IULIA unica figliola de misièr Giovanne de Castelli dall’amore di uno giovane presa e dal padre cautelosamente maritata, se uccidete con la medesma spada dell’amato giovane, il quale, saputa la morte della sua amante, cautamente la notte, aperta la sua sepoltura, sopra del morto corpo con la propria mano si uccidete.
Più delle fiate vediamo seguire che gli antiqui exempli in noi sòleno essere cagione de perfectissime et bone operazione. Ma perché la longhezza del tempo a poca credenza degli moderni òmini quegli et ogni altra cosa par che abi riduto, però non li togliendo alcuna lor verità, ma certissimo rendendomi quelli essere verissimi, rispecto agli elegantissimi et veridici amori che quegli scrivendo hano in sé publica forma riduti, che certo el si può dire essere stata una luce che a molti ciechi per memoria et exemplo di quegli hano restaurato la luce della salutifera lor via, non satisfacendo però al mio creder la volentade di quegli, e per gli molti anni essendoli io incognito poco fructo in lor par che li renda, et però avendomi sforzato con non poca mia fatica di cercare se agli nostri presenti giorni cosa digna et cussì veri potesse alle orechie di tali increduli far pervenire. Ma dopo molte fatiche certi ne ebi gli quali con disposto animo me ho deliberato a voi de scriverli, sicché le persone affezionade in quegli sono digni di laude, e sì per la verità in loro contenuta, come etiam le città famosissime, i luochi digni insieme con la pietà, che sentendoli hano avuto forza di spingermi degli ochi pietosissime lacrime. Certissimo rendendomi che se in questo spechio di miserie riguardarete, in susti et lacrime vi converrà in quantità abundare.
Ahimè1 che altro non cerco fia per certo cagione de infinito rimedio, perocché chi in le sue miserie e pene è acompagnato, la quantità di quelle molto alenta et minuisse. Ma prima che a tanto exercizio pietoso io proceda, invoco voi, in la cui libertà consiste del mio core equalmente ogni intiera parte, pregandovi che per grazia mi concedete tanto dello da voi donato sentimento che sufficiente mi atrova potervi narrare quanto sia commendabile e di riverenzia digni coloro che vivendo l’uno dell’altro contenti per non interporre tempo al morire l’uno dapoi l’altro con novi modi sono avanti li soi signati giorni pervenuti a morte, come nelle cose di questo libro per gli effetti pietosissimi aparerà. Venezia al presente fra tutte l’altre antiquissime cità del mondo sublimata di onori se ritrova, dove le antiquissime monarchie che da famosissime persone et reverendi principi già èbono origine par che con verità in questa già infinitissimo numero di anni abi facto resistenzia; questa di nobelissimi Veneti in tanta quantità è ripiena che non tanto nella Italia ma per tutto el mondo risona le virtù e possanza di quegli e gran parte di quello soto il dominio nostro con considerato guberno è dominato. Questa preclarissima dal salso mare é incoronata regina, contra delle cui force giamai si puote alcuno gloriare di essere victurioso.
In questa dignissima cità non è molti anni passati che si ritrovò una gentilissima stirpe di citatini, il cui pronome era della casa di Castegli, che ora e’l tempo e gl’infortuni casi degli quali questo si crede che ne fusse uno, che novamente l’ha riduta e niuno più di tal parentella par che si trovi. Costoro di splendidissime ricchezze e di molte case e possessione erano dotati, degli quali uno el cui nome era misier Giovàni , dignissimo citatino per il suo virtuoso et onesto vivere, el quale sola et unica figliola avìa alla cui puose nome Iulia, di forma splendidissima et bella, la quale tanto cara quanto la propria vita si la tenìa il padre e la madre, perocché essendo di anni pieni speravano avanti la sua extrema vechieza quella con onorevelle e nuziale aparechiamento acompagnare. Et acciocché più compiuta divenisse, quella da peritissima maestra faceva gubernare et amaistrarla a modi et costumi quali a nobile persona si convenìa. Ma poco penòe la maestra, perocché lei astutissima divenne a tutte quelle virtù che a donna erano bisognose, et in piciol tempo libera essendo facta della scola e già a più perfecta età pervenuta, comincioe in casa secondo l’usanza veniziana di stare rinchiusa, dove de ora in ora per uno idìo dal vecchio padre era tenuta, e della sua belleza tenendossi costei contenta ogni giorno gionta l’acidentale alla naturale ch’era bella, bellissima ogni ora più si facìa agli occhi di riguardanti.
O belleza, miserabile dono del vechio padre, et vipereo veneno de la povera madre quanto eravate dal vostro disio lontani per lo acrescimento dele adorne fateze de la figliola vostra, quelle prima in lei dovìa contaminare il casto pecto ai vostri disonori; quelle de vita pegior che morte vi dovìa esser cagione; quello se avessate intese, non averesti cercato con la solicitudine che voi festi per spingere di vita in un punto collei che con tanti affanni spechio avevi fata degli occhi vostri. Fàtassi adunque costei bellissima e la sua belleza da più maturi anni acompagnàtassi di quel pensiero che gli dei, gli òmini e gli animali sottoiace obligati, parse ad Amore di punger il costei cuore di quella pontura che pochi o niuno po' dire che in qualche parte o in qualche tempo non abi provato o sentito.
Divenuta adunque costei apta ad amare, l’ocio intrinsico di tal passione amico mai ristò di porgere al virginio pecto tanti e sì dolci pensieri, che forza fu in quello aver ricepto et abituatossi gli mostrò qual fusse quella cosa a’ giovani potesse dar di lei qualche piacevole refrigerio, e conosciuta esser sola la sua belleza si dispose quella totalmente dover dare a chi di quella li paresse convenientemente digno.
Fra2 la contrata dove Iulia dimorava dedicata al nome di Sancto Antolino, fra l’altre che nella nostra cità se ritrova bellissima e di sumptuosi palaci ripiena nell’uno di quali abitante costei che fino al presente giorno è ancor sigillato si trova delle arme sue, e secondo la consuetudine nostra, aliquando ora ad una finestra et ora ad un’altra costei si appogiava a rimpeto della quale vi erano certe tavollete ovvero cantinelle insieme composte che nui ‘zilosie’ chiamamo, le quale, non che la vista de’ riguardanti togliessono dalle bellece di Iulia, ma poco mostrandoli per alcuni pertugieti ch’era fra l’una e l’altra la facìa maggiore, cussì adunque stando Iulia alla finestra desiderosa di sentire chi della sua bellezza facesse menzione, ovvero comendandola se digno fusse, la volesse avere. Adivenne che uno formosissimo giovane il cui aspecto secondo il iudicio di chi il conobbe di ogni nobelissima donna parìa digno per transito ovvero che’l fusse predestinato se ritrovò de lì passare, e non prima fu gionto che gli occhi rivolti a quella parte dove Iulia s’era posta che di lei e delle sue bellece fu constreto di ardire3 quale lei cercante convenne che di lui ardisse.
Il giovane di cui amore avìa già avuta intiera possessione non meno che di Iulia avesse fata era ancora lui di bona e gentil prole, per ogni cosa condecente all’esser della donna; chiamato era il nome suo Pruneo degli Astolfi, casa onorevelle, et anco unico figliolo del padre suo, la cui abitazione era circonvicina della conventual regula che prima cinse la corda; perseverando adunque costui nella contrata con festa dove la donna abitava, e quella con solicitudine et passi prompti della sua persona facìa copiosa, dandoli Iulia di ciò bona cagione per modo ch’egli era della giovane unico bene e lei di lui, né mai un solo pensiero disuguale dalla volentà loro vi fu nel tempo di cotale benivolenzia. E tanto praticò Pruneo l’amor di costei con quel desiderio che creder pote chi ciò ha provato, che il modo trovarono cominciar a bocca la lor volentà palesare, dicèndossi quanto l’uno di l’altro si sentìa esser ubligati, et se più avanti ch’egli procedesseno, lasso considerare a chi questo abia provato.
O mente et animi felicissimi quanto piacer in simil ponto traesti voi dile amorose mente, trovandovi in libertà et aperta via della cosa che tanto amavi e con instanzia sì longamente desiderata; quale fusse le vostre parole, parmi ancor di udirle, et iurarìa che in quel proprio parlare incorerìa se io fusse per doverle dire li gesti di ogni vostro sentimento et membro; ancora scrivendo non posso né ristare né ritenermi di farli.
Doh, Pruneo, sentendoti la disiata mano della tua Carissima Iulia congionta con la tua, qual modo usasti a receverla, stringestila tu quale la presente pena stringo? Dico pensandomi: “Certo, sì”, e se’l facesti io ti rendo per iscusato a tutto el mondo; chi dubita che quella dopo picol spacio non ponesti all’ansiata boca? La qual cosa afermo perché la ragione el vole. Doh, dimi qual parola fu quella che prima li dicesti, chi dubita che dopo il saluto fu el racomandarti, che bisognava racomandarti a chi de ricomandarsi avìa bisogno più che tu? Perocché essendo donna tutta disposta nella tua libertà rendendossi sì da te era bisogno che si racomandasse; ma sia come si voglia che chi fallisse li di[v]e esser perdonato, imperocché amore insì non ha ragione, et essendo la notte oscurissima il piacer che traevi l’uno e l’altro degli occhi vostri non voglio che me’l raconti, perocché’l si comprende bene altro che sa’l tuo desiderio in parte satisfacesti; son certo, dicesti: “Questi sono gli occhi che mi fano guerra”. Non dicevi or adunque “sia benedeti” quanti modi, et a te che operando, e dicendo in quella et in tute l’altre operazioni operasti e che fino al presente adopera.
Poche erano quelle notte che senza aversi nelle braze l’uno all’altro passasse, excepto se la vibrante luna dividesse e tenesse l’uno dall’altro lontani contra a sua voglia. Ma poi che la sua rotondità al minuire dava principio quando più et quando meno secondo el corso suo sempre all’ordinato logo se ritrovavano, nel quale tanto contenti l’uno dell’altro se ritrovoe quale per le cose che seguì por si comprende, né altri più contenti par che la fortuna ad amore mai concedesse; ma tra l’altre volte l’una ne fu nella quale, dopoi molti piacevelissimi ragionamenti, a caso del pecto di Iulia usito uno pietoso suspiro e di ciò vergognàndossi chinò la fronte, ma acòrtossi Pruneo di lei suspectò che di noglia li fusse cagione tale accidente e dimandatola se di affàno alcuno la fusse presa, de non, gli respondete. “Dunque quale sia stata la cagione di tal subiteza per l’amor che mi porti me dirai”.
Udita Iulia tale parole a sé più de riverenzia digna che alcuna altra che della bocca mai li ussisse, cossì disse:
“Tale anima mia me ha constreta la coniurazione che ora ho sentita della tua boca, che ogni cosa che ha forza de tirarmi del distreto pecto del quale el suspiro che ora della mia boca contra mia voglia mi scampò delle labre mai li fusse usita”, cossì rispose.
“Il padre mio, a lui altra beatitudine che la persona mia non è rimasta; dubitàndossi che per gli anni non pochi della etate sua la subita percossa della morte non lo assalisca e me lassi senza il paternal governo con instanzia grandissima cerca di tòrme da te e da persona da me non conosciuta obligarmi per matrimonial legge della qual cosa finora avendoti tutto nella mia libertà e ciò ripensandomi nella mente m’è stato cagion di tale accidente quale fu poca ora mi vedesti e delle presente lacrime che ora miserabilmente io spargo nella tua presenzia”.
Stupefàtossi Pruneo nel primo udire, intendendo le parole della sua Iulia et le lacrime presente delle quale il pecto suo già bagnato avea in grande quantità ma per non giongere più dolore al suo lacrimoso cuordoglio, discretamente rifrenò li soi pregni occhi che all’ultimo termine avìa le lacrime, e recàtassi Iulia nelle brace a quella con finto viso abrazando, dicea: “ Carissima Iulia sola la morte da te e dal tuo amore mi potrà cazare, né che altri che Pruneo si possi dire tuo per certo non si aldirà mai, et acciocché in simili inconvenienti più non incóri, delibero allora quella fede ch’io ho di darti con intiero e consenziente animo, et cossì ti piaza per grazia a me di concedere con la tua mano”, e presala gli basò la fronte e la mano che al suo collo circonstreta tenea si disvilupoe e, la sua destra pigliando, congionse con la sua afirmando poi con infinitissimi sacramenti da Iulia retificati, e rasiugàtossi gli occhi in altro parlamento de varie cose fra loro seguite cominciò a rasonare per fino a tanto che la chiarità del sopravvegnente giorno già poteva a lor dare avedente a chi gli avesse voluto vedere, e di novo con ferventissimo disio quasi piangendo l’uno dall’altro dicendo “io me vi racomando”, si dipartì.
Tornata Iulia nella sua camera sopra del suo poco adoperato leto se gitò tutta alienata; non per bisogno che di dormire avesse perocché le cortese parole del suo caro amante insieme con la certeza della sua mano data gli avea cossì portato; ma fingendo di avere dormito ora qua et ora là voltava a ciò che niuna parte di quello integra4 rimanesse, cossì nella sua memoria le parole e i gesti di Pruneo commemoràndossi trovava piaceri non mai sentiti per fino che’l sole già per gli spiragli delle finestre vedeva verberare sopra del leto suo; di che acòrtassi, e lassata la dolce fantasia, si levoe et al spechio secondo la sua consuetudine ridutassi più bella che mai vedèndossi uscì della camera sua et al padre andata gli fece l’usata riverenzia e dalle veterate e tremante mani gli fu porta la sua benedizione, di casa uscendo il vecchio padre.
L’ora del debito cibo essendo agli corpi bisognoso e ritornato il padre a casa e quelo a satisfazione avendo ricevuto alle usate piaceveleze con la figliola, ritornò il bon padre credendo lei di quella cosa esser desiderosa, ché ogni fiata che di maritarla gli dicìa, milli languidi suspiri gli facea traere, gli da disio credendo non che per ansietà e passione del suo pecto si traeva per forza e da paterno e tenero amore constrecto, il povero vechio deliberò non più inducia porre a dargli marito. Et essendo il tempo ato a ciò, cominciò nel Realto a praticare con coloro che ‘golli’ over sensali chiamano, di chi tale exercizio sono loro maestri e da quelli aùti molti giovani di ogni condizione per nota fra gli altri uno ne elesse digno alla figliola, di sangue nobile et preclarissimo di padre, il cui nome era Dario Contarini, per sangue et per ogni altra cosa molto più digno che non era la donna, ma gli antiqui costumi e grande riccheze del padre di Iulia parea cossì meritare, di che promessegli grandissima Dote sogiongendo di farlo erede dopo la morte sua el contentoe e dalle parole venuti ali fati se ne andarono a casa, dove fata il padre Iulia vestire non gli dicendo el padre altro per non la sgumentare excepto che disse “vieni meco” e presela per la mano e’ fuori la menoe. Di che non prima sul limital del’uscio puose el pié, ch’una passione gli strinse el cuore con forza tale che’l virmiglio colore spinse dalle guanze sue e palida divenuta fra sé disse: “O Pruneo, io mi ti son tolta”, poi el disdegno di esser cossì tradita con furor inusitato rende agli suoi occhi il perso colore in molto magiore abundanzia che da prima non era, ma el tomulto dagli parenti dell’una e dell’altra parte che gli parla a conclusione di tal cosa erano venuti. Egli della parte del giovane veduta la belleza inextimabile di Iulia desiderosi confortarono Dario a dargli la fede, il quale non meno che abagliato della sua belleza la volse per sua legiptima sposa afirmare.
Pruneo nulla di ciò sapea alle cui orechie come pare che più delle fiate la maligna fortuna prometa fu quasi degli primi auditori di cossì acerbissima novela, la quale non gli parendo verisimile per le grande promesse di Iulia, le quali da gran constanzia credea nate, non par che facesse nel primo udire di ciò gran caso ma più avanti facèndossi a’ ragionanti a diverse persone et in diversi luoghi di questo sentì afirmare tutti in una propria sentenzia concludendo ciò esser seguito per la sua infinita belleza, e di questo variamente parlando la comendava.
Non prima le vere sponsalicie alle orechie dello absente giovane pervene che quasi constrecta fue la sua anima di partirsi dal misero corpo, ma la ragione che mai da lui non si alongoe anci in questa sua extremità non lo volse rendere furioso alli circonstanti acciocché l’onore suo salvo si potesse conservare, ma con moderato passo pian piano togliendossi via dalla università delle persone via se ne andoe, moltiplicando la velocità di passi soi tanto quanto li fu facile questo poter fare, consideri chi hae qualche discrezione e, ridutossi a casa, con mille mortalissimi gemiti, il quale intrato nella trista camera senza altro dire gran peza semivivo dimoroe, ma il dolore che ocultamente a poco a poco nel cuore se distilava cresiuto essendo in quantità grandissima sforzò in quella parte la onestà del cautissimo giovane il quale, non avendo rispecto ad alcuna cosa, gridoe forte: “Iulia, Iulia perché mi abandoni?”. E da queste et assaissime parole inusitate acompagnate sempre da innumerabile quantità di lacrime le quale in tanta abundanzia de li occhi gravi discorìa che tutto il pecto bagnando convene che ancora disordinatamente a terra cadesse, ma perché non satisfa agli miseri solo el piangere con diverse maniere da necessità cazato dicea:
“O Iulia, ecco i’son del tutto pagato degli mei meriti el premio degli quali contra la tua da me tanto autenticata fede, hai consentito altri che’l tuo non più tuo Pruneo te debi avere. E questo e quello con le tue piangiolente parole non fa ancor poche ore volesti che io per trarti del dubio del quale ora sei incorsa ti affirmasse? Doh, se non te sentivi forte alla resistenzia che ti bisognava iurando io con el mio crederti, e tu con le non vere parole me inganare bastàvati assai piangendo come facevi mostrare che’l ti dolesse questo onestissima facea la tua impotenzia la quale come a zò sforzata con assai meno angustia ch’io non fazo averìa renduta te per iscusata, solo della fortuna ramaricandomi e non di te di qual non meno che di me proprio me fidava”.
In simile et assai più diverse parole dicendo e rispondèndossi avìa Pruneo longamente sé stesso condoluto quando altro che farsi non sapendo che ritornare alle lassate lagrime alli continui songioci dei quali pur dianci per picol spacio gli avìa lassati et con quegli tanto dirotamente cominciò di novo a dolersi, che chi avesse veduta la sua giovaneza tanto afflictamente darsi al pianto se di pietra avuto avesse il cuore serìa stato de necessitate insieme di afligersi con l’aflicto.
Avendo adunque costui piangendo sfocata alquanto la intollerabile sua passione e sentendoli ancor esserli rimedio dalla fortuna il potere mediante gli usati signi a trovarsi con la perduta Iulia, se deliberò de experimentare se ciò potesse essere e posto fine al crudelissimo pianto e gli occhi rasuti avendossi per longo spacio cercoe di dare a quegli riposo acciocché per l’infiamata gravità delle lacrime per avanti in quegli abundate non da’ suoi fusse inteso quello che male agevolissimamente sforzato ascondìa.
Senza nullo altro cibbo che gli nascosi suspiri passò Pruneo quel tanto infelicissimo giorno nel quale avendo già Febo dil suo corso all’ultima parte retirati gli razi suoi e l’aere lassato pieno de infinitissime nuvole della quale la terra da sé avendole spinte oscurissima si mostrava all’aspetante giovane, il quale non prima parendogli l’ora consueta a’ suoi bisogni che nascosamente dilla casa uscì senza altra compagnia che la usitata spada con la quale sempre sopra di sé avìa tenuta a tante sue longhe fatiche e, drizàti gli passi suoi assai più infelice che non avìa el pensiero rapto se n’andoe dove la sua consuetudine observata dalla gramissima Iulia fue sentito; la qual non che al sòno si avesse data ma negli propri affanni che Pruneo avìa fato, ancor avìa di lacrime pieni gli occhi sperando che il suo Pruneo di ciò avendo sentito la venisse a vedere e parlare.
Non altrementi che il leone africano sentita degli animali la pastura a quella parte se driza con disposto animo, simile movimento assalite la piangente Iulia, la quale tutta del suo leto disordinatamente scalza, solo con uno picolo lembo de panni atorno invilupato se gitò fuori e venuta al loco de tanti suoi longhi desideri trovoe il suo Pruneo lei aspetante al quale senza niuna resistenzia si li gitò al collo tuta dalle sue lacrime bagnata e, vinta, senza altro parlare tramortita rimase.
O infelicissima notte et ultima di tanto bene nelle cui ombre gli miseri amanti coprivi abrazati! O miserabile amore a che extremità hai tu conduti gli giovaneti cuori! O sentimenti poco convalescenti agli nostri rimedi, perché questa ultima notte non vi ha concesso la fortuna che tutta in ragionamenti bisogneveli abiati passata!
O sanctissima pieta, a quante digne lacrime mi conviene commovere di costoro gli accidenti digni per certo di perpetual memoria! O spiriti graziosi, lassati ormai el vagare nell’aere e negli poco contenti corpi ritornarti acciocché l’uno di l’altro possi lamentàndossi gli extremi basi dare agli bagnati volti!
Per longo spacio tramortiti rimase gli sconsolati amanti che morti da ognuno serìano stati iudicati, l’anime di quali già per partirsi essendo constreti non gli fu dal sentimento conceduto il quale vigorosamente alla morte faceva resistenzia. Anci come signor di quelli a forza ritene le smarite anime, et a poco a poco del natural vigore riscaldando il gelato sangue in quelli mostrò aparenzia di vita. Perocché sentèndossi Pruneo nelle braze di Iulia con lentissima voce misse uno debilissimo susto con parole a pena intese. “O Iulia che t’ho io fato che contra ogni promissione hai consentito a straniere persone le tue bellece et io misero sofri che da te e dal tuo angelico volto io sia cazato”.
Queste parole per le orechie della quasi morta Iulia penetroe fino al cuore trovandolo alquanto tra el sì e’l no per morire gli notificoe la exposizione dello lamento di Pruneo, il quale desideroso alla risposta rendere el ritrato sangue alle debite parte dil fredo corpo, et aperti gli occhi non obstante che la oscurissima notte della beatitudine del volto del suo Pruneo la togliesse niente di meno rimirandolo con diroto pianto et rauca voce gli disse:
“Signor mio caro rendami la vostra usata clemenzia iscusata del commesso fallo el quale come a voi è manifesto non da me consentita ma pure pensata serìa stata tal cosa, se lo improviso modo dal quale io fui tradita e la promessa et a voi donata fede mi avesse di tal cosa fata certa, ma come la simplicità, pecorella fra gli urli degli rapaci lupi trovandomi, a pena me ricordo se a ciò consentisse tanto el terrore del mio padre insieme con lo tumulto di parenti mi travagliava la mente. E quando questo ch’io non lo afirmo fusse seguito contra la volentade mia serìa de niun valore e tanto più quanto la mia libertà a voi obligata non si puote più obligare di quello la si fusse. Però sicuro piacquavi di volere vivere acciocché della mia morte turbandovi non siate cagione dalla quale poco lontana mi atrovo. Ma se con forte pecto questo per lo mio amore portareti, per quel vero rector del cielo che ora delle mie parole è testimonio, mai, io dico, mai, dell’animo mio non ussirà la vostra ricordevele promissione, sperando ancor in lui che per tempo lieti ci renderà mediante la sua infinita potenzia”.
Queste parole dicea Iulia a colorare di quelle per lui avidente ragione che possibile gli era solo per dare al passionato Pruneo qualche socorso perché di tale cosa el conoscea bisognoso, tutta fiata gitando lacrime in tanta quantitade che mossolo a pietade gli promisse di portare questa et ogni altra fatica con più pacienzia che possibil gli fusse, pregandola che per suo amore ponesse fine al suo piangere il quale disperazione gli dava et cagione grandissima dilla morte.
Iulia che altro desiderio non avea che di compiacerli, sforzàndossi fingìa di avere messo fine al pianto e di novo abrazàndossi stetero in diverso piacere mescolato sotto infinitissime amaritudine perfino a tanto che il matutino nemico di soi desideri alle non consentite orechie si fece sentire, dove constrecti per partirsi più de mile fiate abrazàndossi tornati al pianger tenerissimamente l’uno all’altro si ricomandava. Ma prima che’l si dipartisse Iulia che all’animo firmo el cogitato pensiero sempre avìa tenuto in cotal forma tutta disposta di voler morire parloe:
“Se ora la vostra a me tanto cara persona mi tolete, signor mio caro, piazavi questa spada per grazia concedere alla mischina di Iulia vostra la quale sempre dalli nocturni pericoli della notte vi ha securo guidato, acciocché mai non avendo a lei possa atribuire grazia della a voi prestata segurtà quale per memoria delle nostre felicità come di ciò testimonio da me serà conservata e non meno riverita che la imagine di qualunque idìo sia nel cielo”. Alle quali parole, senza altro rispeto, tratòlassi Pruneo dal lato, glila diede pregandola che di lui se ricordasse e quella secretamente tenesse e di novo abrazàtossi non senza gli sempiterni lacrimari l’uno dall’altro se dipartì per più non rivedersi, come adviene.
Iulia piangendo ritornoe nella sua camera, nella quale acciocché la disperata disposizione avesse loco e dentro fu serrata e prima postassi a sedere, la spada che di Pruneo avìa ricevuta tolse in mano e quella con languido occhio basoe più volte nel manico dicendo: “Qui del mio Pruneo era non fa poche ore la benignissima mano con la quale la presente spada mi diede; et io con quella useroe l’oficio che certo lui renderà della promessa fede ch’io gli diedi né mai quella per altrui si possa dire interrota questa che dalle offensione e periculi me l’ha conservato mio. Et io sua è de bisogno che con mortal pontura per experienzia mi faci”. E, dite queste parole, pòstassi la ponta al morbido pecto, sopra di quella si gitoe con disposto animo trafigendo lo innocente cuore; con poco ordine il languente corpo a terra si cadete con tanta abundanzia di sangue che quasi impossibile era che il giovaneto corpo tanto ne tenesse.
O crudelissimo proponimento, quanto di grameza rendi testimonianza agli presenti auditori! O infelicissimo giorno nel quale fu comesso tanto dolente excesso! O donne, che constanzia fu nel forte pecto di costei! La quale prima incrudelèndossi contra di sé omicidiale volse divenire che meno che verità fusse in le sue parole quello con il gravissimo colpo della morte observando che l’altre per fugirla donando le anime loro non ne avuto per inconveniente di negare. O constanzia raro observata nel feminino sexo, ora in costei con ogni forza di te lei sola fu digna di coronazione! O anima sforzata a novi seculi! Se la divina providenzia della sua iusticia non è mancata, son certo che ancora tribuiva tempo ai tuoi languenti ramarichi, li quali se pur t’è concesso ti priego per quella sancta innocenzia che dil corpo ti excluse l’anima che quello solo le speriurate donne faci nocturnamente sentire, né mai da quelle né da qualunch’omo che a ciò potesse incorere te diparti, acciocché manifesta certeza rendi a’ viventi della obtenuta constanzia della morte di Iulia.
El padre di Iulia levàtossi, alla camera della amata figliola se ne andoe, alla quale con suave strepito percotendo dicea: “Figliola levati, già è l’ora che di vederti desidera il sposo, tico si apropinqua, et acciocché tu meno bella per lo sonno di qual che tu sei non pari agli occhi suoi ti priego che tu ti lievi. E gli usati ornamenti con diligenzia fa’ che tu prepari, acciocché ancor la mia extrema vechieza della tua presenzia riceva l’usata alegreza più non ristare”. Cossì et assai pietosissime parole dicìa el povero vecchio le quale più volte invano vedendole aver dite, con mazor forza percosse la porta dentro serrata. Né però sentendo essergli risposto, commincioe grandemente della figliola a dubitare e più uriosamente batendo dicea: “Iulia ché non rispondi?”. E tutto invano sentendo il padre le sue parole, pavido degli infortuni di questo mondo, con l’aiuto degli serventi di casa con gran fatica l’usso butoe a terra e non prima intrato nella camera e morta vedendo la figliola sopra del sanguinoso corpo rimase senza spirito. Sentito la madre che gli era venuta al grido gionse furiosa sopra di costoro et con fatica toltassi la figliola nelle brace tutta dil sangue che ancor caldo della mortal ferita discorìa, macchiandossi insieme rimase strangossati.
Quale è colui che di perfidia abia indurato el cuore che per tal caso non si spingesse pietosamente degli occhi amare lacrime – chi tanta constanzia averebbe mai prestata agli occhi che guardare avesse potuto il transforato corpo disordinatamente tutto di sangue machiato nelle brace della misera madre quasi morta in terra giacere – chi il pietosissimo e morto volto della gentilissima et innocentissima Iulia iudicarà digno de simil morte? Aimè che se di pietra se avesse el cuore e questa pietosissima giovane morta tanto ferventemente riguardando per il sangue sparso per la constanzia digna, e per la morte, e per la belleza, convegnirei che quelli umilissimi sforzasse al dirotto pianto; per certo dalle lacrime e suspiri di ogni digna et umana persona merita questa anima di essere acompagnata.
Gli’mpeti dei gridi facti per gli servi della casa parea Che l’aere fendesse. Per la quantità degli quali a sentimento essendo venuti degli circonstanti vicini tuti corsero alle porte e saliti sopra la sala entrarono nell’albergo che di tanta miseria era oppresso e veduti costoro sanguinati iacere iudicarono loro tutti quanti morti e piangendo pietosamente cercarono con più onesto ordine di aconzarli di quello gli erano e fatissi sopra loro trassero de canto gli dui languenti consorti gli quali trovando senza alcuna ferita per la calideza li iudicoe ancor vivi. Et in seperati alberghi l’uno distante dall’altro il portoe sopra i loro leti ponendogli suso e con frede acque e preziosissimi liquori cercavano de ritornarli gli perduti sentimenti, gli altri che al vero morto corpo piangìa non ossava da quello trare l’acutissima spada, se prima dali signori non fusse veduta ai quali avìa mandata tanta crudeltàa notificare.
Gionti li signori a cui tale ordine per legge è opposto, sopra dil morto corpo si extremì forte di tal cosa e comandò poi che l’arma dil pecto gli fusse trata et con pietose lacrime sparte dagli occhi di ognuno cossì fu fato, dimandando poi gli dui signori a’ servi se tal spade conosesse essere di casa overo se mai veduta l’avessino. Gli quali di ciò inscipienti, di non, gli risposeno, di che iudicarono costei da straniera persona esser stata morta, dil come ignorando, tolsero per scriptura la forma e condizione di tale spada, quale per il processo che nell’officio dei diti signori apare fino al presente giorno.
Pruneo con amaritudine infinita tornò alla sua casa tanto pieno de innumerabili gemiti et lacrimosi suspiri quale mai alcuno altro nel presente mondo se ritrovasse, e nella camera tacitamente intrato se gitoe sopra el leto suo di novo dolèndossi che altri che lui potesse dire che Iulia essere sua e da questo pensiero ad un altro sagliendo non poté per niente dar pace al contaminato animo, e negli occhi suoi da lacrime mai fece resistenzia. Tutta quella parte che della notte rimasa gli era altro che in diverse mainiere di cruciamenti non ristò di consumare, perfino a tanto che’l novo giorno poco luntano con la mediante5 aurora il fece volentaroso ad usire di casa, e rivestitossi discese le scale e rato se ne andoe ali frati minori dove nello inchiostro in solitaria parte come era la sua consuetudine de ridursi nel tempo delle sue adversità e più pensoso e disperato dil suo infortunio atonito ora qua et ora là andava sempre a terra, sempre, gli occhi miseramente tenendo. Ma la Fortuna, che sempre ai dolenti conserva gli ultimi suoi veneni, non gli parendo solo bastare el piangere del misero Pruneo, posto ordine alle sue insidie mediante le quali apta se ritrova da farli pieni di amaro tosigo gustare, e senza grande indusia di tempo el miserabile et extremo caso gli fe’ sentire.
Costui già presso l’ora dil mangiare e poco di quello curandossi altro che di Iulia perduta non pensava, alla quale e la mente e’l sentimento avìa sì fisso che più delle fiate ritenuti i passi suoi come imagine di pietra dimorava. Il che essendo più volte dai frati deriso il suo poco assentito passegiare per gli modi diversi in questo operati il iudicarono pazo. E poco di lui curàndossi quale de simili si suol fare, adivenne che non avendo rispeto certi di loro passegiandoli dal lato el terribile et inopinato caso di Iulia l’uno all’altro con grande pietà recitava e le circonstanzie et signali dila spada ragionando fece riscuotere Pruneo dal gravoso pensiero, il quale dando officio alle grame orechie sanamente intese questa della sua spada esser traficta et in quello istante poco meno che morto non cadere, e ridomandati gli frati se di ciò fusse certificati, gli rispose che già il corpo nella chiesa loro chiamava al debito officio.
Non meno che morto Pruneo di quel loco se dipartì acciocché per lo subìto accidente l'anima sua spaventada riservar potesse. E ritornato a casa già l’ora tarda a tanto et sì alto proponimento quanto già nella misera mente gli era intrato di fare senza altro che dire di quella se dipartì e trovati dui soi intimi e carissimi amici con contaminato volto quegli di grazia chiedendo a’ suoi bisogni quali ora bisognandoli il dovesse socorere, li quali di ciò miravigliàndossi gli disse: “Pruneo nostro, non senza grande admirazione ne lassi sospesi per le parole ora da te verso di noi usate con tanta efficazia. Che se in te non si nasconde quello che la tua passionata apparenzia ci dimostra de gravissimo affanno par che sie astreto pregarne che a’ tuoi bisogno dobiamo soccorere, e benché la condizione di quegli non sapiamo da ora per la parte mia quantunche questa cosa sia di ogni ponderoso e grande affare, per quello amore che io ti porto già tanti anni sicché di condizione vogliasi sia non ti serà mai scarso il mio potere”, e cossì dall’altro che molti relevati benefici da Pruneo di casa sua avea ricevuti con infinitissimi sagramenti tutti di pietà pieni e quasi della sua aflizione lacrimando si gli offerse. A che Pruneo rispose: “E se di ciò meno di quanto ch’io trovo in voi non avesse sperato trovare, non tanto fato quanto vederiti me averìa argumentato di metter nelle vostre mano. Ma come quegli nelle cui brace mi sono rilevato credo che mi aiutareti, ma perché al poco termine la indusia serebbe meno che la mia volentade, vi prego che a secuzione meteti gli animi vostri e meco vi piacia di venire”.
Il corpo di Iulia già alli ultimi ripossi dil marmoreo sepulcro giacea, quando l’ora già quinta della notte passata era nella quale partiti costoro insieme con el misero Pruneo; per le oscure6 dila notte drizòno i loro passi verso il loco di frati, al quale gionto nel cimiterio di fuori dal loco Pruneo piangendo sopra dil freddo sepulcro cascoe tramortito, veduto questo li dui compagni che con lui erano con diligenzia fregandoli i polsi a certeza di vita lo ridusse.
“Carissimo Pruneo, la cagione dila tua tristizia ora per lo subìto accidente conosciamo dil quale quanto con ragione ti dogli è manifesto a tutto el mondo, ma conciossiacosaché di dolersi delle cose passate non ristaura la vita al morto corpo, ma se di morte al viver tuo dai cagione infinita. Et acciocché tu el padre tuo gramo di te, e noi non lassi, ti pregamo che le lacrime dagli occhi tuoi in tanta quantità sparte tu debi lassare, perocché se quello amore che di costei cossì ti stringe hai avuto caro, piaciati di mostrarlo altrementi che per quel modo che questi tali lacrimosi cadimenti non a omo digno quanto tu se’, ma sì alle femine si aconviene. Donque vivi constante, acciocché la innocente anima di costei già nel regno del cielo te aspetante possa della tua bona pacienzia ricever l’aspetata alegreza. E se dubiti quella non purgata per tendere del purgatorio l’ussita, apri la via alla sua victoria mediante gli prieghi tuoi: tu, vivendo, gli potrai dare quel socorso delle tue orazione che morte tu e lei farìa di ciò bisognosi. Lassa adunque tale remaricazione et a casa provediamo de ridursi, imperocché chi a questa ora qui ne trovasse pensa che altro che mala cogitazione dil seguìto caso non prosumerebbe a noi per advenire poterìa ancor di vergogna e danno dare cagione”.
Pruneo già delle parole di costoro turbatossi rispose: “Se di ciò temevi a che promètermi né a ciò bisognava che venesati, so vi potea bastare il negarmi quello che avanti che siamo a’ fati vi fa paurosi, ma se il presente coperchio non mi aiutati di levare acciocché la mia da me morta Iulia possi abrazando tocare, con le proprie mani cazarò l’anima mia all’infernali supplìci et voi e’l male comesso ad una ora satisfarò morendo; donque non più pregove, mi aiutati e presto”.
Le parole presente di Pruneo in tanto terror misero li dui compagni che presti cominzarono ad experimentare di levare il grave coperchio e da Pruneo aiutati con certe stanghe che lì presso trovarono poco meno a resentirlo, et a poco a poco quando con stanghe, quando con le loro cinture, tanto feceno che quello mosseno del proprio logo, e tanto lo dilongò dalle commissure del sepulcro che Pruneo vi potìa intrare, e quale non temerario per la sua giovaneza se dimostrò quale la ragione volìa, ma disambandonato tutto dentro se vi gitoe, e preso il morto corpo sopra di quello strangossato rimase per longo spacio, ma la volentà cazata da mortal solicitudine non gli concesse tempo al tropo poter dimorare, ma rivolgendo el cuore ancor dove la lena alla gramissima lingua la quale in questa forma parloe:
“Oimè Iulia, oimè Iulia, io della tua morte cagione a te son venuto acciocché’l non da me conosciuto omicidio non rimanga impunito, sempre in cognizione tal cosa al mondo è oculta, et io con la mia morte la farò palese, ora la fede da noi afirmada con tanta afezione con il titulo della nostra morte ci renderà contenti. Vedi, o Iulia, l’anima mia desiderosa di confirmare le mie parole cercando la tua negli novi seculi solicita a te di venire.
Ma acciocché di memoria non rimanga offuscata tal benivolenzia quanto ora di altri che tuo mai non mi ha possuto far la fortuna, confirmaròlo con il spargimento del mio sangue il quale gli dèi prego che se alcuna sacra unzione in te è mancata quello in cambio di ciò affermi esserti valevelle”, e dite queste parole uno pongente cortello si cazoe nel pecto Iulia abrazando morta; insieme rimase gli morti corpi.
O morte miserabile fine di poco contenti giovani, ora l’ultime tue force incrudelendoti hai usate contra gli innocenti amanti. Doh, perché chi del tuo bisogno domandandoti si offerisse non exaudi ma a quegli come sorda nieghi l’andito della tua persecuzione et a loro di più bisogno che alli presenti giovani, ti nascondi? Costoro dal tuo pongente dardo fugendo desiderava contenti divenire, ma tu con la mala disposizione della non stabile fortuna a’ suoi teneri anni hai signato el fine in te assumendo dil suo contento ogni extrema parte. O amore, cagione di tanta miseria riguarda con sano occhio che fine hanno avuti li tuoi subditi gli quali col vinculo della tua subiezione dimora senza l’anime loro. E tu, constanzia regnante nelli loro pecti, senza alcuno pauroso pentimento gli hai conducti a cotal passo.
O Iulia, gloriosissimo exemplo delle speriurante donne le quale con mille promisione mille fiate allora a mortalissimi periculi soto fiducia di quelle mèteno i loro amanti, li quali se meno che bene gli adviene le excusazione sono subito preparate alla sua diffensione, e se mille fede per privilegio gli avesse obligate uno solo torto sguardo factoli da’ suoi mille fiate allora negando viverebbe, non si fazando conscienzia di consentire ad altrui la ubligata fede. Or qual animo è quello che legendo di costoro gli pietosi casi consentireti questo di poter fare, e se alcuna alle orechie della quale questo infortunio legendo e dalla conscenzia rimorsa si sentirà in tale peccato, e solo di pietà tocata per la misera morte da questi fidelissimi amanti traendo dagli occhi alcuna lacrima manifesta certeza rendendo alla sua componzione di cuore? Idìo priego si degni concederli perdono, overo diminuirli la pena che per tal peccato gli fusse opposta al fine di soi giorni, acciocché conoscente di tal beneficio essendo prima alla clemenzia di Dio renda grazia, poi che per merito dil bene ricevuto si tribuisca all’anime di passati giovani divote orazione.
Finis
1 “A me” may be meant.
2 “Era” may be meant.
3 “ardere” might be meant.
4 The manuscript’s “interra” makes little sense here.
5 “radiante” may be meant.
6 I.e. “oscurità” (or a word such as “ore” or “tenebre” may be missing).