenerà q̃ſto tuo poco regolato appetito, e ti metterà in libertà. Con molte altre ragioni, ch’hora nõ dico, eſortò il fedel compagno il ſuo Romeo à diſtorsi da la mal cominciata impreſa. Romeo aſcoltò patientemente quanto detto gli fu, e ſi deliberò il ſauio conſeglio metter in opra. Il perche cominciò andar ſu le feſte, e doue vedeua la ritroſa Donna, mai non volgeua la viſta, ma andaua mirando e conſiderando l’altre, per ſcieglier quella che piû gli foſſe à grado, come ſe foſſe andato ad vn mercato per cõprar caualli o pãni. Auuẽne in quei di (come s’è detto) che Romeo maſcherato andò ſu la feſta del Cappelletto, e ben che foſſero poco amici, pur non s’offendeuano. Qui vi ſtato Romeo buona pezza cõ la maſchera ſu’l viſo, q̃lla ſi cauò, & in vn canto ſe n’andò à ſedere, oue agiatamente vedeua quãti in ſala erano, la quale allumata da molti torchi era chiara, come ſe foſſe ſtato di giorno. Ciaſcuno guardaua Romeo, e maſsimamẽte le Donne, e tutti ſi merauigliauano ch’egli ſi liberamente in q̃lla caſa dimoraſſe. Tutta via ᵱche Romeo, oltra che era belliſsimo, era anco giouinetto molto coſtumato e gentile; era generalmente da tutti amato. I ſuoi nemici poi, non gli poneuano coſi la mente, come forſe hauerebbero fatto s’egli foſſe ſtato di maggior etate. Qui ui era diuenuto Romeo conſideratore de le bellezze de le Donne, che erano ſu la feſta, e queſta e quella più e meno, ſecõdo l’appetito, cõmendaua, e ſenza danzare s’andaua in cotal maniera diportãdo, quando gli venne veduta vna fuor di miſura belliſsima Garzona, che egli non conoſceua. Queſta infinitamente gli piacq; e giudicò che la piû bella & aggratiata Giouane nõ haueua vedute già mai. Pareua à Romeo quanto piû intentamẽte la miraua che tãto piû le bellezze di quella diueniſſero belle, e che le gratie piû grate si faceſſero. Onde cominciò à vagheggiarla molto amoroſamẽte, non ſapendo da la di lei viſta leuarſi; e ſentendo gioia inuſitata in contẽplarla, tra ſe propoſe far ogni ſuo ſforzo per acquiſtar la gratia e l’amor di quella. E coſi l’amore che à l’altra Donna portaua, vinto da q̃ſto nuouo, diede luogo à queſte fiamme, che mai più da poi, ſe non per morte ſi ſpenſero. Entrato Romeo in queſto vago laberinto, non hauendo ardire di ſpiare chi la Giouane ſi foſſe, attendeua de la vaga di lei viſta à paſcer gli occhi, e di quella tutti gli atti minutamente conſiderando, beueua il dolce amoroſo veleno, ogni parte & ogni geſto di quella merauiglioſamente lodando. Egli (come già diſsi) era in vn canto aſsiſo, nel qual luogo quando ſi ballaua, tutti gli paſſauano per dinanzi. Giulietta (che coſi haueua nome la Garzona che cotanto à Romeo piaceua) era figliuola del Padrone de la caſa e de la feſta, non conoscendo anco ella Romeo, ma parendole pure il piû bello e leggiadro Giouine, che trouar si poteſſe, merauiglioſamente de la viſta s’appagaua, e dolcemente e furtiuamente, tal hora coſi ſotto occhio mirandola, ſentiua non so che dolcezza al core che tutta di gioioſo & eſtremo piacere l’ingombraua. Deſideraua molto forte la Giouane che Romeo ſi metteſſe in ballo, à ciò che meglio veder ſi poteſſe, e l’vdiſſe parlare, parendole che altro tanta dolcezza deueſſe dal parlar di quello vſcire, quanta da gli occhi di lui le pareua tutta via, che il miraua ſenza fine, guſtare. Ma egli tutto ſolo ſe ne ſedeua, ne di ballar hauer voglia dimoſtraua. Tutto il ſuo ſtudio era in vagheggiar la bella Giouanetta, e quella ad altro nõ metteua il penſiero, che à mirar lui. E di tal maniera ſi guardauano, che riſcontrandoſi tal hora gli occhi loro, & inſieme meſcolandoſi i focoſi raggi de la viſta de l’vno e de l’altra, di leggero s’auuidero, che amoroſamente ſi mirauano, perciò che ogni volta che le viſte ſi ſcontrauano, tutti dui empiuano l’aria d’amoroſi ſoſpiri, e pareua che per à l’hora altro non deſideraſſero che di poter (inſieme parlando) il lor nuouo fuoco ſcoprire. Hora ſtando eglino in queſto vagheggiamento, venne il fine de la feſta del ballare, e ſi cominciò à far la dãza, o ſia il ballo del Torchio, che altri dicono il ballo del Cappello. Facendoſi queſto giuoco, fu Romeo leuato da vna Donna, il quale entrato in ballo, fece il deuer ſuo, e dato il Torchio ad vna Donna, andò preſſo à Giulietta, che coſi richiedeua l’ordine, e quella preſe ᵱ mano con piacer ineſtimabile di tutte due le parti. Reſtaua Giulietta in mezzo à Romeo, & à vno chiamato Marcuccio il guercio, che era huomo di corte molto piaceuole, e generalmente molto ben viſto, per i ſuoi motti feſteuoli, e per le piaceuolezze ch’egli ſapeua fare, ᵱciô che ſempre haueua alcuna Nouelluccia per le mani da far ridere la brigata, e troppo volentieri, ſenza danno di neſſuno, ſi ſolazzaua. Haueua poi ſempre il verno e la State, e da tutti i tempi, le mani via piû fredde e piû gelate, che vn freddiſsimo ghiaccio alpino. E tutto che buona pezza ſcaldandole al fuoco ſe ne ſteſſe, reſtauano perciò ſempre freddiſsime. Giulietta, che da la ſiniſtra haueua Romeo, e Marcuccio da la deſtra, come da l’Amante ſi ſentì pigliar per mano, forſe vaga di ſentirlo ragionare, con lieto viſo alquanto verſo lui riuoltata, con tremante voce gli diſſe; Benedetta ſia la venuta voſtra à lato à me, e coſi dicendo, amoroſamente gli ſtrinſe la mano. Il Giouine che era auueduto, e punto non teneua de lo ſcemo, dolcemente à lei ſtringendo la mano, in queſta maniera le riſpoſe. Madonna; e che beneditione è coteſta che mi date? E guardandola con occhio gridante pietà, da la bocca di lei ſoſpirando ſe ne ſtaua pendente. Ella à l’hora dolce ridendo, riſpoſe. Non vi merauigliate (gentil Giouine) che io benedica il voſtro venir qui, perciò che Meſſer Marcuccio già buona pezza, con il gelo de la ſua fredda mano tutta m’agghiaccia, e voi (la voſtra mercè) con la dilicata mano voſtra mi ſcaldate. A queſto ſubito ſoggiunſe Romeo. Madonna, che io (in qualſi ſia modo) ſeruigio vi faccia, m’è ſommamente caro, & altro al mondo non bramo che poterui ſeruire, & à l’hora beato mi terrò quando degnarete di comandarmi, come à voſtro minimo Seruidore. Ben vi dico, che ſe la mia mano vi ſcalda, che voi con il fuoco de i begli occhi voſtri tutto m’ardete, aſsicurandoui, che ſe aita non mi porgete, à ciò poſſa tanto incendio ſofferire, nõ paſſerà troppo, che mi vederete tutto abbruciare, e diuenir cenere. A pena puotè egli finir di dire l’vltime parole, che il giuoco del Torchio hebbe fine. Onde Giulietta che tutta d’amor ardeua, ſoſpirando e ſtringendo la mano non hebbe tempo di fargli altra riſpoſta, ſe non che diſſe. Oimè, che poſſo io dirui, ſe non ch’io ſono aſſai più voſtra che mia? Romeo, partendoſi ciaſcuno, aſpettaua, per vedere oue la Giouanetta ſ’inuiaſſe. Ma guari non ſtette, che egli chiaramente conobbe, che era figliuola del Padrone de la caſa, & anco ſe ne certificò da vn ſuo benuogliente, dimandandogli di molte donne. Di queſto ſi trouò forte di mala voglia, ſtimando coſa periglioſa, e molto difficile, à poter conſeguir deſiderato fine di queſto ſuo Amore: Ma già la piaga era aperta, e l’amoroſo veleno molto à dentro entrando. Da l’altra banda, Giulietta bramoſa di ſaper chi foſſe il Giouine, in preda di cui giá ſentiua eſſer tutta, chiamata vna ſua vecchia, che nodrita l’hauea, entrò in vna camera, e fattaſi à la fineſtra, che per la ſtrada da molti acceſi Torchi era fatta chiara, cominciò à domandarla chi foſſe il tale, che coſi fatto habito haueua, e chi quello che la ſpade haueua in mano, e chi quell’altro, & anco le richieſe chi foſſe il bel Giouine, che la maſchera teneua in mano. La buona vecchia, che quaſi tutti conoſceua, le nominaua queſti e quelli, & ottimamẽte conoſciuto Romeo, le diſſe chi foſſe. Al cognome del Mõtecchio, rimaſe mezza ſtordita la Giouane, diſperando di poter ottener per ſpoſo il ſuo Romeo, per la nemicheuol gara, che era tra le due Famiglie; non di meno ſegno alcuno di mala contentezza non dimoſtrò. Andata poi à dormire, nulla o poco quella notte dormì, varii penſieri per la mẽte riuolgendo. Ma diſtorſi d’amar il ſuo Romeo, ne poteua ne voleua, ſi fieramente di lui acceſa ſi trouaua. E combattendo in lei l’incredibil bellezza de l’Amante, quanto piû difficile e periglioſa la coſa ſua vedeua, tanto piû pareua che in lei, mancando la ſperanza; creſceſſe il diſio. Coſi combattuta da dui cõtrarii penſieri, de i quali l’vno le daua animo di conſeguir l’intento ſuo, l’altro del tutto ogni via le troncaua, diceua bene ſpeſſo tra ſe. Oue mi laſcio io da le mie mal regolate voglie traſportare? Che ſo io (ſciocca che ſono) che Romeo m’ami? Forſe lo ſcaltrito Giouine q̃lle parole per ingãnarmi m’ha dette, à ciò che ottenẽdo coſa da me meno che honeſta, di me ſi gabbi, e Donna di volgo mi faccia, parendoli forſe à queſto modo far la vendetta de la nemiſtà, che tutto il di incrudeliſce più tra i ſuoi & i miei parenti. Ma tale non è la generoſità de l’animo ſuo, che ſopportaſſe d’ingannar chi l’ama & adora. Nõ ſon le vaghe ſue bellezze (ſe il viſo da inditio manifeſto de l’animo) che ſotto q̃l ſi ferrigno e ſpietato core alberghi, anzi mi gioua credere, che da coſi gẽtil e bel Giouine, altro non ſi poſſa aſpettare che amore, gentilezza e corteſia. Hora poniamo che veramente (come mi fo â credere) m’ami, e per ſua legitima Moglie mi voglia, non debb’io ragioneuolmente penſare, che mio Padre nol cõſentirà già mai. Ma chi ſa, che per mezzo di queſto parentado non ſi poſſa ſperare, che ſegua tra queſte due Famiglie vna perpetua concordia e ferma pace? Io ho pure piû volte vdito dire, che per gli ſpoſalitii, fatti non ſolamẽte tra priuati Cittadini e Gentilhuomini, ſi ſono de le paci fatte; ma che molte volte tra grandiſsimi Prencipi e Regi, tra i quali le crudeliſsime guerre regnauano, vna vera pace, & amicitia cõ ſodisfacimento di tutti, é ſeguita. Io forſe q̃lla ſaró, che con queſta occaſione metterò tranquilla pace in q̃ſte due caſate. Et in queſto pẽſiero fermata, ogni volta che Romeo paſſar. ᵱ la contrada poteua vedere; ſempre tutta lieta ſe gli moſtraua. Del che egli piacer grãdiſsimo riceueua. Et anchor che non meno di lei co i ſuoi penſieri haueſſe continoua guerra, & hor ſperaſſe, & hor ſi diſperaſſe, tutta via ᵱciò paſſaua dinãzi à la caſa de l’amata Giouane, coſi di giorno come di notte, con grãdiſsimo periglio. Ma le buone viſte che gli faceua Giulietta, di più in piû infiãmandolo, lo tirauano à quelle contrade. Haueua la camera di Giulietta le fineſtre ſuſo vna vietta aſſai ſtretta, cui di rimpetto era vn caſale; E paſſando Romeo per la ſtrada grãde, quando arriuaua al capo de la vietta, vedeua aſſai ſouente la Giouane à la fineſtra, e quantunq; volte la vedeua; ella gli faceua buon viſo, e moſtraua vederlo piû che volẽtieri. Andaua ſpeſſo di notte Romeo, & in quella vietta ſi fermaua, ſi ᵱche quel camino non era frequẽtato, & altreſi perche ſtãdo per iſcontro à la fineſtra, ſentiua pur tal hora la ſua ĩnamorata parlare. Auuẽne che eſſendo egli vna notte in quel luogo, o che Giulietta il ſentiſſe, o qual ſe ne foſſe la cagione, ella aprì la fineſtra. Romeo ſi ritirò dentro il caſale, ma nõ ſi toſto, ch’ella nol conoſceſſe, perciò che la Luna col ſuo ſplendore, chiara la vietta rendeua. Ella che ſola in camera ſi trouaua, ſoauemente l’appellò, e diſſe Romeo; che fate voi qui à queſt’hore coſi ſolo? Se voi ci foſte colto, miſero voi, che ſarebbe de la vita voſtra? Non ſapete voi la crudel nemiſtà che regna tra i voſtri e i noſtri, e quãti già morti ne ſono? Certamente voi ſareſte crudelmẽte vcciſo; del che à voi danno & à me poco honore ne ſeguirebbe. Signora mia (riſpoſe Romeo) l’amor ch’io vi porto, é cagione ch’io à queſt’hora qui venga, e nõ dubito pũto, che ſe da i voſtri foſſi trouato, ch’eſsi no cercaſſero d’ãmazzarmi. Ma io mi sforzarei, per quanto le mie deboli forze vagliano, di far il debito mio, e quando pure da ſouerchie forze mi vedeſſi auanzare, m’ingegnerei non morir ſolo. E deuendo io ad ogni modo morire in queſta amoroſa impreſa, qual piû fortunata morte mi puô auuenire, che à voi vicino reſtar morto; Che io mai debbia eſſer cagione di macchiar miniſsima parte l’honor voſtro, queſto non credo che auuerrà già mai; perche io per conſeruarlo chiaro e famoſo com’è, mi ci affaticherei col ſangue proprio, Ma ſe in voi tanto poteſſe l’amor di me, come in me di voi può il voſtro, e tanto vi caleſſe de la vita mia, quanto à me de la voſtra cale, voi leuareſte via tutte queſte occaſioni, e fareſte di modo, che io viuerei il piû contento huomo che hoggidi ſia. E che vorreſte voi che io faceſsi (diſſe Giulietta) Vorrei (riſpoſe Romeo) che voi amaſsi me, com’io amo voi, e che mi laſciaſte venir ne la camera voſtra, à ciò che piû agiatamente, e con minor pericolo io poteſsi manifeſtarui la grandezza de l’amor mio, e le pene acerbiſsime che di continouo per voi ſoffro. A queſto Giulietta alquanto d’ira acceſa, e turbata, gli diſſe Romeo; voi ſapete l’amor voſtro, & io ſo il mio, e ſo che v’amo quanto ſi poſſa perſona amare, e forſe più di quello, che à l’honor mio ſi conuiene. Ma ben vi dico, che ſe voi penſate di me godere, oltra il conueneuole nodo del matrimonio, voi viuete in grandiſſimo errore, e meco punto non ſarete d’accordio. E perche conoſco, che praticando voi troppo ſouente per queſta vicinanza, potreſte di leggero incappare ne gli ſpiriti maligni, & io non ſarei più lieta già mai, ma conchiudo, che ſe voi deſiderate eſſer coſi mio, come io eternamẽte bramo eſſer voſtra; che debbiate per Moglie voſtra legitima ſpoſarmi. Se mi ſpoſarete, io ſempre ſarò preſta à venir in ogni parte, oue più à grado vi fia. Hauendo altra fantaſia in capo, attendete à far i fatti voſtri, e me laſciate nel grado mio viuere in pace. Romeo che altro non bramaua, vdendo queſte parole, lietamente le riſpoſe, che queſto era tutto il ſuo diſio, e che ogni volta che le piaceſſe la ſpoſeria, in quel modo che ella ordinaſſe. Hora ſta bene (ſoggiunſe Giulietta) Ma perche le coſe noſtre ordinatamente ſi facciano, io vorrei che il noſtro ſpoſalizio à la preſenza del Reuerendo Frate Lorenzo da Reggio mio Padre ſpirituale, ſi faceſſe. A queſto s’accordarono, e ſi conchiuſe che Romeo con lui, il ſeguente giorno del fatto parlaſſe, eſſendo egli molto di quello domeſtico. Era queſto Meſſer lo Frate, de l’ordine de i Minori, Maeſtro in Teologia, gran Filoſofo, & eſperto in molte coſe, e diſtillator mirabile, e pratico de l’arte Magica. E perche voleua il buon Frate mantenerſi in buona openione del volgo, & anco goder di quei diletti che gli capeuano ne la mente, ſi ſforzaua far i fatti ſuoi piû cautamente che poteua: E per ogni caſo che poteſſe occorrere, cercaua ſempre appoggiarſi ad alcuna perſona nobile e di riputatione. Haueua tra gli altri amici che in Verona il fauoriuano, il Padre di Romeo, ch’era Gentilhuomo di gran credito, & in buona ſtima appo tutti, il quale portaua ferma openione, eſſo Frate eſſer ſantiſsimo. Romeo medeſimamente molto l’amaua, & era dal Frate ſommamente amato, conoſcendolo Giouine prudente & animoſo. Ne ſolamente praticaua in caſa de i Montecchi, ma anco con i Capelletti teneua ſtretta domeſtichezza, & in confeſsione vdiua la più parte de la nobiltà de la Città, coſi d’huomini come di donne. Preſo adunque Romeo congedo, con l’ordine detto, da Giulietta ſi partì, & andò à caſa, e venuto il giorno ſi traſferì à San Franceſco, & à Meſſer lo Frate narrò tutto il ſucceſſo del ſuo amore, e la conchiuſione fatta con Giulietta. Fra Lorenzo, vdito queſto, promiſe far tutto ciò che Romeo voleua; ſi perche à quello non poteua coſa veruna negare, & altreſi che con queſto mezzo ſi perſuadeua poter pacificare inſieme i Capelletti & ì Montecchi, & acquiſtarſi di più in più la gratia del Signor Bartolomeo, che infinitamente deſideraua che queſte due Caſate faceſſero pace, per leuar tutti i tumulti de la ſua Città. Aſpettauano i dui Amanti l’occaſione del confeſſarſi; per dar effetto à quanto haueuano ordinato. Venne il tempo de la Quadrageſima, e per più ſicurezza de i caſi ſuoi, Giulietta ſi deliberò fidarſi d’vna ſua vecchia, che ſeco in camera dormiua: E pigliata l’oportunità, tutta l’hiſtoria del ſuo Amore à la buona vecchia ſcoperſe. E quantunque la vecchia aſſai la ſgridaſſe, e diſſuadeſſe da cotal impreſa, nondimeno neſſuno profitto facendo, condeſceſe al voler di Giulietta; la quale tanto ſeppe dire, che induſſe quella à portar vna lettera à Romeo. L’Amante, veduto quanto gli era ſcritto, ſi ritrouò il più lieto huomo del mondo, perciò che quella gli ſcriueua, che à le cinque hore de la notte, egli veniſſe à parlar à la fineſtra per iſcontro il Caſale, e portaſſe ſeco vna ſcala di corda. Haueua Romeo vn ſuo fidatiſsimo Seruidore, del quale in coſe di molta importanza piû volte s’era fidato, e trouatolo ſempre preſto e leale. A coſtui, dettoli ciò che far intendeua, diede la cura di trouar la ſcala di corda; E meſſo ordine al tutto, àl’hora determinata ſe n’andò con Pietro, (che coſi il ſeruidore haueua nome) al luogo, oue trouo Giulietta che l’aſpettaua, la quale come il conobbe, mandò giù lo ſpago, che appreſtato haueua, e ſu tirò la ſcala à quello attaccata, e con l’aita de la vecchia, che ſeco era, la ſcala à la ferrata fermamente accomãdata, attendeua la ſalita de l’Amante. Egli ſu arditamente ſalì, e Pietro dentro al Caſale ſi ricouerò. Salito Romeo ſu la fineſtra, che la ferrata haueua molto ſpeſſa e forte, di modo ch’vna mano difficilmente paſſar vi poteua, ſi miſe à parlar con Giulietta. E date e riceuute l’amoroſe ſalutationi, coſi Giulietta al ſuo Amante diſſe. Signor mio, à me vie piû caro, che la luce de gli occhi miei, io vi ci ho fatto venire, per ciò che con mia Madre ho poſto ordine andarmi à confesſare venerdi proſſimo che viene, ne l’hora de la predicatione. Auiſatene Fra Lorenzo, che proueda del tutto. Romeo diſſe che già il Frate era auuertito, e diſpoſto di far quanto eſſi voleuano. E ragionato buona pezza tra loro de i loro Amori, quando tempo li parue, Romeo diſceſſe giù, e diſtaccata la fune de la corda, e quella preſa, con Pietro ſi partì. Rimaſe Giulietta molto allegra, parendole vn’hora mill’anni, che il ſuo Romeo ſpoſaſſe. Da l’altra banda, Romeo col ſuo Seruidore, ragionando, era tanto lieto, che non capeua ne la pelle. Venuto il Venerdi (come dato era l’ordine) Madonna Giouanna (che era Madre di Giulietta) preſa la figliuola e le ſue Donne, andô à San Franceſco, che à l’hora era in Cittadella, & entrata in Chieſa, fece domandar Fra Lorenzo. Egli che del tutto auuertito era, e già haueua ne la Cella del ſuo Confeſſionario fatto entrar Romeo, e chiauatolo dentro, venne à la Donna, la quale gli diſſe. Padre mio; io ſon venuta à buon’hora à confeſſarmi, e coſi anco ho condutto Giulietta, perche ſo che voi ſarete tutto il di occupatiſsimo per le molte confeſsioni de i noſtri figliuoli ſpirituali. Diſſe il Frate, che in nome di Dio foſſe, e data loro la beneditione, andò dentro il Conuento, & entrò nel Confeſsionario, oue Romeo era. Da l’altra parte Giulietta prima fu che ſi preſentò innanzi à Meſſer lo Frate. Quiui entrata, e chiuſa la porta, diede al Frate il ſegno che era dentro. Egli leuata via la graticola, dopo i cõueneuoli ſaluti, diſſe à Giulietta. Figliuola mia; per quello che mi riferiſce Romeo, tu ſeco accordata ti ſei di prenderlo per Marito, & egli é diſpoſto prender te per Moglie. Sete voi hora di queſta diſpoſitione? Riſpoſero gli Amanti, che altro non deſiderauano. Meſſer lo Frate, vdita la volontà d’ambidue, poi che alcune coſe hebbe detto in commendatione del ſanto matrimonio, dette quelle parole che ſi coſtumano (ſecondo l’ordine de la Chieſa) dir ne i ſpoſalitii, Romeo diede l’anello à la ſua cara Giulietta, con grandiſſimo piacere di tutti dui. Preſo poi ſeco ordine d’andar la ſeguente notte à trouarla, e per il buco de la fineſtrella baſciataſi, ſe n’vſcì cautamente Romeo de la cella e del Conuento, e lieto andò à far i fatti ſuoi. Il Frate rimiſſa la graticola à la fineſtra, e quella in modo acconciata, che neſſuno accorgerſi poteſſe, che foſſe ſtata rimoſſa, vdì la confeſsione de la contenta Giouane, e poi de la madre, e de l’altre Donne. Venuta poi la notte, à l’hora ſtatuita, Romeo con Pietro ſe n’andò à certo muro d’vn Giardino, & aiutato dal ſeruidore, ſalì il muro, e nel Giardino diſceſe; oue trouò la Moglie, che inſieme con la vecchia l’attendeua. Come egli vide Giulietta, incontra l’andò cõ le braccia aperte. Il medeſimo fece Giulietta à lui, & auuinchiatogli il collo, ſtette buona pezza da ſouerchia dolcezza ingombrata, che nulla dir poteua. Era al medeſimo ſegno l’infiammato Amante, parendogli ſimil piacere non hauer guſtato già mai. Cominciarono poi à bacciarſi l’vn l’altro, con infinito diletto, & indicibil gioia di tute due le parti. Ritirataſi poi in vno de i canti del Giardino, quiui ſoura certa banca che ci era, amoroſamente inſieme giacendo, conſumarono il ſanto Matrimonio. Et eſſendo Romeo giouine di forte nerbo, e molto ĩnamorato, piû e piû volte à diletto con la ſua bella Spoſa ſi riduſſe. Poi meſſo ordine di trouarſi de l’altre volte inſieme, & in queſto mezzo far praticar Meſſer Antonio, per far la pace & il parentado, Romeo, baſciata mille e mille fiate la Moglie, ſe n’vſcí del Giardino, ſeco ſteſſo pieno di gioia dicendo. Qual huomo hoggidi al Mondo ſi truoua, che di me più felice viua? Qual ſarà che meco in Amor ſ’agguagli? Qual ſi bella e ſi leggiadra Giouanetta, come io ho hebbe già mai? Nemeno fra ſe medeſima Giulietta ſi prezzaua, e ſi teneua beata, parẽdole pure che impoſsibil foſſe che ſi poteſſe trouar vn Giouine, che di bellezza, di belle maniere, di corteſia, di gentilezza, e di mill’altre care e belle doti, al ſuo Romeo foſſe vguale. Aſpettaua adunq; con il maggior deſiderio del mondo, che le coſe in modo ſi adattaſſero, che ſenza ſoſpetto ella poteſſe Romeo godere. Coſi auuenne che alcuni di gli ſpoſi inſieme ſi ritrouarono, & alcuni nò. Fra Lorenzo, tutta via praticaua quanto poteua la pace tra Montecchi & i Capelletti, & haueua ridutto le coſe ad aſſai buon termine, di tal maniera, che ſperaua conchiuder il parentado de gli Amanti, con buona ſodisfatione di tutte due le parti. Erano le feſte de la Paſqua de la Reſurettione, quando auuenne, che ſu il corſo vicino à la Porta de i Borſari, verſo Caſtel vecchio, molti di quelli de i Capelletti incontrarono alcuni de i Montecchi, e con l’arme fieramente gli aſſalirono. Era tra i Capelletti Tebaldo primo cugino di Giulietta, Giouine molto prode de la perſona, il quale eſſortaua i ſuoi à menar le mani animoſamente contra i Mõtecchi, e non riſguardar in viſo à perſona. Creſceua la miſchia, e tutta via à l’vna & à l’altra parte venẽdo aita di gente e d’arme, erano gli azzuffati in modo acceſi, che ſenza riſguardo veruno ſi dauano di molte ferite. Hor ecco che à caſo vi ſouragiunſe Romeo, il quale oltra i ſeruidori ſuoi haueua anco ſeco alcuni giouini ſuoi compagni, & andauano per la Città à diporto. Egli veduti i ſuoi Parenti eſſer à le mani con i Capelletti, ſi turbò forte, per ciò che ſapendo la pratica che era de la pace, che maneggiaua Meſſer lo Frate, non hauerebbe voluto che queſtione ſi foſſe fatta. E per acquetar il romore, à i ſuoi compagni e ſeruidori altamente diſſe, e fu da molti ne la contrada ſentito. Fratelli; entriamo in mezzo à coſtoro, e vediamo per ogni modo che la zuffa non vada più ĩnanzi, ma sforziamoci à fargli por giû l’arme. E coſi cominciò egli à ributtar i ſuoi e gli altri, & eſſendo da i compagni ſeguitato, animoſamẽte s’approuò, con fatti e con parole, far di modo, che la zuffa non procedeſſe più auanti. Ma nulla puotê operare, perciò che il furore da l’vna e l’altra parte era tanto creſciuto, che ad altro non attendeuano, che à menar le mani. Già erano per terra dui o tre per banda caduti, quando indarno affaticandoſi Romeo per far à dietro ritirar i ſuoi, venne Tebaldo per trauerſo, e diede vna gagliarda ſtoccata à Romeo in vn fianco. Ma perche egli haueua la corazzina de la maglia, non fu ferito, che lo ſtocco non puotè paſſar la corazza. Onde riuoltato verſo Tebaldo, con parole amicheuoli gli diſſe. Tebaldo; tu ſei grandemente errato, ſe tu credi che io qui ſia venuto per far queſtione ne teco ne con i tuoi. Io à caſo mi ci ſono abbattuto, e venni per leuarne via i miei, bramando che horamai viuiamo inſieme da buoni Cittadini; E coſi t’eſſorto, e prego che tu faccia con i tuoi, à ciò che più ſcandalo veruno non ſegua, che pur troppo ſangue s’è ſparſo. Queſte parole furono quaſi da tutti vdite; Ma Tebaldo, o non intendeſſe ciò che Romeo diceua, o faceſſe viſta di non intenderlo, riſpoſe. Ah traditore, tu ſei morto: E cõ furia à doſſo ſe gli auuentò, per ferirlo ſu la teſta. Romeo che haueua le maniche de la maglia, che ſempre portaua, & al braccio ſiniſtro auuolta la cappa, ſe la poſe ſoura il capo, e riuoltata la punta de la ſpada verſo il Nemico, quello dirittamente ferì ne la gola, e glie la paſſô di banda in banda, di modo che Tebaldo ſubito ſi laſciò caſcar boccone in terra morto. Il romore ſi leuò grandiſsimo, & arriuando la corte del Podeſtà, de i combattenti chi andò in quà, chi in là. Romeo fuor di miſura dolẽte che Tebaldo haueſſe morto, accompagnato da molti de i ſuoi, ſe n’andò à ſan Franceſco à ricouerarſi ne la camera di Fra Lorenzo. Il buon Frate, vdendo il caſo interuenuto de la morte del Giouine Tebaldo, reſtò molto diſperato, ſtimando che ordine piû non ci foſſe di leuar la nemicizia tra le due famiglie. I Capelletti, vniti inſieme, andarono à querelarſi al Signor Bartolomeo. Da l’altra parte, il Padre de l’aſcoſo Romeo con i primi de i Montecchi, prouarono, che andando Romeo per la Città à diporto con i ſuoi compagni, che à caſo abbattendoſi, oue i Montecchi erano ſtati aſſaliti da i Capelletti, entrô ne la zuffa per leuar via i romori, & acquetar la queſtione, mà che ferito di trauerſo da Tebaldo, lo pregò che voleſſe far ritirar i ſuoi, e depor l’armi, e che Tebaldo ritornò à ferirlo, & il caſo com’era ſucceſſo. E coſi l’vn l’altro accuſando, e tutti ſcuſandoſi, innanzi al Signor Bartolomeo, fieramente tentionauano. Tutta via, eſſendo aſſai manifeſto i Capelletti eſſer ſtati gli aſſalitori, e prouatoſi per molti teſtimonii degni di fede ciò che Romeo prima à i ſuoi compagni detto haueua, e le parole verſo Tebaldo vſate, il Signor Bartolomeo, fatto depor à tutti l’arme, fece bandir Romeo. Era ne la caſa de i Capelletti vn grandiſſimo pianto, per la morte del loro Tebaldo. Giulietta, allargate le vene al lagrimare, à q̃llo punto non metteua ſoſta, ma dirottamente piangendo, non la morte del Cugino piangeua, ma de la perduta ſperanza del parentado oltra modo s’attriſtaua, e miſeramente s’affligeua, non ſapendo à che fine la coſa riuſciſſe, imaginarſi. Hauendo poi per via di Fra Lorenzo inteſo oue Romeo ſi trouaua, gli ſcriſſe vna lettera, tutta piena di lagrime, e per mano de la vecchia al Frate la mandò. Sapeua ella Romeo eſſer bandito, e che forza era che da Verona ſi partiſſe. Onde affettuoſiſsimamente lo pregaua, che le voleſſe dar il modo di partirſi ſeco. Romeo le ſcriſſe che ſi deſſe pace, che col tempo al tutto prouederia, e che anchor nõ era riſoluto oue ricouerarſi deueſſe, ma che più vicino che foſſe poſsibile anderia à ſtare, e che innanzi che partiſſe, farebbe ogni ſforzo di ritrouarſi con lei à parlamẽto, oue piû comodo à quella foſſe. Eleſſe ella per men periglioſo luogo il Giardino, oue le nozze del ſuo matrimonio già fatte haueua. E determinata la preciſa notte, ch’inſieme eſſer deueuano, Romeo preſe le ſue arme, del Convento con aita di Fra Lorenzo vſcì, & accompagnato dal ſuo fidatiſſimo Pietro, à la Moglie ſi conduſſe. Entrato nel Giardino, fu da Giulietta cõ infinite lagrime raccolto. Stettero buona pezza tutti dui ſenza poter formar parola, beuendo inſiemente (baſciandoſi) l’vn de l’altro le ſtillanti lagrime, che in abbondanza grãdiſsima diſtillauano. Poi condolendoſi che ſi toſto diuider ſi deueſſero, altro non ſapeuano fare che lagrimare, e lamentarſi de la contraria Fortuna à i lor Amori; & abbracciandoſi e baſciandoſi inſieme più volte, amoroſamente inſieme preſero piacere. Appropinquandoſi poi l’hora del partire, Giulietta con quelle preghiere, che puotè le maggiori, ſupplicò il Marito, che ſeco condur la voleſſe. Io (diceua ella) caro il mio Signore; mi raccorcerò la lunga chioma, e veſtirommi da Ragazzo, & ouunq; più vi piacerà andare ſempre ne verrò voſco, & amoreuolmente vi ſeruirò: E qual più fidato ſeruidore di me potreſte voi hauere? Deh (caro il mio Marito) fatemi queſta gratia, e laſciatemi correr vna medeſima Fortuna cõ voi, à ciò che quello che ſarà di voi, ſia di me. Romeo, quanto più poteua, con dolciſsime parole la confortaua, e ſi sforzaua conſolarla, aſsicurandola, che portaua ferma openione, che in breue il ſuo bando ſaria riuocato, perciò che di già il Prencipe n’haueua data alcuna ſperanza à ſuo Padre. E che quando condurla ſeco voleſſe, non in habito di paggio la menarebbe, ma come ſua Moglie e Signora vorrebbe che honoratamente, e da ſua pari accompagnata andaſſe. L’affermaua poi, che il bando più d’vn anno non dureria, perche ſe in queſto mezzo la pace tra i parenti loro non ſi faceua amicabilmente, che il Signore vi metteria poi la mano, & à mal grado di chi non voleſſe, gli faria pacificare. Auueniſſe poi ciò che ſi voleſſe, che veggendo le coſe andar in lungo, egli prenderia altro partito, eſſendogli impoſsibile, che ſenza lei lungo tempo viueſſe. Diedero poi ordine di darſi nuoua con lettere. Molte coſe diſſe Romeo à ſua Moglie, per laſciarla conſolata; Ma la ſconſolata Giouane altro non faceua che piangere. A la fine, cominciando l’Aurora à voler vſcire, ſi baſciarono e ſtrettamente abbracciarono gli Amanti, e pieni di lagrime e ſoſpiri ſi diſſero à Dio. Romeo à San Franceſco ſe ne tornò, e Giulietta in camera. Indi poi à dui o tre giorni, hauendo già Romeo diſpoſto il modo che voleua tenere à partirſi, celatamẽte in habito di Mercadãte ſtraniero di Verona vſcito, trouô buona e fidata compagnia à l’ordine, & à Mantoua ſicuramente ſi conduſſe. Quiui preſa vna caſa, non gli laſciando ſuo padre mancar danari, honoratamente e ben accompagnato ſe ne ſtaua. Giulietta tutto il di altro non faceua che piangere e ſoſpirare, e poco mangiaua, e meno dormiua, menando le notti vguali à i giorni. La Madre, veggendo il pianger de la figliuola, più e piû volte le dimandò la cagione di quella ſua mala contentezza, e che coſa ſi ſentiſſe, dicendole che hoggi mai era tempo di por fine à tante lagrime, e che pur troppo la morte del ſuo cugino pianto haueua. Giulietta riſpõdeua non ſaper che coſa s’haueſſe. Tutta via, come da la compagnia inuolar ſi poteua, ſi daua in preda al dolore, & à le lagrime. Il che fu cagione che ella ne diuenne magra, e tutta malinconica, di modo che più quella bella Giulietta, che prima era, quaſi non aſſembraua. Romeo con lettere la teneua viſitata, e confortata, dandole ſempre ſperanza che in breue ſarebbero inſieme. La pregaua anco caldamente à ſtar allegra, e traſtullarſi, e non ſi prender tanta malinconia, che al tutto ſi prenderebbe il miglior modo che ſi poteſſe. Ma il tutto era indarno, perciò che ella non poteua ſenza Romeo pigliar à le ſue pene rimedio alcuno. Penſò ſua madre, che la triſtezza de la Giouane foſſe, che per eſſer ſtate maritate alcune compagne di quella, ella altreſi voleſſe Marito. Cadutole queſto penſiero in capo, lo cõmunicò al Marito, e gli diſſe. Marito mio; q̃ſta noſtra figliuola mena vna triſtiſsima vita, & altro mai nõ fa che pianger e ſoſpirare e (quãto più può) fugge la conuerſatione di ciaſcuno. Io piû volte l’ho dimandata la cagione di queſta ſua mala contentezza, & ho ſpiato da ogni banda per venirne in cognitione, e nulla ho potuto intender già mai. Ella mi riſponde ſempre d’vn tenore, che non ſa che coſa s’habbia, e tutti quei di caſa ſi ſtringono ne le ſpalle, ne ſanno che ſe ne dire. Certo è che alcuna gran paſsione la tormenta, poi che coſi ſenſibilmente ella và come cera al fuoco cõſumandoſi. E poi che mille coſe tra me m’ho imaginate, vna ſola m’ê venuta à la mente, per la quale io dubito forte, che hauendo vedute tutte le ſue compagne eſſer il Carneual paſſato diuenute Spoſe, e che di lei non ſi parli di darle Marito, che quindi naſca queſta ſua triſtezza. Ella á queſta Santa Eufemia che viene compirà i ſuoi diciotto anni. Onde m’è paruto (Marito mio) dirtene vn motto, parendomi ch’hora mai ſia tempo che tu debbia procacciarle vn buono & honorato partito, e nõ tenerla più ſenza marito, perche coteſta non è mercadantia da tener per caſa. Vdito Meſſer Antonio quanto la Moglie detto gli haueua, e non gli parendo fuor di propoſito, coſi le riſpoſe. Moglie; poi che tu non hai potuto cauar altro de la malinconia de la noſtra figliuola, e ti pare che ſe le debbi dar Marito, io faró quelle pratiche che più al propoſito mi parranno, per trouarle Marito condecente al grado de la caſa noſtra. Ma vedi tu fra queſto mezzo ſpiare, ſe ella tal hora foſſe innamorata, e da lei intender che Marito più gli piaceria. Madonna Giouanna diſſe di far tutto ciò che ſaperia, e non mancò di nuouo d’inueſtigare, e da la figliuola e dagli altri di caſa, quanto ſeppe e puotê; ma nulla mai inteſe. In queſto tempo, fu meſſo per le mani à M. Antonio il Conte Paris di Lodrone, giouine di ventiquattro in venticinque anni, molto bello e ricco. E praticandoſi queſto buon partito, con non poca ſperanza di buon fine, M. Antonio lo diſſe à la Moglie, & ella (parendole coſa buona e molto honorata) lo diſſe à la figliuola: Del che Giulietta ſe ne moſtrò fuor di modo dolente e triſta. Madonna Giouanna ciò veggendo, ſi trouò pur troppo di mala voglia, non potendo indouinare di queſto la cagione. E poi che molti ragionamenti hebbe con Giulietta fatti, le diſſe. Adunque (figliuola mia) à quello che io ſento, tu non vuoi Marito. Io non vò altrimenti maritarmi (riſpoſe ella à la Madre) ſoggiungendo, che ſe punto l’amaua, e di lei le caleua, che non le fauellaſſe di Marito. La Madre vdẽdo la riſpoſta de la figliuola, à quella diſſe. Che vuoi tu adunque eſſere, ſe non vuoi Marito? Vuoi tu farti Pinzochera, o diuentar Monaca? Dimmi l’animo tuo. Giulietta à l’hora le riſpoſe, che non voleua eſſer Pinzochera, ne Monaca, e che non ſapeua ciò che ſi voleſſe, ſe non morire. Reſtò la madre à queſte riſpoſte piena d’ammiratione e diſpiacere, e non ſapeua che dirſi, e meno che farſi. Tutti quei di caſa altro non ſapeuano che dire, ſe nõ che Giulietta dopo la morte del Cugino ſempre era ſtata di maliſsima voglia, e che non ceſſaua mai di piangere, ne do poi à le fineſtre era ſtata veduta. Riferì ogni coſa Madonna Giouanna à Meſſer Antonio. Egli chiamata à ſe la figliuola, dopo alcuni ragionamenti, le diſſe. Figliuola mia; veggendo ti hoggimai d’età da Marito, t’ho ritrouato vno ſpoſo molto nobile, ricco e bello, il quale è Signor e Conte di Lodrone. Perciò diſponti à prenderlo, e far quanto io voglio, che ſimili honoreuoli partiti ſi trouano di rado. A queſto Giulietta, cõ maggior animo che ad vna fanciulla non conueniua, liberamente riſpoſe, che ella non voleua maritarſi. Il Padre ſi turbò forte, e ſalito in colera, fu vicino à batterla. Ben la minacciò rigidamente con agre parole, & à la fine le conchiuſe, che voleſſe o nò, frà tre o quattro giorni ella deliberaſſe andar con la Madre & altre Parenti à Villafranca, perciò che quiui deueua venir il Conte Paris con ſua compagnia à vederla, e che à queſto non faceſſe ne replica ne riſiſtenza, ſe non voleua che le rompeſſe il capo, e la faceſſe la più triſta figliuola che mai foſſe nata. Qual foſſe l’animo di Giulietta, quali i penſieri, penſilo chi mai prouò le fiãme amoroſe. Ella reſtò ſi ſtordita, che proprio pareua tocca da la ſaetta del folgorante Tuono. In ſe poi riuenuta, auuiſò del tutto Romeo per via di Fra Lorenzo. Romeo le riſcriſſe, che faceſſe buon animo, perche verria in breue à leuarla de la caſa del Padre, e condurla à Mantoua. Hor fu pur forza che andaſſe à Villafranca, oue il Padre haueua vn belliſſimo Podere. Ella v’andò con quel piacere che vanno i condãnati à la morte, ſu le forche ad eſſer impiccati per la gola. Era quiui il Cõte Paris, il quale ne la chieſa à meſſa la vide: E ben che foſſe magra, pallida e malinconica, gli piacque, e vẽne à Verona, oue cõ M. Antonio cõchiuſe il matrimonio. Ritornó anco Giulietta à Verona, à cui il Padre diſſe, come il matrimonio del Conte Paris e di lei era conchiuſo, eſſortandola à ſtar di buona voglia, e rallegrarſi. Ella fatto forte animo, ritenne le lagrime, de le quali gli occhi haueua colmi, e niente al Padre riſpoſe. Certificata poi che le nozze ſ’appreſtauano, ᵱ mezzo Settembre venente, e nõ ſapendo trouar compenſo, in coſi forzato biſogno, à i caſi ſuoi, deliberò andar ella ſteſſa à parlar con Fra Lorenzo, e ſeco conſegliarſi del modo che tener deueua à liberarſi dal già promeſſo matrimonio. Era vicina la feſta de la glorioſa Aſſunzione, de la ſempre beatiſſima Vergine Madre del noſtro Redentore. Onde Giulietta preſa queſta occaſione, trouata ſua Madre, coſi le diſſe. Madre mia cara; io non ſo ne poſſo imaginarmi, onde ſia naſciuta queſta mia fiera malinconia, che tanto m’affligge, perche da poi che Tebaldo fu morto, mai non ho potuto rallegrarmi, e par che di continouo io vada di mal in peggio, ne truoui coſa che mi gioui. E perciò ho penſato à queſta benedetta e ſanta feſta de l’Aſſuntione de la noſtra Auuocata Vergine Maria, confeſſarmi; che forſe con queſto mezzo, io riceuerò alcun compenſo à le mie tribulationi, che ne dite voi Madre mia dolce? Parui egli ch’io faccia quanto m’è caduto in mente? Se altra via vi pare che prender ſi debbia, inſegnatemela, che io per me non ſo doue mi dia del capo. M. Giouãna, che era buona donna, e molto religioſa, hebbe caro intender l’intention de la figliuola, e l’eſſortô à ſeguir il ſuo propoſito, cõmendandole molto cotal penſiero. E coſi di brigata ſe n’andarono à San Franceſco, e fecero chiamar Fra Lorenzo, al quale, venuto, e nel confeſsionario entrato, Giulietta da l’altra banda ſe n’andaua à porſi dinanzi, & in queſto modo gli diſſe. Padre mio; non è perſona al mondo, che meglio di voi ſappia quello che tra mio Marito e me è paſſato, e perciò non fa meſtieri, che io altrimenti ve lo ridica. Deuete anco ricordarui d’hauer letta la lettera, che io vi mandai che leggeſsi, e poi la mandaſsi al mio Romeo, oue ſcriueua come mio Padre m’haueua promeſſa ᵱ Moglie al Conte Paris di Lodrone. Romeo mi riſcriſſe che verrà, e che farà; Ma Dio ſa quando. Hora il fatto ſta, che tra loro hanno conchiuſo queſto Meſe di Settembre che viene, che le nozze ſi facciano, & io ſia condutta à l’ordine. E perche il tempo s’appreſſa, & io non veggio via da ſuilupparmi da queſto Lodrone, che ladrone & aſſaſsino mi pare, volendo le coſe altrui rubare, ſon qui venuta per conſeglio & aita. Io non vorrei, con queſto verrò e ben faró che Romeo mi ſcriue, reſtar auuiluppata, perciò che io ſon moglie di Romeo, e cõſumato ho il matrimonio, ne d’altri che di lui eſſer poſſo, & anchora che io poteſsi, non voglio, perche di lui ſolo eternamente eſſer intendo. Mi biſogna mò l’aita voſtra, & il conſeglio. Ma vdite quanto in mente m’è caduto di voler fare. Io vorrei (Padre mio) che voi mi faceſsi ritrouar calze, giuppone & il reſto de le veſtimenta da Ragazzo, à ciò che veſtita ch’io ne ſia, poſſa la ſera ſu’l tardi, od il matino à buoniſſim’hora, vſcirmene di Verona, che perſona non mi conoſcerá, e me n’anderò di lungo à Mãtoua, e mi ricouererò in caſa del mio Romeo. M. lo Frate vdẽdo queſta fauola non troppo maeſtreuolmente ordita, e punto non piacendogli, diſſe. Figliuola mia; il tuo penſiero non è da metterſi ad eſſecutione, perciò che à troppo gran riſchio tu ti porreſti: Tu ſei troppo Giouanetta, delicatamẽte nodrita, e non potreſti ſofferire la fatica del viaggio, che vſa nõ ſei à caminar à piede. Poi, tu non ſai il camino, & andreſti errãdo hor quà hor là. Tuo Padre, ſubito che non ti trouaſſe in caſa, manderia à tutte le porte de la Città, e per tutte le ſtrade del Contado, e ſenza dubio di leggero le ſpie ti trouerebbero. Hora, eſſendo rimenata à caſa, tuo Padre vorrebbe da te intender la cagione del tuo partire, coſi veſtita da huomo. Io non ſo come potreſti ſopportar le minaccie che ti fariano, e forſe le battiture che ti ſarebbero da i tuoi date, per intender la verità del fatto, e doue faceui il tutto, per andar à veder Romeo, perdereſti la ſperanza di riuederlo piû mai. A le veriſimili parole del Frate, acquetandoſi Giulietta, gli replicò. Poi che l’auuiſo mio (Padre) nõ vi par buono, & io vi credo, conſegliatemi adunque voi, & inſegnatemi ſnodar queſto mio intricato nodo, ou’io (miſera me) hora auuiluppata mi trouo, à ciò che quãto poſſibil fia, con minor trauaglio, col mio Romeo poſſa trouarmi, con ciò ſia coſa, che ſenza lui è impoſſibil ch’io viua. E ſe in altro modo darmi aita non potete, aiutatemi al meno, che non deuendo eſſere di Romeo, io non ſia di neſſun’altro. Romeo m’ha detto che voi ſete gran diſtillatore d’herbe, e d’altre coſe, e che diſtillate vn’acqua, che in due hore ſenza far dolore alcuno à la perſona ammazza l’huomo. Datemene tanta quantità che baſti à liberarmi da le mani di queſto ladrone, poi che altramente à Romeo render non mi potete. Egli amandomi (come ſo che m’ama) ſi contenterà ch’io più toſto mora, che à le mani d’altri viua peruenga. Me poi liberarete da vna grandiſſima vergogna, e tutta la caſa mia, perciò che, ſe altra via non ci ſarà à leuarmi fuor di queſto tempeſtoſo mare, oue hora in ſdruſcito legno ſeuza gouerno mi ritrouo, io vi prometto la fede mia (e quella vi attenderò) che vna notte con vn tagliente coltello contra me ſteſſa incrudelirò, e mi ſegherò le vene de la gola: Che prima morir deliberata ſono, che di non mantener la fede coniugale à Romeo. Era il Frate vn grandiſſimo eſperimẽtatore, che à i ſuoi di haueua cercati aſſai paeſi, & eraſi dilettato di prouare e ſaper coſe diuerſe, e ſopra il tutto conoſceua la vertù de l’herbe e de le pietre, & era vno de i gran diſtillatori, che à quei tempi ſi trouaſſero. E tra l’altre ſue coſe, egli componeua alcuni ſonniferi Semplici inſieme, & vna paſta ne faceua, che poi riduceua in minutiſſima poluere, che era di merauiglioſa vertù. Ella poi che era con vn poco d’acqua beuuta, in vno o dui quarti d’hora, di modo faceua dormire chi beuuta l’haueſſe, e ſi gli ſtordiua gli ſpiriti, e di maniera l’acconciaua; che non c’era Medico, per eccellentiſsimo che foſſe e ben pratico, che non giudicaſſe colui eſſer morto. Teneua poi in coſi dolce morte il beuitore circa quaranta hore al meno, e tal hora più, ſecondo la quantità che ſi beueua, e ſecondo il temperamento de gli humori del corpo di chi la beueua. Fatta che haueua la poluere la ſua operatione, ſuegliauaſi l’huomo o donna, ne piû ne meno come ſe lungo ſonno dolcemente haueſſe dormito, ne altro diſturbo o male faceua. Hora, hauendo M. lo Frate inteſa chiaramente la deliberata diſpoſitione de la ſcõſolata Giouane, à pietà di lei commoſſo, à gran pena puotè ritener le lagrime. Onde con pietoſa voce le diſſe. Vedi (figliuola mia) egli non biſogna parlar di morire, perche io t’aſsicuro che ſe vna volta morrai, che di qua non tornerai più, ſe non il giorno de l’vniverſal Giuditio, quando inſieme con tutti i morti ſaremo ſuſcitati. Io vo che tu penſi à viuere, fin che à Dio piacerà. Egli ci ha data la vita, egli la ci conſerua, egli quando gli piace, à ſe la ritoglia. Si che caccia da te queſto malinconico penſiero. Tu ſei giouane, & adeſſo ti deue giouar di viuere, e di goder il tuo Romeo. Noi trouaremo rimedio à tutto, non dubitare. Come tu vedi, io ſono in queſta magnifica Città generalmente appo tutti in grandiſsimo credito e buona riputatione. Se ſi ſapeſſe ch’io foſſi ſtato conſapeuole del tuo matrimonio; e dãno e vergogna infinita ne riporterei. Ma che ſaria ſe io ti deſsi veleno? Io nõ n’ho, e quando ben n’haueſsi, nõ te ne darei, ſi perche l’offeſa di Dio ſarebbe mortaliſsima, e ſianco ché io in tutto perderei il credito. Tu puoi ben intendere che per l’ordinario poche coſe d’importanza ſi fanno, che io cõ la mia autorità non ci intrauenga. E non ſono anchor quindeci giorni, che il ſignor de la Città m’adoperô in vn maneggio di grandiſsimo momento. Perciò (figliuola) io volentieri per te, e per Romeo m’affaticherô, & à tuo ſcampo farò di modo, che reſterai di Romeo, e non di queſto Lodrone, ne ti conuerrá morire. Ma biſogna far di modo che la coſa nõ ſi riſappia già mai. A te mò conuiene eſſer ſicura & animoſa, che ti deliberi di far quanto t’ordinerò, che ſarà ſenza farti vn minimo nocumento in alcun conto che ſi ſia; & odi in che modo. Quiui il Frate puntalmente à la Giouane manifeſtò la ſua poluere, e le diſſe la vertù che haueua, e che piû volte l’haueua eſperimentata, e ſempre trouatala perfetta. Figliuola mia (diceua M. lo Frate) queſta mia poluere è tãto pretioſa, e di ſi gran valore, che ſenza nocumento ti farà dormire quãto t’ho detto, & in quel mezzo che tu quietiſsimamente ripoſerai, ſe Galeno, Hippocrate, Meſſue, Auicenna, e tutta la ſcola de i più eccellenti Medici che ſono, o furono già mai, ti vedeſſero, e ti toccaſſero il polſo, tutti ad vna voce morta ti giudicheriano. E come tu l’hauerai digerita, da quel artificiato dormire coſi ſana e bella ti deſterai, come ſuoli, quando il matino fuor del tuo letto ti leui. Si che beuẽdo queſt’acqua là ne l’apparir de l’alba, poco dopoi ti addormẽterai, & à l’hora del leuare, veggẽdo i tuoi che tu dormi, ti vorrãno ſuegliare, e non potranno. Tu reſterai ſenza polſo, e fredda come ghiaccio. Chiameranſi i Medici & i parenti, & in ſomma tutti ti giudicheranno morta: E coſi ſu la ſera ti faranno ſepellire, e ti metterãno dentro l’arca de i tuoi Capelletti. Quiui à tuo bell’ agio ripoſerai la notte & il di. La notte poi ſeguente, Romeo & io verremo à leuarti fuori, perciò che io del caſo, per meſſo à poſta, auuiſerò Romeo. E coſi egli con ſegreta maniera ti merrà à Mantoua, & iui celatamente ti terrà, fin che q̃ſta benedetta pace tra i ſuoi & i tuoi ſi faccia; Che à me dà l’animo ageuolmente di farla. Se q̃ſta via non prendi, io non ſo con che altro poterti dar ſoccorſo. Ma vedi (come t’ho detto) Egli ti cõuien eſſer ſegreta, e ritener queſta coſa in te; altrimenti guaſtareſti i fatti tuoi & i miei. Giulietta, che dẽtro vna fornace ardente ᵱ trouar Romeo andata ſaria, non che in vna ſepoltura, diede intiera credenza à le parole del Frate, e ſenza altrimẽti penſarui, vi ſ’accordò, e gli diſſe. Padre io farò il tutto che voi mi dite, e coſi ne le mani voſtre mi rimetto; ch’io dica queſta coſa à perſona nõ dubitate, che io ſarò ſegretiſsima. Corſe ſubito il Frate à la camera, & à la giouane recò tãta poluere, quãta capirebbe in vn cucchiaio, inuolta ĩ vn poco di carta. Preſa Giulietta la poluere, la miſe in vna ſua borſa, e molto ringratiò Fra Lorenzo. Egli che aſſai difficilmẽte poteua credere, ch’vna Fanciulla foſſe ſi ſicura, e tanto audace, che in vn auello tra morti ſi laſciaſſe chiudere, le diſſe. Dimmi (figliuola) nõ hauerai tu paura di tuo cugino Tebaldo che ê coſi poco tempo che fu vcciſo, e ne l’arca, oue poſta ſarai, giace, e deue fieramente putire? Padre mio (riſpoſe l’animoſa Giouane) di queſto non vi caglia, che ſe per paſſar per mezzo le penaci pene de l’inferno, io credeſſi trouar Romeo, io nulla temerei quel fuoco eternale. Hor ſia col nome del noſtro ſignor Iddio, diſſe il Frate. Tornò Giulietta à la madre tutta lieta, e ne l’andar verſo la caſa, le diſſe; Madre mia, io vi dico per certo, che Fra Lorẽzo è vn ſantiſsimo huomo. Egli m’ha di modo con le ſue dolci e ſante parole conſolata, che quaſi m’ha tratto fuora de la ſi fiera malinconia che io patiua. Egli m’ha fatto vna predichetta tanto diuota, & à propoſito del mio male, quanto ſi poteſſe imaginare. Madonna Giouanna, che vedeua la figliuola aſſai più del ſolito allegra, e udiua quãto diceua, non capiua in ſe, per l’allegrezza che ſen ua del piacer e conforto de la figliuola, e le riſpoſe. Cara figliuola mia; che Dio ti benedica, io mi trouo molto di buona voglia, poi che tu cominci à rallegrarti, e reſtiamo pur aſſai vbligate à queſto noſtro Padre ſpirituale. Egli ſi vuol hauer caro, e ſoccorrerlo con le noſtre elemoſine, per ciò che il Monaſtero è pouero, & ogni di prega Dio ᵱ noi. Ricordati ſpeſſo di lui, e mandagli alcuna buona pietanza. Credette Madonna Giouãna, che in vero Giulietta per il ſembiante de l’allegria che moſtraua, foſſe fuor de la malinconia che prima haueua, e lo diſſe al Marito, e tutti dui ſe ne teneuano ben contenti e pagati, e ſi leuarono via il ſoſpetto che haueuano, che quella foſſe in alcuna perſona innamorata. Et anchor che imaginar non ſi poteſſero la cagione de la mala contentezza de la figliuola, penſauano che la morte del Cugino, o altro ſtrano accidente l’haueſſe contriſtata. Onde, perche pareua loro anchor troppo giouanetta, volentieri (ſe con honore ſi foſſe potuto fare) l’hauerebbe tenuta dui o tre anni ſenza darle Marito: Ma la coſa col Conte era già tanto innanzi, che ſenza ſcandalo non ſi poteua diſfare ciò che fatto era, e conchiuſo. Si prefiſſe il determinato giorno à le nozze, e Giulietta fu pompoſamente di ricche veſtimenta, e di gioie meſſa in ordine. Ella ſtaua di buona voglia, rideua e ſcherzaua, & vn’hora mill’anni le pareua che veniſſe l’hora del ber l’acqua con la poluere. Venuta la notte, che il di ſeguente, che era Domenica, deueua publicamente eſſer ſpoſata, eſſa Giouine ſenza far motto à perſona, appreſtò vn bicchiero con acqua dentro, e ſenza che la vecchia ſe n’auedeſſe, al capo del letto ſe lo miſe. Ella nulla, o ben poco quella notte dormi, varii penſieri per l’animo rauuolgendo. Cominciãdoſi poi ad appreſſar l’hora de l’alba, ne la quale ella deueua ber l’acqua con la poluere, ſe le cominciò à rappreſentar ne la imagination Tebaldo, del modo che veduto l’haueua ferito ne la gola, tutto ſanguinolente. E penſando che à lato à quello, o forſe à doſſo ſarebbe ſepellita, e che dentro quel monimento erano tanti corpi di morti, e tante ignude oſſa, le venne vn freddo per il corpo, e di modo tutti i peli ſe le arricciarono à doſſo, che oppreſſa da la paura, tremaua come vna foglia al vento. Oltra queſto ſe le ſparſe per tutte le membra vn gelato ſudore, parendole tratto tratto, che ella da quei morti foſſe in mille pezzi ſmembrata. Con queſta paura ſtette alquanto che non ſapeua che farſi. Poi alquanto ripreſo d’ardire, diceua fra ſe. Oimè che voglio io fare? Oue voglio laſciarmi porre? Se per ſorte io mi deſtaſſi prima che il Frate e Romeo vengano, che ſará di me? Potrò io ſofferire quel gran puzzo che deue render il guaſto corpo di Tebaldo, che à pena per caſa ogni triſto odore, quantunque picciolo, non poſſo patire? Chi ſa che alcuno ſerpe, e mille vermini in quel ſepolcro non ſiano, i quali io cotanto temo, & aborriſco? E ſe il core non mi da di mirargli, come potrò ſofferire, che à torno mi ſtiano e mi tocchino? Non ho io poi ſentito dir tante e tante volte, che molte ſpauenteuoli coſe di notte ſono auuenute, non che dentro à ſepolture, ma ne le Chieſe e cimiteri? Con queſto pauroſo penſiero, mille abomineuoli coſe imaginando, quaſi ſi deliberò di non prender la poluere e fu vicina à ſpargerla per terra, & andaua in ſtrani e varii penſieri farneticando, de i quali alcuno l’inuitaua à pigliarla, & altri le proponeuano mille caſi periglioſi à la mente. A la fine, poi che buona pezza ebbe chimerizzato, ſpinta dal viuace e feruente Amore del ſuo Romeo, che ne gli affanni creſceua, ne l’hora che già l’Aurora haueua cominciato à por il capo fuor del balcone de l’Oriente, ella in vn ſorſo, cacciati i cõtrarii penſieri, la poluere con l’acqua animoſamente beuendo; à ripoſar cominció; E guari non ſtette, che ſ’addormentò. La vecchia che ſeco dormiua, anchor che tutta la notte haueſſe cõpreſo, che la Giouane nulla o poco dormiua, non per tanto del beueraggio da quella beuuto ſ’accorſe, e di letto leuataſi, atteſe à far ſuoi biſogni per caſa, come era vſata. Venuta poi l’hora del leuarſi de la Giouane, tornò la vecchia à la camera, dicendo, come fu dentro. Su ſu, che glie tempo di leuarſi. Et aperte le fineſtre, e veggendo che Giulietta non ſi moueua, ne faceua viſta di leuarſi, ſe le accoſtò, e dimenandola diſſe. Su ſu, Dormigliona; leuati. Ma la buona vecchia cantaua à ſordi. Cominciô à ſcuoterla fortemente, e dimenarla quanto poteua, e poi tirarle il naſo, e punzicchiarla; Ma ogni fatica era nulla, Ella haueua di modo legati gli ſpiriti vitali, che i più horrendi e ſtrepitoſi Tuoni del mondo non l’hauerebbero con il tremendo romore che fanno, deſtata. Del che la pouera vecchia fieramente ſpauentata, e veggendo che ne più ne meno faceua ſembiante di ſentire, come hauerebbe fatto vn corpo morto, tenne per fermo, Giulietta eſſer morta. Onde fuor di miſura dolente e triſta, amariſſimamente piangendo, ſe ne corſe à trouar Madonna Giouanna, à la quale dal ſouerchio dolor impedita, á pena puotè dire, anſando. Madõna; voſtra figliuola è morta. Corſe la madre con frettoloſo paſſo, tuttavia lagrimando, e trouata la figliuola acconcia del modo che vdito hauete, ſe fu dolente e da eſtremo cordoglio ingombrata, non è da domandare. Ella mandando le pietoſe voci fino à le ſtele, hauerebbe moſſo à compaſſione le pietre, & addolcite le Tigri, quando per la perdita de i figliuoli più irate ſono. Il pianto & il grido de la Madre e de la vecchia, vdito per tutta la caſa, fu cagione che ciaſcuno quiui correſſe, oue il romor ſi faceua. Vi corſe il Padre, e trouata la figliuola piû fredda che il ghiaccio, e che ſentimento alcuno non moſtraua, fu vicino à morir di doglia. Diuolgatoſi il caſo, di mano in mano tutta la Città ne fu piena. Vi vennero Parenti & amici, e quanto più creſceuano le genti ne la caſa, il pianto vie piû ſi faceua maggiore. Fu ſubito mandato per i più famoſi Medici de la Città, i quali vſati tutti quegli argomenti che ſeppero i più conueneuoli e ſalutiferi, e nulla con l’arte loro di profitteuole aita operando, e la vita inteſa de la Giouane, che già molti di era conſueta di fare, che altro non faceua, che pianger e ſoſpirare, tutti concorſero in queſta openione, che ella veramente da ſouerchio dolor ſoffocata, foſſe morta. A queſto ſi raddoppiò il pianto ſenza fine, e per tutta Verona generalmente ciaſcuno di coſi acerba, & impenſata morte ſi dolſe. Ma ſoura tutti, la dolente Madre era quella, che acerbiſsimamente piangeua e ſi lamentaua, e non voleua riceuer conſolation veruna. Tre volte, abbracciando la figliuola, ſuenne, e tanto morta quanto quella pareua. Il che doglia à doglia accreſceua, e pianto à pianto. L’erano à torno di molte Donne, che tutte ſi sforzauano, à la meglio che ſi poteua, di conſolarla. Ella haueua di modo allentate le redine al dolore, e coſi in poter di quello ſ’era laſciata traſcorrere, che quaſi in diſperatione caduta, non intendeua coſa che ſe le diceſſe, & altro non faceua che pianger e ſoſpirare, e mandar ad hora per hora le ſtrida ſino al cielo, e ſcapigliarſi come forſennata. Meſſer Antonio, non meno di lei dolente, quanto meno con lagrime sfogaua il ſuo cordoglio, tanto più à dentro, quello maggior diueniua. Tuttavia egli che teneramente la figliuola amaua, ſentiua dolor grandiſsimo: Ma come più prudente, meglio ſapeua temperarlo. Fra Lorenzo, quella matina ſcriſſe à lungo à Romeo l’ordine dato de la poluere, e quanto era ſeguito, e che egli la ſeguente notte anderia à cauar Giulietta fuor de la ſepoltura, e la porteria à la ſua camera. E perciò che egli ſtudiaſſe, venirſene traueſtito à Verona, che lo attenderia fino à mezza notte del ſeguente giorno, e che ſi terria poi quel modo, che meglior lor foſſe paruto. ſcritta la lettera, e ſuggellata, la diede ad vn ſuo fidato Frate, e ſtrettiſsimamẽte gli comiſe, che quel di andaſſe à Mantoua, e trouaſſe Romeo Montecchio, & à lui deſſe la lettera, e nõ ad altra perſona, foſſe chi ſi voleſſe. Andò il Frate, & arriuò à Mãtoua aſſai à buon’hora, e ſmõtò al Conuento di S. Franceſco. Meſſo giû il cauallo, mẽtre che egli cercaua il Padre Guardiano per farſi dar vn compagno, per poter accompagnato andar per la Città à far ſue biſogne, trouò che molto poco innanzi era morto vno dei Frati di quel Conuento: E perche era vn poco di ſoſpetto di peſte, fu giudicato da i deputati de la Sanità, il detto Frate eſſer ſenza dubio morto di peſtilenza, e tanto più che ſe gli ritrouò vn gauocciolo, aſſai piû groſſo d’vn ouo, ne l’anguinaia, che era certo & euidentiſſimo inditio di quel peſtifero morbo. Hor ecco, che in quell’hora à punto che il Frate Veroneſe domandaua il compagno, ſourauennero i Sergenti de la Sanità, che al Padre Guardiano comãdarono ſotto pene grauiſsime, per parte del Signor de la Città, che egli per quanto haueua cara la gratia del Prencipe, à modo veruno non laſciaſſe vſcir perſona fuor del Monaſtero. Il Frate venuto da Verona, voleua pure allegare che à l’hora à l’hora era arriuato, ne ſ’era meſcolato con neſſuno, ma invano ſ’affaticô, che à mal ſuo grado gli conuenne rimanere con gli altri Frati nel Conuento. Onde non diede quella benedetta lettera à Romeo, ne altrimenti gli mandò à dir coſa alcuna. Il che fu di grandiſsimo male e ſcandalo cagione, come à mano à mano intenderete. Fra queſto mezzo, in Verona s’apparecchiauano le ſolenniſsime eſſequie de la Giouane, che ſi teneua ᵱ morta, e ſi deliberò farle quel di ſteſſo, ne l’hora tarda de la ſera. Pietro ſeruidor di Romeo, ſentendo dire che Giulietta era morta, tutto sbigottí; e deliberò tra ſe d’andar à Mantoua, ma prima aſpettar l’hora de la ſepoltura de la Giouane, e vederla portar à la ſepoltura, per poter dir al ſuo Padrone che veduta morta l’haueua. Che pure ch’egli poteſſe di Verona vſcire, faceua penſiero caualcar di notte, & à l’aprir de la porta entrar in Mantoua. Fu adunque ſu’l tardi con vniverſal diſpiacere di tutta Verona leuata la bara funebre cõ Giulietta dentro, e cõ la pompa di tutti i Chierici e Frati de la Città, indirizzata verſo San Franceſco. Pietro era coſi ſtordito, e per la compaſsione del ſuo Padrone, il quale ſapeua che vnicamẽte la Giouane amaua, coſi fuor di ſe, che mai non hebbe auuiſo d’andar à veder Fra Lorenzo, e parlar ſeco, come l’altre volte era ſolito di fare. Che ſe egli andaua à trouar il Frate, hauerebbe inteſa l’hiſtoria de la poluere, e dicendola à Romeo, non ſuccedeuano gli ſcãdali che ſucceſſero. Hora viſta che egli hebbe Giulietta in bara, e quella manifeſtamente conoſciuta, montò à cauallo, & andato di buon paſſo à Villafranca, quiui à rifreſcar il ſuo cauallo e dormir vna pezza atteſe. Leuatoſi poi di più di due hore innanzi giorno, nel leuar del Sole entrò in Mantoua, & andò à la caſa del Padrone. Ma torniamo à Verona. Portata la Giouane à la Chieſa, e cantati ſolennemente gli vfficii de i morti, come è il coſtume in ſimili eſſequie di farſi, fu circa mezz’hora di notte meſſa ne l’auello. Era l’auello del marmo molto grãde, fuor de la Chieſa ſoura il cimitero, e da vn lato era attaccato ad vn muro, che in vn’altro cimitero haueua da tre in quattro braccia di luogo murato, oue quando alcun corpo dentro l’arca ſi metteua, ſi gettauano l’oſſa di quelli che iui primieramẽte erano ſepelliti, & haueua alcuni ſpiragli aſſai alti da la terra. Come l’arca fu aperta, Fra Lorenzo fece tantoſto in vna de le bande de l’auello ritirar il corpo di Tebaldo, il quale, perche di natura era ſtato molto magro, & à la morte haueua perduto tutto il ſangue, poco era marcito, e non molto putiua. Fatta poi ſpazzar l’arca e nettare, hauendo egli la cura di far la Giouane ſepellire, dentro ve la fece quanto piû ſoauemente ſi puotè diſtendere, e porle vn Origliero ſotto il capo. Indi ſi fece riſerrar l’arca. Pietro entrato in caſa, trouò Romeo, che ancora era in letto, e come gli fu innanzi, da infiniti ſinghiozzi e lagrime impedito, non poteua formar parola. Del che Romeo grãdemente merauigliato, e penſando non ciò che auuenuto era, ma altri mali; gli teneua pur detto. Pietro; che coſa hai? Che nouelle mi rechi da Verona? Come ſta mio padre & il reſto de i noſtri? Dì, non mi tener piû ſoſpeſo, che coſa può egli eſſere, che tu ſei coſi afflitto? Horſu ſpediſceti. Pietro, à la fine fatto violenza al ſuo dolore, con debole voce, e con parole interrotte, gli diſſe la morte di Giulietta, e che egli l’haueua veduta portar à ſepellire, e che ſi diceua che di doglia era morta. A queſto coſi dolente e fiero annontio, reſtò Romeo per buona pezza quaſi fuor di ſe ſteſſo, poi come forſennato ſaltò fuor di letto, e diſſe. Ahi traditor Romeo, diſleale, perfido, e di tutti gli ingrati ingratiſſimo: Non è il dolore che habbia la tua Donna morta, che non ſi muor di doglia, ma tu crudele ſei ſtato il manigoldo, ſei ſtato il micidiale. Tu quello ſei che morta l’hai. Ella ti ſcriueua pure, che prima voleua morire, che laſciarſi da neſſun’ altro ſpoſare, e che tu andaſſi per ogni modo à leuarla de la caſa del Padre. E tu ſconoſcente, tu pigro, tu poco amoreuole, tu can maſtino le daui parole, che ben andereſti, che fareſti, e che ſteſſe di buona voglia, & andaui indugiando di di in di, non ti ſapendo riſoluere à quanto ella voleua. Hora tu ſei ſtato con le mani à cintola, e Giulietta è morta: Giulietta è morta, e tu ſei viuo? Ahi traditore, quante volte l’hai ſcritto & à bocca detto, che ſenza lei non poteui viuere. E pur tu ſei viuo anchora. Oue penſi che ella ſia? Ella qui dentro ſe ne và errando, & aſpetta pure che tu la ſegue, e tra ſe dice. Ecco bugiardo, ecco fallace Amante, e Marito infidele, che à la nuova ch’io ſon morta, ſoſtiene di viuere. Perdonami perdonami Moglie mia cariſſima; che io confeſſo il grauiſsimo mio peccato. Ma poi che il dolor ch’io prouo fuor di miſura penoſiſsimo, non è baſtante à tormi la vita, io ſteſſo farò quell’vfficio che il dolore deuerebbe fare. Io mal grado di lui, e di morte, che non mi vogliono ancidere, à me ſteſſa darò morte. Queſto dicendo, diede di mano à la ſpada che al capo del ſuo letto era, e quella ſubito tratta del fodro, verſo il ſuo petto contorſe, mettendo la punta à la parte del core. Ma il buon ſeruidore Pietro fu tanto preſto, che egli non ſi puotê ferire, & in vn tratto l’arme gli leuò di mano. Gli diſſe poi quelle parole, che in ſimil caſo ogni fedel ſeruidore al ſuo Padrone deue dire, & honeſtamente di tanta follia quello ripigliando, lo confortò quanto ſeppe e puotè il meglio, eſſortandolo à deuer viuere, poi che con ſoccorſo humano à la morta Giouane aita dar non ſi poteua. Era ſi à dentro Romeo de la crudeliſsima nuoua di coſi impenſato caſo ſtordito, e quaſi impietrato, e diuenuto marmo, che lagrima da gli occhi non gli poteua vſcire. E chi l’haueſſe in faccia guardato, haueria detto che più à ſtatua, che ad huomo aſſembraſſe. Ma guari non ſtette, che le lagrime cominciarono à ſtillare in tanta abbondanza, che pareua vn viuo Fonte, che con ſorgente vena, acqua verſaſſe; le parole che piangendo e ſoſpirando diſſe, hauerebbero moſſo à pietá i più duri & adamantini cori, che mai tra Barbari foſſero. Come poi il dolor interno ſi cominciò à sfogare, coſi cominciò Romeo varie coſe tra ſe penſando, à laſciarſi vincer da le ſue acerbe paſſioni, e dar luogo à i maluagi e diſperati penſieri, e deliberò poi che la ſua cara Giulietta era morta, non voler à modo veruno piû viuere. Ma di queſto ſuo fiero proponimento non ne fece ſembiante alcuno, ne motto diſſe, anzi l’animo ſuo diſſimulò, à ciò che vn’altra volta dal ſeruidore, o da chi ſi foſſe non riceueſſe impedimento, à far quãto in animo caduto gli era di mãdar ad eſſecutione. Impoſe adunque à Pietro, che ſolo era in camera, che de la morte de la Moglie niente à ᵱſona diceſſe, e meno paleſaſſe l’errore, in che quaſi era caduto, di voler vccider ſe ſteſſo; Poi gli diſſe che metteſſe ad ordine dui caualli freſchi, ᵱche voleua ch’andaſſero à Verona. Io vò (diceua) che à mano à mano tu ti parta ſenza far motto à neſſuno; e come tu ſei à Verona, ſenza dir nulla à mio Padre che io ſia per venire, fa che tu truoui quei ferramenti, che biſognano ᵱ aprir l’auello, oue mia moglie è ſepolta, e puntelli da pũtellarlo, perche io queſta ſera al tardi entrerò in Verona, e me ne verrò tutto dritto à la caſetta, che tu tieni dietro al noſtro horto, e tra le tre e le quattro hore, anderemo al cimitero, perciò che io vó veder la sfortunata mia Moglie coſi morta come giace, anchora vna volta. Poi di buon matino io ſconoſciuto vſcirò fuor di Verona, e tu mi verrai vn poco dietro, e ce ne tornaremo qui. Ne guari ſtette, che rimãdò Pietro indietro. Partito che fu Pietro, ſcriſſe Romeo vna lettera à ſuo Padre, e gli domandò perdono, ſe ſenza ſua licenza s’era maritato, narrandogli à pieno tutto il ſuo Amore, & il ſucceſſo del matrimonio. Pregaualo poi molto affettuoſamente, che à la ſepoltura di Giulietta, come di ſua Nora che era, voleſſe far celebrar vn ufficio da morti ſolenne, e queſto ordinaſſe de le ſue entrate, che foſſe perpetuo. Haueua Romeo alcune poſſeſsioni, che vna ſua Zia morendo, gli laſciò ᵱ teſtamẽto, inſtituendolo ſuo herede. A Pietro anco prouide di modo, che ſenza ſtar à mercede altrui, poteua comodamente viuere. E di q̃ſte due coſe ne fece al padre inſtantia grandiſsima, affermãdo queſta eſſer l’vltima ſua volontà. E ᵱche di pochi giorni auanti q̃lla ſua zia era morta, pregaua il Padre che i primi frutti, che da le ſue poſſeſsioni ſi cauaſſero, tutti gli faceſſe dar à poueri ᵱ amor di Dio. Scritta la lettera, e ſuggellata, ſe la poſe in ſeno. Preſe poi vn’ampolletta piena d’acqua velenoſiſsima, e veſtito da Tedeſco, mõtò à cauallo, dãdo ad intender à i ſuoi che ne la caſa reſtauano, che il giorno ſeguente à buon’hora tornarebbe, e non volle da perſona eſſer accompagnato. Caminando adunq; con diligenza, egli ne l’hora de l’Aue Maria entrò in Verona, e ſe n’andò di lungo à trouar Pietro, e trouollo in caſa, che il tutto che gli era ſtato impoſto haueua appreſtato; onde coſi lá circa le quattr’hore, cõ quegli ſtrumẽti e ferramẽti che giudicarono eſſer al biſogno, ſe n’andarono verſo la Cittadella, e ſenza trouar impedimẽto veruno, giunſero al cimitero de la Chieſa di S. Franceſco. Quiui trouato l’auello, ou’era Giulietta, q̃llo cõ lor ordigni deſtramẽte aperſero, & il coperchio cõ fermi puntelli pũtellarono. Haueua Pietro per commiſsione di Romeo, porta[t]o ſeco vna picciola lanternetta, che altri chiamano ceca; altri ſorda, la quale ſcoperta, diede loro aita ad aprir l’arca e ben puntellarla. Entrò dentro Romeo, e vide la cariſsima Moglie, che in vero pareua morta. Cadette ſubito Romeo tutto ſuenuto à lato à Giulietta, di quella aſſai piû morto, & vn pezzo ſtette fuor di ſe, tanto dal dolore oppreſſo, che fu vicino à morire. In ſe poi riuenuto, la cariſsima Moglie abbracciò, e piû volte baſciandola, di caldiſsime lagrime lo ſmorto viſo le bagnaua, e dal dirotto piãto impedito, non poteua formar parola. Egli pianſe aſſai, e poi diſſe di molte parole, che hauerebbero commoſſo à pietà i più ferrigni animi del mondo. A la fine, hauendo tra ſe deliberato di non voler più viuere, preſa la picciola ampolletta, che recata haueua, l’acqua del veleno che dentro v’era poſtaſi à la bocca, tutta in vn ſorſo mandò giù per la gola. Fatto queſto, chiamô Pietro, che in vno de i canti del cimitero ſtaua, e gli diſſe che ſu ſaliſſe. Salito che fu; & à l’orlo de l’arca appoggiato, Romeo in queſto modo gli parlò. Eccoti (o Pietro) mia Moglie, la quale ſe io amaua & amo, tu in parte lo ſai. Io conoſco che tãto m’era poſſibil viuere ſenza lei, quanto ſenza anima può viuer vn corpo. E perciò portai meco l’acqua del ſerpe, che ſai che in meno d’vn’hora ammazza l’huomo, e quella ho beuuta lietamẽte e volentieri, per reſtar morto qui à canto à quella che in vita tanto amai, à ciò che ſe viuendo non m’è lecito di ſtarmene ſeco, morto al meno con lei reſti ſepolto. Vedi l’ampolla, oue era dentro l’acqua, che (ſe ti ricordi) ci diede in Mantoua quello Spoletino, che haueua quegli Aſpidi viui & altri ſerpenti. Iddio per ſua miſericordia & infinita bontà mi perdoni, perciò che me ſteſſo non ho io vcciſo per offenderlo, ma per non rimaner in vita ſenza la cara mia Conſorte. E ſe bene mi vedi gli occhi molli di lagrime, non ti penſar già che io per pietà di me, che giouanetto mora, pianga; ma il pianto mio procede dal dolore, che ſento grandiſsimo per la morte di coſtei, che degna era viuer più lieta e tranquilla vita. Darai queſta mia lettera à mio Padre, al quale ho ſcritto quanto deſidero che faccia dopo la morte mia, coſi circa queſta ſepoltura come circa i miei Seruidori, che ſono in Mantoua. A te che ſempre m’hai fedelmente ſeruito, ho fatto tal parte, che non hauerai meſtieri ſeruir altrui. Io ſon certo che mio Padre darà eſſecutione integralmente à quanto gli ſcriuo. Hor via, io ſento la vicina morte; perciò che conoſco che il veleno de l’acqua mortifera già tutte le membra auuelenando, m’ingombra. Diſpuntella l’arca, e qui mi laſcia appreſſo à la mia Donna morire. Pietro, per le già dette coſe, era in tal modo dolente, che pareua che dentro al petto il core ſe gli ſchiantaſſe, per l’infinito cordoglio che ſentiua. Le parole furono aſſai, che egli al Padrone diſſe, ma tutte indarno, perciò che à la velenoſa acqua rimedio alcuno giouar piû poteua, hauendo ella già tutte le parti de l’infetto corpo occupate. Romeo, preſa Giulietta in braccio, e quella di continouo baſciando, attendeua la vicina & ineuitabil morte, tutta via dicendo à Pietro, che l’arca diſpuntellaſſe. Giulietta che già la vertù de la poluere conſumata e digeſta haueua, in quel tempo ſi deſtô, e ſentendoſi baſciare, dubitò che il Frate venuto per leuarla, o hauerla à portar in camera, la teneſſe in braccio, & incitato dal concupiſcibile appetito la baſciaſſe, e diſſe. Ahi Padre Fra Lorenzo; è queſta la fede che Romeo haueua in voi, fateui in coſtà, e ſcotendoſi per vſcirli de le braccia, aperſe gli occhi, e ſi vide eſſer in braccio à Romeo, che ben lo conobbe, anchora che haueſſe veſtimenti da Tedeſco e diſſe. Oimè, voi ſete qui vita mia? Oue è Fra Lorenzo? Che non mi leuate voi fuor di queſta ſepoltura? Andiamo via per Amor di Dio. Romeo, come vide aprir gli occhi à Giulietta, e quella ſentì parlare, e ſ’auuide ſenſibilmente che morta non era, ma viua, hebbe in vn tratto allegrezza e doglia fuor d’ogni credenza ineſtimabile, e lagrimando, e la ſua cariſſima Moglie al petto ſtringendoſi, diſſe. Ahi vita de la mia vita, e cor del corpo mio, qual huomo al mondo hebbe mai tanta gioia, quanta io in queſto punto prouo, che portando ferma openione che voi foſte morta, viua e ſana ne le mie braccia vi tẽgo. Ma qual mai fu dolor al mio dolor eguale, e qual piû penoſa pena il mio cordoglio agguaglia; poi ch’io mi ſento eſſer giunto al fine de i miei infeliciſsimi giorni, e mancar la vita mia, quando più che mai deueua giouarmi di viuere? Che s’io viuo mezz’hora anchora, queſto è tutto il tempo, che io reſtar in vita poſſa. Oue fu gi mai più in vn ſol ſoggetto, in vno iſteſſo punto, eſtrema allegrezza, e doglia infinita, come io in me medeſimo manifeſtamente prouo? Lietiſsimo ſono io, e viè più che dir non ſi può di gioia e contentezza pieno, poi che à l’improuiſo veggio voi (Conſorte mia dolciſsima) viua, che morta credei, e tanto amaramente ho pianto. E veramente (Moglie mia ſoauiſsima) in queſto caſo debbio ragioneuolmente allegrarmi con voi: Ma doglia ineſtimabile, e dolore ſenza pari patiſco, penſando, che tantoſto più non mi ſi concederà di vederui, vdirui e ſtarmi voſco, godendo la voſtra dolciſsima compagnia, tanto da me bramata. E ben vero che la gioia di vederui viua auanza di gran lunga quella doglia che mi tormenta, appropinquandoſi l’hora che da voi diuidermi deve, e prego il noſtro Signor Iddio che gli anni, i quali a l’infelice mia giouentù leua, aggiunga à la voſtra, e vi conceda che lungamente con piû felice ſorte di me, poſſiate viuere: Che io ſento che già la vita mia finiſce. Giulietta, ſentendo ciò che Romeo diceua, eſſendoſi già alquanto rileuata, gli diſſe. Che parole ſon coteſte (Signor mio) che voi hora mi dite? Queſta é la conſolatione che volete darmi, e da Mantoua qui ſete venuto à portarmi ſi fatta nuoua? Che coſa vi ſentite voi? Narrolle à l’hora lo ſuenturatato Romeo il caſo del veleno, che beuuto haueua. Oimê oimè (diſſe Giulietta) che ſento io? Che mi dite voi? Laſſa me, adunque á quello che io odo non v’ha Fra Lorenzo ſcritto l’ordine, che egli & io inſieme haueuamo meſſo? Che pur mi promiſe che il tutto vi ſcriueria. Coſi la ſconſolata Giouane piena d’amariſſimo cordoglio, lagrimando, gridando, ſoſpirando e quaſi di ſmania fuor di ſe andando, contò minutamente ciò che il Frate & ella ordinato haueuano, à ciô che ella non foſſe aſtretta à ſpoſar il Marito, che il Padre voleua darle. Il che vdendo Romeo, accrebbe infinitamẽte dolore à gli affanni che ſofferiua. E mentre che Giulietta fieramente del lor infortunio ſi querelaua, e chiamaua il cielo e le ſtelle con tutti gli elementi crudeliſsimi; vide Romeo quiui il corpo del morto Tebaldo, che alcuni Meſi innãzi egli ne la zuffa (come già intendeſte) haueua vcciſo, e riconoſciutolo, verſo quello riuolto, diſſe. Tebaldo (ouunque tu ti ſia) tu dei ſapere che io non cercaua d’offenderti, anzi entrai ne la miſchia per acquetarla, e ti ammonii che tu faceſſi ritirar i tuoi, che io à i miei hauerei fatto depor l’arme. Ma tu, che pieno eri d’ira e d’odio antico, non curaſti le mie parole; ma con fellone animo per incrudelir in me mi aſſaliſti. Io da te ſforzato, e perduta la patienza, non volli ritirarmi vn dito indietro, e diffendendomi, volle la tua mala ſorte che io t’ammazzai. Hora ti chieggio perdono de l’offeſa che al corpo tuo feci, e tanto piû che io già era tuo parente diuenuto, per la tua Cugina da me già per Moglie ſpoſata. Se tu brami da me vendetta, ecco, che conſeguita l’hai. E qual vendetta maggiore poteui tu deſiderare, che ſapere, che colui che t’vcciſe ſi ſia da ſe ſteſſo à la preſenza tua auuelenato, & à te dinanzi volontariamente ſe ne mora, à te anchora à canto reſtando ſepellito. Se in vita guerreggiammo, in morte in vn ſteſſo Sepolcro reſteremo ſenza lite. Pietro, à queſti pietoſi ragionamenti del Marito, & al pianto de la Moglie, ſe ne ſtaua come vna ſtatua di marmo, e non ſapeua ſe era vero ció che vedeua & vdiua, o veramente ſe ſi ſognaua, e non ſapeua che dirſi, ne che farſi, coſi era ſtordito. La pouera Giulietta più che altra Donna dolente, poi che ſenza fine ſi dolſe, à Romeo diſſe. Da poi che à Dio non è piaciuto che inſieme viuiamo, piacciagli al meno, che io qui con voi reſti ſepolta. E ſiate pur ſicuro (auuenga mò ciò che ſi voglia) che quindi ſenza voi, non mi dipartirò già mai. Romeo, preſala di nuouo in braccio, la cominciò luſingheuolmente à pregare, che ella ſi conſolaſſe, & attendeſſe à viuere, perciò che egli ſe n’anderebbe conſolato, quando foſſe certo che ella reſtaſſe in vita: Et à queſto propoſito molte coſe le diſſe. Egli ſi ſentiua à poco à poco venir meno, e già quaſi gli era in buona parte offoſcata la viſta, e l’altre forze del corpo ſi erano deboli diuenute, che più dritto tener non ſi poteua. Onde abbandonandoſi, ſi laſciò andar giù, e pietoſamente nel volto de la dolente Moglie guardando, diſſe. Oimè (vita mia) che io mi muoio. Fra Lorenzo (che che foſſe la cagione) non volle Giulietta portar à la Camera quella notte che fu ſepellita. La ſeguente notte poi, veggendo che Romeo non compariua, preſo vn ſuo fidato Frate, ſe ne venne con ſuoi ferramenti per aprir l’arca, & arriuô in quello che Romeo s’abbandonò: E veggendo aperta l’arca, e riconoſciuto Pietro, diſſe. Buona vita; ou’ê Romeo? Giulietta vdita la voce e conoſciuto il Frate, alzando il capo, diſſe. Dio vel perdoni. Voi mandaſte ben la lettera à Romeo? Io la mandai (riſpoſe il Frate) e la portò Frate Anſelmo, che pur tu conoſci: E perche mi dici tu coteſto? Piangendo acerbamente Giulietta. Salite ſu (diſſe) e lo vederete. Salì il Frate, e vide Romeo giacerſi, che poco più di vita haueua, e diſſe. Romeo figliuol mio che hai? Romeo aperti i languidi occhi, lo conobbe, e piano diſſe che gli raccomandaua Giulietta, e che à lui non accadeua più ne aita ne cõſeglio, e che pentito de i ſuoi mali, à lui & à Dio ne domandaua perdono. Puoté à gran pena l’infelice Amante proferir queſte vltime parole, e percuoterſi lieuemente il petto. Che perduto ogni vigore, e chiuſi gli occhi, ſe ne morí. Quanto queſto foſſe graue, noioſo, e quaſi inſopportabile à la ſconſolata Moglie, non mi dà il core di poterlo dimoſtrare. Ma penſilo chi veramente ama, e ſ’imagini à ſi horrendo ſpettacolo ritrouarſi. Ella miſeramente, e ſenza prò affliggendoſi, il pianſe aſſai, e molte fiate l’amato nome in vano chiamando, piena d’angoſcia ſoura il corpo del Marito ſi laſciò tramortita cadere e buona pezza iſuenuta ſtette. Il Frate e Pietro, oltra modo dolenti, tanto fecero, che ella riuenne. Riuenuta che fu, s’aggruppò in vna le mani, & allargato il freno a le lagrime, tante e tante ne verſò, quante mai femina ſpargeſſe, e baſciando il morto corpo, diceua. Ahi dolciſsimo albergo di tutti i miei penſieri, e di quanti piaceri mai habbia goduto, caro & vnico mio Signore; come di dolce fatto mi ſei amaro. Tu ſu’l fiore de la tua bella, e leggiadra giouanezza hai il tuo corſo finito, nulla curando la vita, che tanto da tutti viene ſtimata. Tu ſei voluto morire quando altrui il viuere più diletta, & à quel fine giunto ſei, oue à tutti, o tardi o per tempo, arriuar conuiene. Tu (Signor mio) in grembo di colei ſei venuto à finir i giorni tuoi, che ſoura ogni coſa amaſti, e da la quale vnicamẽte ſei amato, & oue quella morta e ſepellita eſſer credeui, volontariamente ſei, venuto à ſepellirti. Già mai tu non hai penſato hauer queſte mie amariſſime e veraciſſime lagrime: Già non ti perſuadeui andar à l’altro mondo, e non mi vi ritrouare. Io ſon certiſſima che non mi vi ritrouando, che tu qui tornato ſei à veder ſe io ti vengo dietro. Non ſento io che lo ſpirito tuo qui d’intorno vagando ſe ne và, e già ſi merauiglia, anzi ſi duole, che io tanto tardi. Signor mio; io ti veggio, io ti ſento, io ti conoſco, e ſo che altro non attendi, ſe non la Venuta mia. Non temere (Signor mio) non dubitare, che io voglia qui ſenza la compagnia tua rimanere, con cio ſia che ſenza te la vita aſſai più dura, e vie più angoſcioſa mi ſarebbe, che ogni ſorte di morire che l’huomo imaginar ſi poſſa. Che ſenza te io nõ viuerei, e ſe pur pareſſe altrui che io viueſſi, quel viuere mi ſarebbe vn continouo e tormentoſo morire. Si che (Signor mio caro) ſta ſicuro, che io tanto ſto verrò à ſtarmi ſempre teco. E con qual compagnia poſſo io andar fuora di queſta miſera e trauagliata vita, che piû cara, e più fidata mi ſia, che venirti dietro, e ſeguitar i tuoi veſtigi? Certo che io mi creda neſſuna. Il Frate e Pietro, che à torno l’erano, vinti da infinita compaſſione piangeuano, e come meglio ſapeuano ſ’ingegnauano di darle alcun conforto: Ma il tutto in vano. Le diceua Fra Lorenzo. Figliuola mia; le coſe fatte eſſer non può che fatte non ſiano. Se per lagrime Romeo ſuſcitar ſi poteſſe, noi ci riſolueremo tutti in lagrime per aiutarlo, ma non ci è rimedio. Confortati, & attendi à viuere; e ſe non vuoi tornar à caſa tua, à me dá il core metterti in vn ſantiſſimo Monaſtero, oue potrai, ſeruendo à Dio, pregar per l’anima del tuo Romeo. Ella, à modo veruno non voleua aſcoltarlo, ma nel ſuo fiero proponimento perſeuerando, ſi doleua che non poteſſe con la vita ſua ricuperar quella del ſuo Romeo. Et in tutto ſi diſpoſe voler morire. Riſtretti adunque in ſe gli ſpirti, con il ſuo Romeo in grembo, ſenza dir nulla, ſe ne morì. Hor ecco mentre che i dui Frati e Pietro ſ’affaticauano in torno à la morta Giouane, credẽdo che foſſe ſuenuta, che i Sergenti de la Corte, à caſo quindi paſſando, videro il lume ne l’arca, e tutti vi corſero. Quiui giunti, preſero i Frati e Pietro, & inteſo il pietoſo caſo de gli ſfortunati Amanti, laſciati i Frati con buona guardia, conduſſero Pietro al Signor Bartolomeo, e gli fecero intendere del modo che trouato l’haueuano. Il Signor Bartolomeo, fattoſi minutamente contar tutta l’Hiſtoria de i dui Amanti, eſſendo già venuta l’alba, ſi leuò, e volle veder i duo cadaueri. Si ſparſe la voce di queſto accidente per tutta Verona, di modo che grandi e piccioli vi concorſero. Fu perdonato à Frati & à Pietro, e con particolar dolore de i Mõtecchi e Capelletti, e general di tutta la Città, furono fatte l’eſſequie con pompa grandiſsima, e volle il Signore, che in quello ſteſſo auello gli Amanti reſtaſſero ſepolti. Il che fu cagione che tra i Montecchi e Capelletti ſi fece la pace, ben che non molto dopoi duraſſe. Il Padre di Romeo letta la lettera del figliuolo, dopo l’eſſerſi eſtremamente doluto, ſodisfece pienamente al voler di quello. Fu ſopra la ſepoltura dei dui Amanti il ſeguente Epitaffio intagliato, il quale in queſto modo diceua.
Credea Romeo, che la ſua ſpoſa bella
Gia morta foſſe, e uiuer più non uolſe,
Ch’à ſe la uita, in grembo à lei ſi tolſe
Con l’acqua, che del Serpe l’huom appella.
Come conobbe il fiero caſo quella,
Al ſuo Signor piangendo ſi riuolſe,
E quanto puotè, ſoura quel ſi dolſe,
Chiamando il ciel iniquo, & ogni Stella.
Veggendol poi la uita (oimè) finire,
Più di lui morta, à pena diſſe, ò Dio
Dammi ch’io poſſa il mio Signor ſeguire.
Queſto ſol prego, cerco, e ſol deſio,
Ch’ouunque ei uada io poſſa ſeco gire:
E ciò dicendo à l’hor di duol morio.