L’INFELICE AMORE DEI DVE FEDELISSIMI AMANTI GIVLIA, E ROMEO, SCRITTO IN OTTAVA RIMA DA CLITIA NOBILE VERONESE AD ARDEO SVO. CON PRIVILEGIO. IN VINEGIA APPRESSO GABRIEL GIOLITO DE FERRARI ET FRATELLI. MDLIII
ALLA ECCELLENTISS. S. LA S. VITTORIA FARNESE DALLA ROVERE DVCHESSA ILLVSTRISS. DI VRBINO.
HAVENDO io ſaputo, poi che mi fu dato cura di far imprimer le Rime preſenti, che elle erano ſtate promeſſe a V.S. illustrißima, mi è paruto, accio che eſcano fuora con lor maggior onore, deuerle publicare ſotto il suo honoratißimo nome. E tanto piu ho procacciato lor questo fauore, quanto più ho conoſciuto che dal Caualier Gherardo Boldieri, ilquale a uostra eccellenza le promiſe, non erano per ottenerlo. Perché hauendo egli riguardo alla grandezza dei meriti di quella, e dello obligo che con eſſa tiene, ſo che a lui pare facendole ſi picciol dono, che egli ſia più ſuo honore il tacerlo, che il farlo paleſe.
DELLO AMOR DI GIVLIA E DI ROMEO CANTO PRIMO.
Di duo fedeli, et infelici amanti canto, anzi piango la ſpietata ſorte, e chi narrar potrebbe ſenza pianti la meſta uita lor, l’aſpra lor morte? Di Giulia, e di Romeo fidi tra quanti mai ſeruar fe nella amoroſa corte il miſserabil caſo, Ardeo Gentile, dir ui hol Clitia uoſtra in ſuono humile. Ma perché ogni mia forza poſſedete, come ogni poter uoſtro anch’io poſſseggio, se in man poi ſol di me l’alma tenete, com’anco ha nel mio cuor la uoſtra il ſeggio, e s’in me dopo Dio dominio hauete, a uoi ſol nel dir mio ſoccorso chieggio. E col fauor di uoi, mio ſacro nume, comincio. ſiami ſcorta il uoſtro lume.
Gia cent’anni, e cinquanta hor son paſſati,
Che nella città noſtra unica, e uera,
Mentre ella dagli egregi, et honorati
Principi della Scala frenat’era,
Fur duo famiglie, che ne tempi andati
Hebbero inſieme inimicitia fiera,
Cappelletti, e Montecchi, illuſtri e antiche
Caſe in Verona, e meno allor nimiche.
Che, benche gia tra l’una, e l’altra parte
Come il peccato lor forſe, o la ſorte
Lor empia uolſe, il furibondo Marte
Sol ſangue haueſſe ſeminato, e morte,
Stanche, e laſciate homai l’arme da parte,
O del paſſato error col tempo accorte,
Inſieme ſi uedean per gliocchi fuori
Moſtrar men duri alcuna uolta i cuori.
Non che però delle paſſate offeſe
Fuſſe l’interno ardore in lutto ſpento,
Ma’l gran Maſtino lor ſignor corteſe
Ch’al comun ben non mai ſi moſtrò lento,
Si al ben’oprar hauea lor l’alme acceſe
Con la uirtute, a cui fu ſempre intento,
Ch’era tal’hora, anzi ſovente nato
Tra lor ragionamento non ingrato.
Senza hauerſi altra fede, o ſicurezze
Date d’effetti, o di parole inſieme,
Viuendo in pace fean che l’allegrezze
Erano ognihor nella cittade eſtreme.
Ma l’empie ſtelle a goder ſolo avvezze
Quando l’huom ſenza colpa afflitto geme,
Non ceſſar fin, che con meglio apparente,
Deſtar furor uie piu del uecchio ardente.
Gia vicino al monton Phebo ſplendea,
E dell’anno era il tempo più feſtoſo,
Che fu ſacrato a Bacco, e a Citerea,
Viua ſtagion che tacito amoroſo
Fuoco ne petti aſcoſamente crea,
E rende l’uſo allor licenzioſo
Sì l’huomo, che ſenza eſſerne ſchernito,
Tutto ſi dona in preda allo appetito.
Hauea tra i Cappelletti il piu honorato
Grado per merto Antonio, e per fortuna.
Ne dalla bianca ſua fattione amato
Sol era, ma l’amaua ancor la bruna.
Ond’ei, per dimoſtrarſi a tutti grato
(Sendo a cio la ſtagion molto opportuna)
Daua in conuiti, e in danze a tutte l’hore
Diletto ai cittadini, & ed al Signore.
Fattoſi un di del Dio della battaglia
Il giuoco fier dai noſtri cavalieri,
Che non eran ueſtiti a piaſtra, e maglia
Men ch’in amar humili, in arme fieri,
Accio che’l bene al ſommo intero ſaglia
Da tanti incominciato alti piaceri,
Preſa l’occaſion che offerta gliera,
Conuitò ognun per la uicina ſera.
Con alto ſuon di trombe, e di caualli
Speßi annitriri, e di tambur rumori,
Tutt’hor cadendo fior uermigli, e gialli
Dall’aria ſparſi di ſoaui odori,
I caualier dai martiali balli
Cinti le tempie d’honorati allori,
Ai loro alberghi accompagnati furo,
Ne molto ſtette il cielo a farſi oſcuro.
Gia de’nobili ua la maggior parte
D’Antonio ad honorar la feſta altiera,
Tulle le belle, e nobil Donne ſparte
Per la città, ui s’adunar la ſera.
Tra l’altre una u’andò, che ſacra a Marte
Fu detta, bella aſſai, ma cruda, e fera.
Dalla coſtei durezza, oh ria memoria,
Hebbe principio la pietoſa hiſtoria.
Perche dall’amor ſuo ſpinto il maggiore
Dell’altra fattion Romeo Montecchi,
Par che piu aitato da animoſo cuore,
Che da ragion ſeguirla s’apparecchi.
Ne generando in lui neſſun timore
Lo ſparſo ſangue, e gli homicidii uecchi,
Traueſtito, ſicur ſi perſuaſe
Poter entrar nelle nimiche caſe.
E coſi ſol ſenza altra compagnia,
Per con men ſicurezza eſſer ſicuro,
Indrizzò i paßi, oue la ſorte ria
Del ſuo ſi piccol bene, e del futuro
Suo ſi gran male hauea fiſſa la via.
Oh del mondo ſperar fallace, oscuro,
Che piu che l’huom tra noi aſcende in alto,
Piu nel cader fa ruinoſo il ſalto.
Parue penſatamente, e pur fu a caſo,
Che ſalit’ei nell’ampia ſala a pena,
II Cappelletti, ſin’alhor rimaſo
In camera, uſci fuora, e dalla piena
Caſa oltra modo forſe perſuaſo,
Per iſchifar qualche futura pena,
Quanto potè, corteſe intender fece,
Ch’iui ſtar maſcherato a neſſun lece.
Lietamente da tutti fu fornito
Ciò che’l padron benignamente chiede.
Il giouin ſol da doglia aſpra aſſalito,
Del folle ardir, dell’error ſuo s’auuede,
Ragioneuol timor, ſicur partito
Prender gli fa di leuar quindi il piede,
Ma che intrepido reſti amor al tutto
Con ragion uol, da ch’ei ue l’ha condutto.
Scoperſe al fine, e non con poco incarco
Delle piu belle Donne, il ſuo bel uiſo,
Col figlio armato di faretra, e d’arco,
Sceſe Venere allor dal paradiſo.
Quiui allo ſtretto ineuitabil uarco
Rimaſe piu d’ un cuor ferito, e anciſo,
L’habito feminil, ch’in doſſo hauea
L’aßimigliaua a ninpha, o a immortal Dea.
Fra le molte ſaette argentee, e d’oro,
Ch’in un’attimo infiſſe amor ne’cuori,
La ricca piu, con piu gentil lauoro
Formata, eletta a piu infiammati amori,
Drizzò in colei che nel femineo choro
Piu degna eſſer penſò d’eterni honori.
Onde ne nacque affettion ſi forte,
Che non iſcemò poi fortuna, o morte.
Haueua Antonio una leggiadra figlia
Della uecchiezza ſua ſoſtegno, e ſpeme.
Cui il giouane ch’a donna allor ſimiglia,
Gia acceſa ha nel ſuo amor con l’altre inſieme:
Ella lui mira hor pallida, hor uermiglia,
E le bellezze ſue ſtimando eſtreme,
L’imagin lor nell’anima riceue,
Mentre il fuoco d’amor con gliocchi beue.
Poſcia gran pezzo nello impreſſo obietto
Viuuta mentre fu morta, in ſe steſſa,
Soſpirando mandò dal caldo petto
Di ripreſo uigor certezza eſpreſſa.
La compreſa cagion di tal riſpetto
Allor fra ſe di maledir non ceſſa,
Che tanto nel deſio s’inaſpra il cuore,
Quanto difficultà uede maggiore.
Ne ſeruigi d’amor dall’altre parte
Il caualier fra gli altri amanti raro,
Eſſer a molte hauea compreſo in parte,
Ma piu ch’ad altra alla fanciulla caro,
Ond’ei penſando quanto ſacra a Marte
Gli hauea moſtrato ognihor l’animo auar,
Quindi ſpinto da amor, quinci da ſdegno
Nel cuor cangiò liberamente regno.
Cangiò regno nel cuor dandone allora
Scettro, e corona alla ſeconda amata,
Poi, ch’aitato da lei, la prima ſuora
Che Tiranna ne fu, n’hebbe ſcacciata,
Mira l’alta beltà, che l’innamora,
E uie maggior dell’altra, e uie piu grata
Stimandola, di lei tutto s’accende,
E ch’anch’ella ami lui ſperanza prende.
Mentre d’alto penſier di fiamma ardente
S’empiua il Sole, e la terreſtre luna,
Che aßimigliar beltà tanto eccellente
Ne ſo, ne uoglio a mortal coſa alcuna,
Fuor del penſier d’ognuno immantinente,
Non cedendo anco al di la notte bruna,
Rizzoßi ognuno, e con calpeſtio ſpeſſo
L’un ſi uide partir’all’altro appreſſo.
D’aſpra ſaetta ai mal ſortiti amanti
L’improuiſo rumor trafiſſe il core,
Che nello eſtremo ben le menti erranti
Da freddo oppreſſe, e ſubito timore,
Penſar quindi partendo i circoſtanti,
Deuer esser disgiunti, quando amore
Pietoſo a tanto duol, bramato, e bello
Negli animi ſpirò giuoco nouello.
Come cred’io, da quello antico nato,
Di cui ſpeſſo è tra noi coſtume ancora,
Porre alla Donna l’huomo, e all’huomo a lato
La donna in cerchio; coſi s’era allora
Con le mani ogni amante iui annodato,
E al ſuon di più iſtrumenti, che tutt’hora
Danzando iui s’udian, lor era auiſo,
Trouarſi ne i piacer del paradiſo.
Nel mezo della nobil compagnia
Primo uſci con un torchio acceſo in mano
Vn giouin, che con uaga leggiadria
Vna Donna gentil preſe per mano,
A cui con riuerente corteſia
Dopo un breue girar ſciolta la mano,
Conſegnatole il torchio, il cerchio aperſe,
E rinchiudendol poi fra duo s’offerſe.
Quella un’altro pigliò, delqual gia amore
Nell’anima le hauea l’effigie impreſſa,
Coſi nutriua l’un dell’altro il cuore
Vn fuoco, un duolo, una allegrezza iſteſſa,
Sin ch’una per deſir ſouerchio fuore
Quaſi di ſe, in un ſubito diſmeſſa
La donneſca paura, ſcelſe ardita
Il naſcoſto Romeo, del cerchio uſcita.
Ei tinto il uolto del natio colore,
Che ueſte il cielo allo ſpuntar del Sole,
D’un dolce ſguardo ſuo con lo ſplendore
Allo ufficio ſuppli delle parole,
E con pietà penſando al uano ardore
Di tal giouane poi, col cuor ſi dole,
Che ſeruir non ſi puo con fede a dui,
Ne ſe ad altri donar, ſendo d’altrui.
Pur riſoluto in un momento al giuoco,
Nel mezo entrò non men gentil, che bello,
V ſi racceſe in infinito il fuoco
Nato pur dianzi in queſto petto, e in quello:
Slegato poi da quella donna, il loco
Col penſier ferma oue riporſi, e ſnello
Preſe un’altra, e per ordin la depoſe,
Poi cheto appreſſo alla ſua Dea ſi poſe.
Per coprir, e ſcoprir gl’interni ardori
Qual uia non troua innamorato ingegno?
Per ſoffrir male, e ben qual non gli amori
Preſtano ai ſervi lor forza, & sostegno?
La Giulia di ſospetti, e di timori,
Di geloſia, di duol carca, e di ſdegno,
(Che coſi la fanciulla era nomata)
Fu in un’altra in quel punto trasformata.
E qual talhor, poi che la nube ſcorſe,
Si uider rai di uiuo fuoco al ſole,
Tal d’honesto roſſor tinta ſi porſe
Al giouane, ch’in ſe ſol’ama, e cole;
E ſtata tutta humil gran pezzo in forſe,
Raccogliendo dal cuor dolci parole,
Le naſcoſte amoroſe fiamme ardenti
Gli ſcuopre ſotto queſti honeſti accenti.
Veramente, Romeo, diſſe ella, poco
Piu che uoi reſtavate del mio cuore,
Il ghiaccio a temperar col uoſtro fuoco,
Ch’a me recò, per darmi uita, amore,
Marcuccio Vertio qui gia a poco, a poco
Con la ſua fredda man, del corpo fuore
Mi trahea l’alma; ond’io tante ui dono
Gratie, quant’è della mia vita il dono.
Di Giulia l’una man per ſua ſuentura
De Vertii un nobil giouane tenea
Detto Marcuccio, il qual di ſua natura
Fredde le man la ſtate, e’l uerno hauea.
Loda il gentil Romeo la ſua uentura
Del fauor, che da Giulia riceuea,
Fauore, onde ne nacquero l’interne
Fiamme, ch’ad ambi fur ne petti eterne.
Eraquetato alquanto il cuore oppreſſo
Dalla dolcezza, con tremante ardire
Cominciò con parlar dolce, e ſommeſſo
Mentre alti ſuon fean l’aria tintinnire,
Deh, poi ch’a me’I parlarui ha’l ciel conceſſo,
Perché debbo’l mio ardor non ui scoprire?
O me felice, o avventuroſa ſorte
Vita naſcendo a uoi dalla mia morte.
Mi dier morte i uostri occhi, e mi priuaro
Del cuor, quando pur dianzi gli mirai,
Eßi l’alma per ſempre mi legaro,
Si che piu mio ſo di non eſſer mai.
Ma piul laccio, e’l morir per uoi m’è caro,
Che uita, e libertà per altra aſſai.
Deh dunque, ancor ch’io creda eſſerne indegno,
Ch’io u’ami, e ſerua non habbiate a ſdegno.
A Romeo chetamente fu con quella
Modeſta, e riuerente corteſia
Riſpoſto dalla nobile donzella,
Ch’al loco, al tempo, e ad ambi conuenia.
Si mandauan del cuor certa nouella
I lor occhi, e le mani tutta uia,
Che ageuolmente amor ne gentil petti
Imprime ardenti, & honorati affetti.
Mentre uagando fra roſe, e uiole
Godeuan l’alme il ben del paradiſo,
La uaga ſtella, che del uenir ſuole
Portar della propinqua aurora auiſo,
Tutt’hor poggiaua, quand’iui parole
S’udir d’uno huom, ch’in alto ſcanno aßiſo
Dando commiato a ognun, fine ai piaceri,
Ne petti raddoppiò fiamme, e penſieri.
Ne rallentar gli amanti con men doglia
L’auuitichiate man, uiue catene,
Che dal corporeo uel l’alma ſi ſcioglia
Certa di non mirar l’eterno bene.
Quinci allhor nacque del morir la uoglia,
Quinci s’incominciar le graui pene.
Che a lor l’eſſer dall’altro l’un diuiſo,
Fu un cangiar con l’inferno il paradiſo.
Reſtaro ambi al partir tremanti, e ſmorti,
E dolor ſi mortal lor punſe il cuore,
Che parue ben che coſi acerbe morti
Come hebber poi, lor nunziaſti Amore,
Ah perche crudeltà tanta comporti
Ne tuoi piu fidi ſerui? deh ſignore
Non piaccia a te, che’l noſtro amor decline
Vnqua a ſi crudo, e miſerabil fine.
Indi per ripoſar ſi ritrouaro
Chi qua, chi la nell’ocioſe piume,
Piume, e ripoſo ſol’aſpre, & amaro
A Giulia, & a Romeo fuor di coſtume.
Quiui ambidue in un tempo cominciaro
A penſar l’un dell’altro al uago lume,
E a ſoſpirar, che lor poſto nel cuore
Deſir ſenza ſperanza haueſſe amore.
Ma la giouane pria, ch’era piu molle,
E meno atta a ſoffrir ſi grave affanno,
Comincia; ahi laſſa deh come amor uolle
Rubarmi il cuor ſotto ſi aperto inganno.
Miſera la mia uita, ardir mio folle,
Ben diſperato, anzi aſpro e certo danno?
Debbo coſi miſeramente gire
Vedendol’ io precipite al morire?
Ben ſerei di felice alma fortuna
Diletta unica figlia, quando un nodo
Honeſto marital duo corpi, & una
Alma giungeſſe con eterno chiodo.
Ma come hauer poß’io ſperanza alcuna,
Poi che ſin’hor, come ho già udito, & odo,
L’una, e l’altra di noi famiglia uiſſe
In odio ſempre, e in ſanguinoſe riſſe?
In quel trauaglio la confuſa mente
D’uno incerto timor tutta s’empia,
E dicea in ſe coſtui le uoglie intente
Sol haura al biaſmo, e alla ruina mia.
Toſto poi ſi riprende, e hauer ſi pente
Del ſuo ſignore oppinion ſi ria,
Che non le par che inganno, o indegno effetto
Poſſa capir ſotto ſi dolce aſpetto.
Mentre il caldo diſio, l’alto penſiero
A quel petto gentil l’alma diuora,
Per l’orme ſteſſe il medeſmo ſentiero
Romeo traſcorſe annouerando ogni hora.
Fin ch’uſcita dell’onde allo hemiſpero
Noſtro le treccie d’or moſtrò l’Aurora,
Allora all’alma ſtella ch’anzi al ſole
Suole apparir drizzò queſte parole.
O della terza sfera eterna luce,
La cui ſomma uirtu ſopra la terra
Tanti, e ſi degni effetti ogni hor produce
Perché ſpegnendo in noi l’odio, e la guerra,
Gli huomini a pace, e ad amicitia induce,
Deh quel tuo uiuo ardor ch’in me ſi ſerra
Nella mia Donna, e in me tal fin ſortiſca
Che le noſtre famiglie inſieme uniſca.
Se gli antichi di noi gia ſtoltamente
Inſieme incrudelir, ſia loro il danno.
Se gia dal bene hebb’io torta la mente,
Pentito, da me ſteſſo hor mi condanno.
Deh per pietà mi riformi innocente
Quel che m’affligge il cuor ſouerchio affanno,
Sia dunque, ſia’l mio amor felice, o amorze
L’ardor ſuo pria ch’in me prenda più forze.
Indi ne tempii, alle fineſtre, e in quello
Che a lor loco migliore offria la ſorte,
Rimirandoſi il giorno, al lor ribello
Sperar’aprian del cuor le chiuse porte.
Ma ſeguendo poi l’orme del fratello
La luna, era il duol quel, quella la morte,
Ch’in penſieri, in ſoſpiri, in pianti, e in guai
L’hore ſpendean ſenza poſarſi mai.
Fra molte notti poi, che ſenza alcuna
Quiete fur condotte dagli amanti,
Occorſe in una di color men bruna
Per la caduta neue il giorno auanti,
Che Giulia, o per ueder l’argentea Luna,
O qualch’un’altra delle ſtelle erranti,
A caſo hauendo la fineſtra aperta,
Veder quiui le parue un’ombra incerta,
E ſtringendo de gli occhi le palpebre,
Chiara ſi fe’ch’huom uiuo era, e non ombra.
Onde, come natura e muliebre,
Di ſubito timor l’alma s’ingombra,
E già ſi ritrahea, ma di latebre
Romeo gia uſcendo, tal timor le ſgombra.
Romeo tratto iui pria da graui omei,
E ben riconoſciuto fu da lei.
Qual madre che ſi uegga d’improuiſo
Giugner avanti caro unico figlio,
Che da lei lungamente fu diuiſo
Da diffinito capital eſiglio,
Con l’anima l’abbraccia, e’l cuor conquiſo
Ha dal dolor che da mortal periglio
Sa che ancor non è libero, o aſſoluto,
Onde cerca al timor piangendo, aiuto.
Tal ueduto il ſuo amante la donzella
D’amoreuol pietà tutta addolcita,
Ah qual diſſe, ui ſpinge iniqua ſtella
Qual qui tra uui amoroſa calamita?
S’ogni ſperanza è al noſtro amor ribella,
Perche porre in periglio ognihor la uita?
A che dolce ſignor per uie diſtorte
Cercar con biaſmo altrui la propria morte?
Deh madonna, diß’ei, ſi ch’ir’ a morte
Mi ueggio, e toſto giugnerouui al tutto.
Ma deuendo morir, qual miglior ſorte
Hauer potrei ch’a morte eſſer condutto
Qui in ſu i uoſtri occhi innanzi a queſte porte?
Che forſe allor con uiſo non aſciutto
Mi guardereſte, e morto la pietate
Trouerei in uoi, che uiuo mi negate.
Mentre penſa piu oltre afflitto, e meſto
Seguir parlando, o riſpoſta attendea,
Vide ſerrar con improuiſo, e preſto
Ritirarſi, il balcon dalla ſua Dea.
Gli fu ſi fin a l’anima moleſto,
Si lo trafiſſe, e al cuor piaga ſi rea
Il ſubito di lei partir gli impreſſe,
Che duol non è ch’al ſuo dolor s’appreſſe.
Chi uide huom mai, poi che gli cadde appreſſo
Lo ſpauentoſo fulmine dal cielo
Attonito reſtar fuor di ſe ſteſſo,
Tal che non ſente più caldo, ne gielo,
Penſi Romeo rimaſto quello iſteſſo
Offeſo allor da piu pungente telo.
Ne prima in ſe tornò, che d’ogni intorno
Phebo quaſi ſpargea, naſcendo, il giorno
Onde per uie men frequentate, e note
Viuo appena allo albergo ſi conduſſe.
Ma non prima nel mar tuffò le ruote
Il Sol, ch’in darno ancor ui ſi riduſſe.
Pur fra molte per lui d’effetto uuote
Notti, ch’a ritornarui amor l’induſſe
Ecco in una al balcon uede apparire
La Giulia, e coſi l’ode irata dire.
Ah perche a tanto temeraria impreſa
Riporui oſate ancor ſi ſtoltamente,
S’ogni uoſtra fatica in darno è ſpeſa?
Perché oltraggiar ui gioua una innocente?
Deh ſe paſſar ſenza uendetta offeſa
Alcuna, o poche il ciel mai non conſente,
Credete, quando offendermi cerchiate,
Che ſien l’ingiurie mie non uendicate?
Certo ſe a biaſmo della ſtirpe mia
A quiui conſumar le notti, e i giorni,
(Il che far non doureſte) odio ui inuia,
Non uo dell’altrui colpe hauer gli ſcorni.
Ma ſe con puro amor pena ſi ria
Prendete per piaceuoli, ſoggiorni,
Tremar mi fa il periglio, in cui uegg’io
Poſta la uita uoſtra, e l’honor mio.
Ma perche piu nello auuenir ſicuro
Siate del mio uoler caſto, e ſincero
Ne ſenza lume entriate in loco oſcuro,
Quando io m’accorga pur ch’in uoi penſiero
Naſca a uergogna mia, per Dio ui giuro
D’eſſerui ſempre aſpido ſordo, e fiero.
Quando m’amiate, come ragion uole,
Vaprirò il cuor con ſemplici parole.
Oſia che preſſo ogn’un naturalmente
Siano in pregio maggior le coſe rare,
O pur dal ciel ſien noſtre uoglie intente
A odiar quelle, ad hauer queſte care,
Io confeſſo il mio error, ſe honeſtamente
Dir ſi può errore, il ſuo ſignor’amare,
Allor, che per mirarui gliocchi aperſi
Me, a me togliendo, a uoi tutta m’offerſi.
Indi riſolta de le uolte mille
Son d’hor laſciare, hor di ſeguir l’impreſa.
Quinci dandomi ſpeme di tranquille
Paci la fiamma in me d’amore acceſa,
Quindi me impaurendo le fauille
Non ſpente ancor di qualche antica offeſa.
Senza concluſion ſon finalmente
Qual uedete, confuſa a uoi preſente.
E perché ogn’hora mi traffigge il cuore
Vederui in un periglio tanto, e tale
E in ſi uane fatiche ſpender l’hore,
Oltre ch’alto timor ſempre mi aſſale,
Che non ne ſia macchiato anco’l mio honore,
Diſpoſta ſon, perche ſegua men male,
Prouando, con mio riſchio, l’amor uoſtro,
Satiſfar caſtamente al deſir noſtro.
Frate Batto Tricaſtro de minori
Di ſan Franceſco, e ſecretario intero
Del cor, non che de miei paſſati errori,
Sendo uoi ſignor mio fermo in penſiero
Chabbian debito fine i noſtri amori,
Eccoui il ſol fido iſtrumento uero.
Ne piu ui dico, ma fin che’l ciel uole
Nel petto di noi tre ſtian le parole.
Ocon che gioia, o come intentamente,
O da qual marauiglia ſourapreſo,
Ha’l gentil caualier la ſanta mente,
E‘l saggio dir della ſua donna inteſo.
Fu di ſi grata offerta humilemente
Da lui debite gratie a quella reſo.
Ond’ambi d’un uoler pari, e ſincero
Fermaro al loro intento ordine intero.
Quai fuſſero i penſier poi degli amanti,
Penſar puo chi per proua intende amore.
Che di lor uoglie il fin poſtoſi auanti,
Stauan fra gaudio, e duol, ſpeme e timore.
Romeo conteſo da contrarii tanti,
Veder ſoffre a fatica il nouo albore,
Che d’habito mutato, a trouar toſto
Va il frate, a cui il ſuo amor non era aſcoſto
Padre, gli diſſe, da cui ſol dipende
Hor la merce d’ogni fatica mia,
E dal cui buon giudicio ſi comprende
Quanto mi ſia la ſorte, o buona, o ria,
Deh, ſe uoi per ſua ſcorta il mio cuor prende,
Siami la uoglia uoſtra amica, e pia.
Coſi tutte le gratie eternamente
Veder poßiate ai deſir uoſtri intente.
So che gia dalla Giulia inſtrutto a pieno
Dell’honeſto amor noſtro eſſer deuete.
Hor uolendo ambi che contratte ſieno
Leggittime tra noi nozze ſecrete,
Deh padre in cio non ci uenite meno.
In uoi ci rimettiam, dunque eleggete
Voi il tempo, in cui ſi ſtringa in ſanto modo
Tra noi col uoſtro tesſtimonio il nodo.
Coſi parlò Romeo con caldo affetto,
Stette ſtupito il frate ad aſcoltarlo,
E perche in nodo d’amicitia ſtretto
È ſeco, ſi diſpon di contentarlo,
Ancor che, hauendo al uecchio odio riſpetto
De padri lor, ſia periglioſo il farlo,
Ond’a lui, per hauergli obligo molto,
Riſponde in guiſa tal con lieto uolto.
Inteſo il uoler uoſtro ho pienamente,
Honorato figliuol, ſa il grande Iddio
C’hebbi in ſeruirui ognihor le uoglie intente,
E ſa quanto è uer uoi l’obligo mio.
Hor col cuor lo ringratio, e con la mente
Che occaſion mi porga, onde poß io
Con riſchio della uita, e dello honore
Moſtrarui apertamente l’alma, el cuore.
Eccomi al uoler uoſtro ognihor diſpoſto,
Temprate ambi il deſir con ferma ſpeme,
Che ui prometto il giorno elegger toſto
Ond’io u’uniſca ſantamente insieme.
Coſi a Romeo dal frate fu riſpoſto.
Et ei, rendendo a quel gratie ſupreme,
Partißi pien di gaudio, e di conforto
Che durò, laſſo, in lui tempo ſi corto.
CANTO SECONDO.
Che forza ha’l ciel, ſe la malitia humana
Contra l’ordin di quell’opra e diſpone?
Se l’huom piu puote, a che cõ ſpeme uana
Del ciel pur l’opre ſue l’huomo compone?
Deh pur ſo io, che ſol da ſopra humana
Virtu ch’io ami uoi uien la cagione,
E ch’anco ad amar me uoi il cielo ha ſpinto,
Ond’un ſol nodo ha’l uoſtro, e’l mio cuor cinto.
Dunque, miſera me, chi mi u’ha tolto
Volendo il cielo, e uoi pur farui mio?
Chi u’ha priuo di me, s’hauea riſolto
Che fuſte mio ſignore, il cielo, et io?
Io piango ſenza uoi legata, e ſciolto
Voi ſenza me uiuete in pianto rio.
Quando ſpente fian mai tante facelle
S’in ciel per noi non han poter le stelle?
Le stelle in noi (ſo ben che non uaneggio)
Hauran poter, quando uogliam pur noi,
Voi il mio uoler hauete, io’l uostro chieggio,
Ben l’ho, ma piu che prima pronto poi.
Dunque almen le noſtre alme ambe in un ſeggio
Vnirà Citherea ne regni ſuoi.
Tempriam con tale ſpeme il duolo intanto.
Ma tempo è homai ch’io ſeguiti il mio canto.
Giunti a mezo il lor corſo eran quei giorni,
Ne quai ſempre al chriſtiano obligo fue
(Accio del Re celeſte in gratia torni)
Volontario accuſar le colpe ſue,
Quando gli amanti, a quai par che ſoggiorni
Troppo il tempo ch’unir deue ambidue,
Fermaro il giorno in cui col frate inſieme
Cogließin frutto della loro speme.
Onde alla madre humilmente parla
La Giulia un di, deh madre mia, s’habbiamo
Sol queſta alma d’eterno, perche a farla
Delle ſue macchie monda piu tardiamo?
Quando il confeſſor noſtro per purgarla,
A trouar, come è debito, ìr uogliamo?
Tempo è, che alla ragion cedendo i ſenſi,
Vn giorno almen per l’alma ſi diſpenſi,
Con quanta del ſuo cuor gioia, e dolcezza
Cio udiſſe la diuota uecchierella,
Ne fer fede il bagnar per tenerezza
Gli occhi di pianto, e’l perder la fauella.
Ma rihavuta, o della mia uecchiezza
Sola ſpeme, e ſostegno a lei diſſe ella,
Hor queſto ſi deſir tuo ſanto, e pio
Infinito uer te fa l’amor mio.
Eſenza altro aſpettar di tempo, o d’hora,
Dalla ſua piu ſecreta cameriera
Pietro innanzi chiamar ſi fece allora,
Pietro ch’antico, e fedel ſeruo l’era,
E diſſegli, farai la nella aurora
Diman col confeſſor noſtro in maniera,
Ch’ei di ſe copia non prometta altrui,
Perch’eſſer Giulia, & io uogliam con lui.
Pietro già d’ogni occulto deſidero
Di Giulia, e di Romeo prima auuertito,
Non prima illuminò queſto hemiſpero
Phebo di raggi lucidi ueſtito,
Ch’a trouar n’andò il frate al monaſtero.
E l’ordine con eſſo ſtabilito,
Alla patrona poi ſaper fe toſto,
Ch’era il Tricaſtro al ſuo uoler diſpoſto.
Onde lieta oltra modo con la madre
Dopo‘l prandio la Giulia entra in camino,
E toſto fur preſenti al ſanto padre.
Egli poi che con capo humile, e chino
Le accolſe, in tes ̑timon le ſante ſquadre
Del ciel chiamando, lor fe del diuino
Giudicio horrendo, e della eterna gloria
Con non picciol comento, lunga his ̑toria.
Dato fine al proemio, e entrato al fine
In un di quei lor chiuſi uſati hoſtelli,
V’benche come all’aquila uicine
Colombe, o come preſſo al lupo agnelli,
Sian ſalue, ancor frequentali le meſchine;
Colpa dei padri, mariti, e fratelli:
Prima humilmente ad iſgrauar la uecchia
D’ogni peccato l’alma s’apparecchia.
Entrò poi Giulia, ch’iui era aſpettata
Da Romeo dentro aſcoſo un pezzo auanti:
Toſto ch’ad opra far ſi deſiata
Si uider giunti inſieme i lieti amanti,
Fu l’alma d’ambidue tanto alterata
Che pria di fuoco, e poi freddi, e tremanti
Rendendo i corpi lor, quaſi fur priui
Di uita: e ben per lor ſe morian quiui.
D’ambi uedendo le corporee ſalme
Il ſaggio frate ſenza ſpirto in uita,
Preſe d’uno, e dell’altro ambe le palme
E lor con lieta fronte, e uoce ardita,
Diſſe dapoi, che l’cielo o nobili alme
A tanta gioia, a tanto ben ui inuita,
Prendete ardir, ch’in uece hoggi di Dio
Sempiterno gioir ui promet’io.
Indi uolto alla timida donzella
Venuta gia qual pallidetto Acanto,
Coſi con baſſa uoce a lei fauella,
Honorata figliola io ſempre quanto
Padre ami figlia, o frate ami ſorella,
Amata ho te, ma ſe del uoler ſanto
Ch’io credo eſſer in te, non ſei auara,
Hor ben mi ſei come la uita cara.
Ho già in parte da te, ma da Romeo
Hor qui preſente hier piu a lungo inteſo
Quanto reſtiate, gia gran tempo feo,
D’honeſta fiamma l’un dell’altro acceſo,
Com’ei lontan da ciaſcun penſier reo
Per te fuſſe, e al tuo honor mai sempre inteſo,
Hieri ben conobb’io, che con lo ſteſſo
Cuore il ſuo buon uoler mi fece eſpreſſo.
Diſſemi ancor che riſſoluti al tutto
Sete ambidue di corre honeſtamente
Del uostro amor, ſenza piu indugio il frutto.
Ond’hoggi, accio, che della uoſtra mente
Io teſtimone ſia, m’hauete indutto
A deuer a tal’opra eſſer preſente,
Hor bramo udir che di uoler conforme,
Giulia in Romeo, di Giulia ſi trasforme.
Giulia gia di uigor ripreſo alquanto
Traſſe un graue ſoſpir di mezo il cuore,
Indi alzando i begliocchi, diſſe ah quanto
Tempo è ch’in lui m’ha trasformata amore.
Coſi conſenta il ciel che ſeco tanto
Viua contenta inſin’all’ultim’hore,
Quanto d’eſſer hor ſua contenta ſono,
Gia gli diei l’alma, e’l corpo hora gli dono.
Coſi ſcoperſe Giulia la ſua mente;
Onde raccolſe la bramata forma
La diſpoſta materia facilmente,
Romeo ſeguendo la Chriſtiana norma,
Come ſi ſuol con aſſentir preſente
A quella il dito d’aureo cerchio informa;
E con nodo fedel d’una parola
Duo furon poſcia in una carne ſola.
Indi con un ſoave baſcio fatto
Cambio inſieme dell’anime, e dei cuori,
Di ritrouarſi fu tra lor contratto
La notte a diſfogar gli interni ardori.
Chiuſa una grate poi ch’al primo tratto
Il frate aperta hauea, Giulia uſci fuori,
E con la madre inſieme fe ritorno
A caſa, poi fornita l’opra, e’l giorno.
Gia cominciaua l’hora auuicinarſi
D’eſſer inſieme allo amoroſo aſſalto.
Gia con moto frequente in ſen tremarſi
Sentono i cori, e gir hor baſſo, hor alto,
Poi ceſſato il calor, pian, pian reſtarſi
Di ghiaccio, e immoti come freddo ſmalto.
Oh qual timor nel duolo, amor ne dai,
Se tremar nella gioia anco ci fai?
Gia Romeo di quell’armi a tempo armato,
Con le quai piu la notte ir s’aßicura,
Prende dal ſuo amor ſolo accompagnato,
Il bramato camin ſenza paura,
Gia giugne al loco, u crede eſſer beato,
Ne ſa l’iniqua ſua ſorte futura.
Quiui la ſpoſa che buon pezzo innante
L’aſpetta, accoglie lui tutta tremante.
Chi dirà’l gaudio eſtremo ch’ei ſentiro?
Chi le ſoavi lor parole rotte
Hor da queſto, hor da quel dolce ſoſpiro?
Ch’i baſci ſpeßi, dal cui mel condotte
L’alme alle labra fuor quaſi n’uſciro?
E chi l’alta dolcezza che la notte
Congiunti in un guſtaro ambi equalmente?
Dillo, amor tu, ch’a ciò fuſti preſente.
Dirò ben io, che quella notte a fatto
Diuennero ambidue moglie, e marito,
E ch’in dolce uigilia ſatiſfatto
Hauendo in parte al ſenſo, e allo apetito,
Di trouarſi altre uolte a ſi dolce atto
L’ordine tra lor due fu ſtabilito.
E ben ui ſi trouar, ma tempo breue
Durò la gioia lor fugace, e lieue.
Però che mentre i miſeri conſorti
Senza ſoſpetto alcun ſicuramente,
Speſſo in queſti notturni almi diporti
Disfogauan d’amor la ſete ardente,
Ecco cangiarſi in ciel l’inſtabil ſorti
Fortuna rea di ben oprar ſi pente.
E’l già tant’anni oppreſſo, a poco a poco
Sorge dai petti auuelenato foco.
Dico ch’un di Tebaldo ardito, e forte,
Giouin de Cappelletti, in compagnia
Di molti altri, aſſali preſſo alle porte
De i Borſari il gentil Romeo per uia,
E ſangue, ſangue ognun gridando, e morte
Cominciar pugna diſpietata, e ria.
Ne ſi ſa certo qual la cagion fuſſe,
Ch’a zuffa ſi crudel Tebaldo induſſe.
II Montecchi gentil, che innanzi agliocchi
Mai ſempre hauea l’amata ſua mogliera,
Pria, che da giuſta collera trabbocchi
A incrudelirſi in quella turba fera,
Tenta l’ire allentar, laſcia che fiocchi
Molto uelen dalla nimica ſchiera.
Ma non giovando cio molto, ne poco,
Gli fu forza ammorzar col fuoco il fuoco.
Eran gia i ſuoi dalle ferite tutti
Tinti di ſangue, ei per pietate, e duolo
Diuenuto crudele, ſcopre tai frutti
Del ſuo ualor, che del nimico ſtuolo
Non laſcia a pena due di ſangue aſciutti,
Virtu d’un nobil petto, opra d’un ſolo.
Che quanto in l’opre un uil diuien piu uile,
Tanto piu ardito ſempre un cor gentile.
Fuggita la uil turba, e quaſi ſpenta,
Tra i padron ſi riduſſe la battaglia.
Tutto ſchiumoſo il fier Tebaldo tenta
Di mille, ſolo un colpo far che uaglia.
Fa l’amor della moglie a Romeo lenta
La man, ma ſì’l nimico lo traſaglia,
Che’al fin per dar a ſe medeſmo aita,
Con una punta a lui tolſe la uita.
Morto il paſtor, diſperſo il gregge in fuga
Ne ua, s’alcun pur ui riman del gregge,
Fredda paura horribilmente il fuga,
Che non ha la paura ordin, ne legge.
L’offeſa facion non prima aſciuga
Le piaghe al morto, che piangendo chiegge
Sotto apparente di Giuſtitia uelo,
Del ſuo oltraggio al ſignor uendetta, e al cielo.
E perche della prima impreßione
Suole appagarſi queſto, e quel ſignore,
Pensò di non poterſi con ragione
Oppor Romeo del principe al furore,
Onde a non girgli innanzi ſi diſpone.
E benche un ſepararſigli dal cuore
L’alma, il laſciar la moglie eſſer gli deggia,
Conuien che per men mal l’eſilio eleggia,
In tanto del Tricaſtro al monaſtero
Saluoßi, e quindi alla ſua ſpoſa ſcriſſe,
Che l’ucciderebbe il duolo acerbo, e fiero
Non le parlando inanzi ch’ei partiſſe.
Fu Pietro della carta il meſſaggiero,
Ond’ella afflitta, e meſta, pria ch’uſciſſe
Tre uolte il ſol di Gange, in guiſa fece,
Ch’al deſir del ſuo ſpoſo ſatiſfece.
Andò al loco a trouarlo, oue da lui
Con infelice augurio fu ſpoſata
Toſto che uide l’un la faccia altrui
Reſtar gran pezzo, hai coppia ſuenturata,
Priui di ſenſi, e immobili amidui.
Ma la ſmarrita in lor uirtu tornata,
Lagrime ſpeſſe, e ſoſpir graui fuore
Spinge de petti loro alto dolore.
E tra i ſoſpiri, e i pianti a Giulia moue
Dall’anima tai detti, ah qual ria sorte
Fa che tanti il cuor noſtro affanni proue?
Chi fa del ben di noi l’hore ſi corte?
Ahime, ſignor, pur ui partite? e doue
Me miſera laſciate? Ah, ſe la morte
Mia non u’è cara, a uoi grave non ſia
Che uoſco oue n’andrete, io uenga, e ſtia.
Allor Romeo con faccia lagrimoſa
Gli occhi al ciel uolti, ſoſpirando diſſe
O del mio ben fortuna inuidioſa,
Tu, tu, che per mie mani altri moriſſe,
Feſti, accio priuo della dolce ſpoſa
Sendo, la uita mia toſto finiſſe.
Ma ſe da lei diuidi hor queſta ſcorza,
Mai diuiderne il cuor non haurai forza.
Ma crediate, mio ben, ch’io quel meſchino
Sforzato, ucciſi per ſalvar la uita.
Vita che’l uolontario mio deſtino
Sempre a ſpender per uoi lieta mi inuita.
Hor ſe da uoi ch’hauete in me domino
Merto impetrar in queſta mia partita
Alcuna gratia per l’eterna fede
Che in nome uoſtro in mezo al cuor mi ſiede.
Quiui piaccia reſtar, bene ſperando,
E darmi buono augurio di ſperanza.
Che ſe ben fia queſto mio corpo in bando,
Non è per cangiar mai l’anima ſtanza.
Ma che gir meco uoi debbiate errando
Non hauranno le ſtelle unqua poſſanza.
C’hor troppo eſſer poria biaſmo il fuggire
Il padre uoſtro a uoi, per me ſeguire.
Conuien che ſia l’accesa fiamma ſpenta,
Fia la ragion ſuperiore al fine.
Pur quando o non ſucceda, o uada lenta
Oltre al noſtro deſir la coſa; inchine
La ſorte, u uole il ſuo fauor, conſenta
Piu che puo mal, che uoi delle uicine
Cittadi, in una allora a noſtra uoglia
Verrete un di noſtra honorata ſpoglia.
Coſi parlò Romeo, ma perche l’hora
Fuggia tutt’hor furtiuamente a uolo,
Lor diſſe il frate, homai troppo dimora
Facciam, ne ſi conclude, e’l dolor ſolo
Fa che non ſiate riſoluti ancora.
Io ch’amo ognun di uoi come figliuolo,
Vi dirò fedelmente il parer mio;
E ſceglier il miglior ui inſpiri Iddio.
Tu Giulia rimarrai, tu piu ſicuro
E men lunge che puoi, prendi l’eſiglio.
Perche in qual caſo occorra o chiaro, o ſcuro,
Potremo inſieme hauer facil conſiglio,
Qui in util uoſtro come ſcoglio duro
All’onde Pietro, & io ſaremo. Hor figlio
Prendi, e tu figlia ardir, ch’in le grandi opre
Il ualor de magn’animi ſi ſcuopre.
Allo accorto parlar ubidienti
Ambi reſtar dal labil tempo aſtretti,
Coſi l’un dall’altrui collo pendenti
Ambi di pianto ſi bagnaro i petti.
E al lor meſto partir con preghi ardenti
Laſciaro eſecutor di loro effetti
Il frate, il qual piu inſieme, ahi fiera ſorte,
Non gli riuide fin alla lor morte.
Chi l’infinito duol narrar potria,
Con cui laſcian l’un l’altro i fidi ſpoſi.
A caſa di cuor priua ella s’inuia,
Egli ſenza alma, poi c’ha i raggi aſcoſi
Il ſol, prende uer Mantoua la uia.
Da indi in qua ſempre hebber lagrimoſi
Gli occhi ambidue, non mai ſi rallegraro,
Ma per men male ognihor morte chiamaro.
Ma perche il ſempre lagrimar ſcemaua
Piu a Giulia la beltà di giorno, in giorno,
Che del morto cugino ſi ſcusaua
Vederſi ogn’hora il triſto ſpirto intorno,
La madre che piu la forſe penſaua,
Per darle lieto natural ſoggiorno
Da materna pietà uinta, e dal duolo
Fu col marito un di da ſola, a ſolo.
E tutta humile, o fratel mio, diſſe ella,
A me piu che la propria uita caro
Per quella dolce affettion, per quella
Fede, onde i fati inſieme ci legaro,
Quel ch’io ui dico o qual moglie, o ſorella
Piacciaui udir con uiſo dolce, e chiaro.
E quando poi pur ui ſpiaceſſe, in dono
Della mia fedeltà d'armi perdono.
Solo di tutto il uiuer noſtro pegno
La Giulia habbiam, che gia correi uenti anni,
Per cui tant’io ſon di cordoglio, e ſdegno
Quanto piena è tutt’hora ella d’affanni.
Se lei il morto Tebaldo attriſti, o ſegno
Di qualche ſuo deſir ſia che l’affanni,
Non ſo, ma della uſata ſua beltade
Con mio graue dolor troppo diſcade.
Forſe coſa deſia che uergognoſa
Per coprirla ad altrui, soffre in ſe ſteſſa.
Io quando equale al grado noſtro coſa
Ci occorra, ſon d’opinione eſpreſſa,
Che d’huomo a lei conueniente ſpoſa,
Come molte altre ſon, diuenga anch’eſſa.
Coſi, forſe allegrandola, uerremo
Quel debito a pagar che ſeco hauemo.
Non biaſmò il Cappelletti la mogliera
E lodò la uirtu della figliuola,
Che’l ſuo intento alla madre in tal maniera
Detto habbia ſenza pur farne parola.
Onde con dir, che far lo uole, e ſpera
Che toſto fia, la moglie ne conſola.
Ne ſan ch’a Giulia morte, & a lor tanti
Cauſin con opra tal soſpiri, e pianti.
Non molto andò poi che qualch’uno inteſe
Deuerſi maritar donna ſi bella,
Ch’al conte di Lodron, che la richieſe,
Promeſſa fu la nobile donzella.
Onde lieta la madre a far paleſe
Ratta alla figlia andò queſta nouella.
Sperando, ahi ſciocca ſpeme, ogni ſua noia
Cangiar con tal annuntio, in feſta, e in gioia.
Ceßin, le diſſe, i tuoi ſoſpiri homai,
Raſciuga homai figliuola il pianto amaro;
Che Dio pietoſo de tuoi tanti guai
Ti porge un don, che non potria’l piu raro
Fanciulla altra tua par bramar giamai.
E perche, come a te, m’è’l tuo ben caro,
Quaſi penſar non ſo qual maggior fia,
O’l tuo piacer’o l’allegrezza mia.
Hauer puoi facilmente alla memoria
Vn giouin conte di Lodron che adorno
D’arme, di gemme, e d’or, ma piu di gloria,
Fece in gioſtra quest’anno a tanti ſcorno.
Quel, di cui la uirtu d’eterna hiſtoria
Fia a noi ſubietto, e alle città d’intorno,
La tua d’ogni altra piu felice ſorte
Vol ch’ei ti ſia fratel degno, e conſorte.
Qual pauroſo lepre s’improuiſo
Gioue talhora horribilmente tuona,
Da ſubito timor coſi conquiſo
Reſta che quaſi l’anima abbandona,
Tal le guance di roſe, e’l latteo uiſo
Impalliditi a Giulia, poi che ſuona
L’aſpra nouella per le orecchie al cuore,
L’interno appaleſaro aſpro dolore.
Onde la accorta madre hauendo alquanto
Riſpoſta indarno dalla figlia atteſa,
Da marauiglia prima, e poi da tanto
Nova mutation eſſendo offeſa,
Segui dicendo, adunque figlia il pianto
Non ceſſa in te per la allegrezza inteſa?
Dunque preſta, e diſpoſta ognihor non ſei
Al uoler di tuo padre, e ai piacer miei?
Ma ne per aſpro, o dolce altro ſuo detto
Hauer potè da lei riſpoſta mai.
Sol lagrime, e ſoſpir le uſcian del petto,
Ond’irata partißi, hauendo homai
Che la figlia ami altro huom’preſo ſoſpetto.
E perche caſo era importante aſſai,
Ne por l’honore a riſchio a neſſun lece,
Saper la notte al ſuo conſorte il fece.
Signor, gli diſſe, io temo non cercato
Rimedii al mal di Giulia habbiam’contrari,
Io l’ho delle ſue nozze annuntio dato,
Sperando che con gioia alla mia pari,
E con maggior da lei fuſſe accettato.
Ma udito a pena l’hebbe, che ſi amari
Pianti, e ſingulti mandò fuor ſi ſpeßi,
Come ſe morte a lei nuntiato haueßi.
S’habbia penſier a Dio forſe ſacrarſi,
O le increſca a laſciar l’amate caſe,
Non ſo, ma quanto puo con lingua farſi
La mia al uoler noſtro la ſuaſe.
Non mi diſdiſſe no, ma di lagnarſi
Quanto fu lungo il di mai non rimaſe.
Debbo il tutto moſtrarui aperto fuore,
Poi che’del tutto uoi ſete Signore.
Si marauiglia ai detti della moglie
Antonio, e fa piu d’uno ſtran penſiero.
Graue gli par, ma per non creſcer doglie
A lei, le moſtra il caſo eſſer leggiero.
Dicendo, io non uo creder ch’alle uoglie
Noſtre s’opponga Giulia, eſſendo intero
In lei l’uſato ſenno, hor non ti dia
Queſto più affanno, e mio tal carco ſia.
E’ perche altro huomo er’ei di quel c’hor s’uſi,
Fece alla lingua la ſua donna il nodo,
Egli in un ſolo i ſuoi penſier confuſi
Riſtretti, fiſſe al ſuo uolere il chiodo.
Poi c’hebbe il ciel duo giorni aperti, e chiuſi,
Con un dolce, uirile, accorto modo
Colte la figlia, e la mogliera ſole,
Lietamente lor fe queſte parole.
Giulia queſta tua madre ha tanta cura
Del ſuo piacer, che mal penſa allo altrui:
E parle, perche ſei noſtra fattura,
Che tu uiuer ognihor debba con nui.
Ma io perche proddotti la natura
N’ha l’uno all’altro, ſempre intento fui
Al tuo, come al mio bene, e pero uiſto
Quel c’hor biſogni a te n’ho già prouiſto.
Gia, ſe no’l ſai, d’un nobile, e corteſe
Giouane fatta ſei nouella ſpoſa,
Il cui ualor per tutto è gia paleſe,
So che a cio non ſerai tarda, o ritroſa,
Ne perche a te cangiar tetto, e paeſe
Conuenga, dee parerti aſpra la coſa.
Perche’l tuo ſpoſo è tal, ch’oue tu ſia
Seco, a te paradiſo il loco fia.
Franceſco di Lodrone egregio conte
È queſti, ilqual ne uerrà toſto a noi.
Raſſerena col cuor gli occhi, e la fronte
Rendi alla faccia i uiui color ſuoi
Al bel noſtro giardin tra’l fiume, e’l monte
Fuora della città, gli honori tuoi
Fien publicati, et opra ho già fatt’io,
Che fia in tutto contento il tuo diſio.
Quel ch’a uoi far’in cio, donne, appertienſi,
Vorrei che ſenza indugio s’eſequiſſe,
Mentre quel faccio anch’io ch’a me conuienſi.
Partißi Antonio poi che coſi diſſe.
Ah quanto occupò’l duol l’anima, e i ſenſi
Di Giulia, Ella le luci in terra fiſſe
Tenute ognihor fin che fu’l padre quiui,
Laſſa conuerſe in lagrimoſi riui.
Lo impetuoſo duol mai non ſofferſe,
Ch’eſprimer pur poteſſe una parola.
Fur della madre le uirtu diſperſe
Dalla pieta che l’anima le inuola.
L’una nell’altra ſol gli occhi conuerſe,
E accompagnate dalla doglia ſola,
Da i ſoſpir ſoli, e ſol dal pianto amaro
Senza fauella immobili reſtaro.
CANTO TERZO.
Benche del cielo i dodici animali
Scorſi ueloce il Sole habbia tanti anni,
Non pero fine ancora han l’immortali
Mie pene, e non riſtor gli alti mei danni.
Ma s’amor, ch’arde noi con fiamme equali,
Dar mai uol refrigerio ai nostri affanni,
Deh piu non tardi, ch’è ben tempo homai
Che della ſua pietà ci ſcopra i rai.
Sia fine al duolo, e alle fatiche eſtreme,
Ceßino i fieri a noi contrarij uenti.
Goda il ſuo frutto la noſtra alta ſpeme,
E faccia i deſir nostri il ciel contenti.
Deh ſe unite fur mai noſtre alme inſieme,
Ne in noi quei primi ardor ſon anco ſpenti,
S’é mia la uoſtra, e uoſtra la mia uita,
Viuiamo ambi due uite in una uita,
Ne ci prenda timor, perche fortuna
Speſſo all’alma gentil uolga le ſpalle,
Non ſempre il sol da nube oppreſſo imbruna,
Ride talhor la piu profonda ualle,
E quando uſcir pur ci conuenga, ch’una
Volta forza è di queſto anguſto calle,
O che eterno gioir, che dolce laccio
L’un dell’altro finir la uita in braccio.
Beate alme, a quai uiuer fu conceſſo
In uita, e in morte eternamente unite,
Morißi hoggi io, pur ch’io ui fußi preſſo,
Fuſſer ſi dolci morti mie infinite.
Hor che adempìr il debito promeſſo
Par ch’in tutto il uoler uoſtro mi inuite,
Il pietoſo laſciato ordin ſeguendo,
Men che poßibil ſia ſpiacerui intendo.
So che hauer con pieta deuete a mente
Come la miſerabile donzella,
E la madre di lei meſta, e dolente,
Duo ſtatue parean ſenza fauella,
Quando allentato il duol, dunque conſente
Giulia al morir della ſua uechierella
Diſſe la madre? E la figliuola mia
Mi pone in doglia ſi crudele, e ria?
Se per quelli alimenti de primi anni
A queſto petto ſei punto ubligata,
Se mai per tanti ſopportati affanni
Sei per moſtrarti a queſto uentre grata,
Figlia tanta durezza non ti inganni.
Non eſſer figlia a te medeſma in grata,
Manda una dolce tua parola fuore,
Ne accreſca’l tuo tacer più’l mio dolore.
Ah che dee Giulia far da paßioni
Tante, e ſi graui combattuta il petto?
Vorria riſponder, ma con che ragioni
Fia al materno uoler da lei diſdetto?
Conſentirle non puo, ne le ragioni
Dir uol che far le uietan queſto effetto,
Pur mentre in tal contraſto ſi confonde,
Diſperata alla madre al fin riſponde.
Io ſo, diſſe, o mia cara Genitrice
Quanto ubligata a uoi ſia la mia uita.
E che l’oppormiui io mi ſi diſdice,
Nata eſſendo di uoi, da uoi nutrita,
Ma s’ad alcun (come cred’io) non lice
Senza gratia ſpetial dal ciel ſortita
Da ſe oprar ben, per ſatisfarui in parte,
Ecco che del cor mio u’apro una parte.
Di uoi la uoglia biaſimar non poſſo,
Ma ne lodar ancor quel che mi ſpiace,
Pur poi che tanto a far di me s’è moſſo
Il padre mio, conuien ſoffrirlo in pace.
Ma acciò’l mio cuor dal duol ſia alquanto ſcoſſo,
Ne muora anch’io per far quanto a uoi piace,
Quello, a che non mi ſpinge il proprio zelo,
Chiederò humil, con uoſtro mezo, al Cielo.
Forſse mi tiene alcun mio error ſi triſta,
Dal qual pentita deuerei ritrarmi,
Però con uoi deſidero alla uiſta
Del ſpirital mio padre appreſentarmi.
Che con tal mezo ho ſpeme che reſiſta
Al ſenſo la ragione, e conſolarmi.
Benche (ſallo Iddio ſommo) ſol procuro
A uoi piacer, ne di me punto curo.
S’alla madre fu cara tal propoſta,
Se ſenza replicar meſſa ad effetto,
Credendo hauerla al ſuo uoler diſpoſta,
Penſilo ognuno in ſi bramoſo effetto.
L’hauea gia ſcrittoſ, e subita riſpoſta
Hauutane da Antonio ſuo diletto,
Onde ſol conuenia di ritrouarſi
Col frate, e ſol col frate conſigliarſi.
Condutta il di prefiſſo al ſacro loco
De ſuoi conſigli ſecretario uero,
Meza morta gridò con parlar fioco,
Padre, ſe’l ciel non ci rimedia, io pero.
Ma poi ch’é in tanto affanno un tanto gioco
Cangiato, e’l caſo mio ſapete intero,
Toſto dal ſaggio padre ai meſti figli
Nella iminente morte ſi conſigli.
Ne perche molle giouanetta i ſia,
La mia uita arriſchiar ui paia duro.
Che per Romeo soffrir ogni aſpra, e ria
Pena, e gir nello inferno m’aßicuro,
Sua ſpoſa è Giulia, e d’altri mai non fia,
Segua che uuol, periglio alcun non curo.
Ne ſi turbi del ciel l’alta potenza
Che pria uoglio morir, che uiuer ſenza.
Intento è’l frate, pien di marauiglia,
Della fanciulla al periglioſo ſdegno,
E l’un da ſe diſcaccia, e ſi rappiglia
Dal duol confuſo, a nouo altro diſegno.
Spinto al fin fuora un ſospir graue, o figlia
A che paſſo per te dubbioſo hor uegno?
Quinci il mio biaſmo, e’l tuo mi fa paura,
Quindi’l voler ſalvarti m’asſicura.
Ma perche’l tempo fugge, e conoſciuto
Ho nel tuo cuor deliberato ardire,
Dirò cio ch’io uo far per darti aiuto,
E quello ancor ch’a te conuien patire.
Io ho un liquor che ſe da te beuuto
Fia, duo di quaſi ti fara dormire,
Ma porratti in periglio tanto eſtremo,
Che con tutto’l tuo ardir ne temo, e tremo.
E mio parer che nella prima notte
Che giugnerai di fuora al tuo giardino,
Sendo uoi donne in camera ridotte,
L’acque, che dentro un uaſo piccolino
Darotti, uſcite da ſacre herbe, e cotte
Con temperato fuoco di uerzino,
Ardita prenda, e con maniera accorta
T’acconci ſi, che tu raſſembri morta.
Nel digerir del cibo prouerai
Coſa marauiglioſa che in un tanto
Alto, e profondo ſonno paſſerai
Che non altro fu mai ſordo altretanto,
Con occulta uirtu coſì ſtarai
Tutta fredda tante hore, ch’io mi uanto
Far che ſepolta ſij, ne trou’altr’io
Rimedio alla tua morte, e al dolor mio.
Cio a Romeo farò noto, ſi che meco
Quiui a tempo ſerà per liberarti,
E ne andrai, tratta dalla tomba, ſeco.
Bramo, e’l ſa Dio, col uiuo ſangue aitarti.
Qui ti piaccia aſpettar fin ch’io ti reco
L’acqua, che’l cuor dal duol potra lauarti,
Detto ſi hauria partito a pena, quando
Col ſecreto liquor tornò uolando.
Dato, e ripoſto quello, e pienamente
L’ordin fermato, Giulia indi partio,
E trouata la madre, allegramente
Diſſe, hor conforme al uoler uoſtro, è’l mio.
Coſi allo albergo ritornar contente,
Oue di piacer uano ognun s’empio.
O fallace ſperar, o doglia, o ſdegno
Fuor di ragion d’inamorato ingegno.
Gia Antonio allegro, e da ciaſcuna parte
Sicuro, l’opra accelleraua al fine.
Gia di tai nozze per Verona ſparte
Eran piu uoci, e in ogni ſuo confine,
E gia con pompa apparecchiarſi, et arte,
Degna di genti egregie, e pellegrine,
Vedea la nuttial ſperata feſta
Ch’in eſequie a cangiarſi fu ſi preſta.
Ma perche’l di ch’in ciel ſalì Maria,
Quiui il conte uenir con pompa altiera
Deuea di nobil gente in compagnia,
Gir Antonio pensò con la mogliera
Fuora al giardino alquanti giorni pria,
E la figlia menar, perch’iui ſpera
Ma in uan, poterle dar gioia, e diletti.
Mentre il non uero ſuo ſpoſa s’aſpetti.
Ond’ella, innanzi ch’indi ſi partiſſe
Con augurio ſi peßimo, ogni coſa
Al fido frate occultamente ſcriſſe.
Pietro fu’l meſſo, al qual la periglioſa
Sua fiera intention non però diſſe.
Indi condutta, ahi ſuenturata ſpoſa,
Da nobil compagnia fu al triſto loco,
Oue in uita reſtar deuea ſi poco.
Qual huom ſeria ſi crudo, a cui ſpiraſſe
Aura d’amor mai refrigerio al cuore?
Qual Tigre hircan poi ch’altri gli ſottraſſe
I cari figli, in piu rabbioſo ardore,
Ch’in dolcezza, in pietade hor non cangiaſſe
La maggior crudeltà, il maggior furore?
Che non piangeſſe una ſi accerba ſorte,
Si fedel uita, e coſi ingiuſta morte?
Quivi con lieta, e ſontuoſa cena,
In mezo una dipinta primauera,
Tra bei ragionamenti, all’ombra amena,
Lietamente conducono alla ſera
Il di, cui in altra parte il ſol rimena.
Indi da fuochi acceſi in bianca cera,
Fra le tenebre ſplender d’ogni intorno
Si uide un nouo, e non men chiaro giorno.
Ne molto doppo ognuno a ripoſarſi
Andò chi in queſto, e chi in quell’altro letto.
Volle in le piume ancor Giulia colcarſi
Per non far il ſuo intento altrui ſoſpetto,
Ma a lei non però laſciano appreſſarſi
Sonno i contraſti interni del ſuo petto:
C’hor temendo il periglio impallidiſce,
Hora il ben ſuo ſperando, il tutto ardiſce.
Quando le par che gia s’appreßi l’hora
Che dar deuea principio, e fine all’opra,
Aſcendendo gia il ſol uerſo l’aurora,
Forza è che’l fuoco interior diſcuopra.
Onde in furor quaſi di ſenſo fuora,
Pigliato il uaſo, e uoltolo ſozzopra,
Tutto il liquor, che l’ultima bevanda
Laſſa le fu; nel uentre ardita manda.
Poſtolo poi uicino a ſe da parte,
La tema, e’l duol ſol con la ſpeme aita.
Indi o moſſa dall’ira, o pur ad arte
S’alza nel letto, e con la uoce ardita
Io dunque diſſe, andrò per forza in parte
Nimica? Deh ch’in darno hor mi marita
Il padre mio, e uedrà toſto effetto
Per cui fia ſempre poi ſenza diletto.
Due donne a ſorte in camera con quella,
Ma non nel letto ſteſſo erano alhora,
Della madre di lei l’una ſorella,
Laltra ſeco uiſſuta quaſi ogni hora.
Deſtolle ambe di Giulia la fauella,
E pensar come a molti auuien talhora,
Che ſognando parlaſſe, ond’elle poco
Di cio curando, al ſonno ridier loco.
Giulia che attenta cio uede, proſume
Poterle riuſcir quel che uolea,
Onde ſpento un che ſempre acceſo lume
Tener la notte in camera ſolea,
Si ruba cheta alle infelici piume
Che ſol per ſempre allor premer deuea,
E cheta a quelle poco poi ritorna,
De ſuoi piu ricchi ueſtimenti adorna.
Lo ſtomaco a mandar gia cominciaua
Freddi, e naſcoſti ſpiriti al ceruello,
E pietoſo, et humil s’apparecchiaua
Al ſagrificio il manſueto agnello,
L’interno ardor cantando diſfogaua
Nel primo albor queſto, e quel uago augello
Quando l’aſſalſe un ſonno coſì forte,
Che poco forte è piu quel della morte.
Gia daua ſegno il cielo in Oriente
Al mondo del ſolar uicino lume,
Et uſciva al ſuo ufficio diligente
Col ſuo gregge il paſtor come ha coſtume,
Quando le due compagne chetamente
Laſciaron liete le morbide piume,
E Giulia nella camera ſepolta
Laſciaro in ſonno ſtar l’ultima uolta.
Era la nobil compagnia leuata
Dai pigri letti, e tutta la famiglia,
Sola la troppo in crudel punto nata
Giulia chiuſe tenea le belle ciglia.
Onde a la madre eſſendo gia paſſata
L’hora ch’eſſer deuea deſta la figlia
Subita doglia, e inſolito tremore
Per coſi lungo ſonno, agghiacciò’l cuore.
Si ch’ella e la ſorella curioſe
Piu dell’altre, in la ſtanza prime entraro,
E in uoci dolcemente corruccioſe,
Si lungo ſonno a Giulia improueraro,
Quando moſtrò l’empie cagioni aſcoſe
Per le aperte feneſtre il giorno chiaro.
Allora i pianti, e i gridi alti di quelle
D’improuiſo ſalir fin alle ſtelle.
Poi che s’udir le doloroſe ſtrida,
E piena di furor corſe la fama
Le triſte caſe, e le arrabbiate grida
S’innalzauan tutt’hor, fuor di ſe, chiama
Quella ſoccorſo in uan, che’l ciel l’uccida
Queſta in diſpregio a ſe medeſma, brama,
Fremon di feminil lamenti i tetti
Che fur pur dianzi a tanta gioia eletti.
Stata gran pezzo a un marmo indiferente
La diſperata madre, incominciaro
Per gli humidi occhi a uſcir proffuſamente
Gli aſpri interni dolor col pianto amaro.
Già’l uolto, tutta di furor’ardente,
Con l’ugne ſi dilacera, e diſcaro
Sendole il uiuer, priua di conforto,
Batteſi con le pugna il ſeno a torto.
Si caccia a tutte innanzi, e ſcapigliata
Chiamando lei, cui morta eſſer ſi crede,
Figlia, dicea, dunque hai coſi ingannata
La uecchia madre tua? Queſta mercede
Mertan le mie fatiche, figlia ingrata,
E’l nutrimento che’l mio ſen ti diede?
Tu con la morte tua l’afflitta madre
Vcciſo hai, crudel figlia, e’l meſto padre.
Comune il duolo, e’l pianto a ciaſcun era,
Fu maraviglia ſol che’l padre udita
Hauendo la nouella acerba, e fiera,
Viſta morta la figlia, e tramortita
Sopra di lei l’amata ſua mogliera,
Trafitto il cuor da tanto aſpra ferita,
Come cade huom da fulmine percoſſo,
Quiui non cadde della uita ſcoſſo.
Pur benche ei ſia più ch’huom mai fuſſe afflitto,
Dalla pieta piu ſpinto e dall’honore,
Che da ſperanza alcuna, pe’l piu dritto
Camin uerſo Verona a gran furore
Spinge piu meßi, a quel portar fa ſcritto
Sì crudel caſo, a queſto con maggiore
Impeto dietro grida ch’iui tutti
Sieno i medici ſaggi a lui condutti.
E perche un miglio a pena lontano era
L’effetto rio dalla città ſucceſo,
Trouoſſene in un tempo iui una ſchiera
Che non haurebbe ad Eſculapio ceſſo.
Ma neſſun fu pero di coſi intera
Scienza, a cui ſaper fuſſe conceſſo
S’era morta, o dormia, ſe per ueleno
Era uenuta, o da ſe ſteſſa meno.
Pur da qualch’un di lor quiui ueduto
Eſſendo a canto al letto il uoto uaſo,
Stimato fu che di ſugo premuto
Da cicuta era pien, poſtolſi al naſo.
Ma fu da tutti unanimi creduto
Anzi concluſo in coſi fiero caſo,
Che a uolontaria morte, o per dolore
Giunta era Giulia, o per ſoverchio amore.
Poi che parue a ciaſcun pur morta al tutto
Di meſta, e nobil gente in compagnia
Fu’l ſuo bel corpo alla citta condutto.
E quiui, men tre’l di da noi partia,
Verona empiendo di incredibil lutto,
Con la pompa ch’a cio ſi conuenia,
Fu del diuo Franceſco al ſacro tempio
Sepolto il Sol di uera fede eſempio.
Già’l Tricaſtro in uer Mantoua eſpedito
Con lettre la mattina un frate hauea,
Per le quali Romeo fuſſe auuertito
Di cio che fatto s’era, e far deuea,
Ma l’empio ſuo destin, che ſtabilito
Hauea gia’l dì della ſua morte rea,
Fe ch’ei della città quel giorno uſciſſe
Pria che’l nuntio fedel ui compariſſe.
Giunto iui il frate che di propria mano
Porger uolea la carta al caualiero,
Cercollo il giorno in uan, lo aſpettò in uano,
Fin che Phebo laſciò queſto hemiſpero.
Romeo che da tal meſſo era lontano
Venir intanto per dritto ſentiero
Ver lui uede un, ch’in fretta un deſtrier caccia,
E ſol d’auuicinarſigli procaccia.
A gran paßi il corrier piu ſi fa preſſo
Tal, che quaſi Romeo lo raffigura.
Men lunge gli par Pietro, dello iſteſſo
Scorge uicin piu chiara la figura.
Chieder che noua porti a lui conceſſo
Non è dalla ſua ſubita paura,
Fiſo con gli occhi languidi lo mira
E ſenza motto far, trema, e ſoſpira.
Fu Pietro il primo a dir con meſto ſuono,
Ahime dunqu’io quell’infelice augello
Che portar ſuol le rie nouelle, hor ſono?
Date alla lingua mia, s’annunzia quello
Che piu offender ui puo, ſignor, perdono.
Che perche al cor ui ſia mortal coltello,
Perche col ſuo parlar ui dia la morte
Viuo mi traſſe a uoi l’empia mia ſorte.
Ah deuea pure occidermi il dolore
Pria ch’apportaßi a uoi ſi acerba doglia.
Chi ſia coſi d’humanitade fuore
Che di ſi fiero caſo non ſi doglia?
Hieri la uoſtra Giulia, il uoſtro cuore
Dal padre ſuo con oſtinata uoglia
Fu ſotto crudelißimo deſtino
Fuor di Verona condotta al giardino.
Per darle il non leggittimo marito
Come credo ch’a uoi ſia manifeſto,
Hor quiui in piacer uani il di fornito,
Staman, poi che fu ogn’un dal ſonno deſto,
Nel letto ſi trouò con infinito
Dolor di tutti (o caſo empio, e funeſto)
Trouoßi morta, ſenza pur ſaperſi
Di che accidente fu, Giulia giacerſi.
Tutti i rimedij poßibili ai venti
Gittati furo, e la uidi io, la uidi
Alla citta fra lagrimoſe genti
Condur ſeguita da angoſcioſi gridi.
Onde a noue portarui ſi dolenti
Diſperato, ſtaman correr prouuidi.
Che deuendo il bel corpo eſſer ſepulto
Sta ſera, uolli a uoi non fuſſe occulto.
Del giouin non uſci l’alma del petto,
Che trouò dal dolor chiuſa l’uſcita,
Pur doppo breue ſpatio, in ſe riſtretto,
Quanto piu il debol cor gli porge aita,
In ſi mortal neceßità coſtretto
Da interna paßione aſpra infinita,
Volge tra ſe piu morti, e per di pene
Piu toſto uſcire, alla piu rea s’attiene.
E d’oro una catena, in ſi gran doglia,
Si trahe dal collo, e fa ch’in don la prenda
Pietro c’ha piu che d’or, di morir uoglia,
Sì par ch’alto dolor l’alma gli offenda.
Indi’l prega piangendo, ch’allor uoglia
A Verona tornar fin che’l Sol ſplenda,
Et al Tricaſtro dir che ad aſpettarlo
La notte ſtia, perch’ir uole a trouarlo.
Coſi con queſto affettual penſiero
Da ſe eſpedito il ſeruo ubidiente,
Diuenuto a ſe ſteſſo odioſo, e fiero,
E al ſuo deſiderato fine ardente,
Allo albergo torno preſto, e leggiero.
Quiui hauea proueduto occultamente
Pria di piu uelenoſe medicine
Pe’l ſuo forſe preuiſto acerbo fine,
Affrettauaſi il di uerſo la ſera
Quanto il ſuo fier deſio uerſo la morte:
Onde poſtaſi in ſen quella matera
Per cui piu l’hore ſue potea far corte,
Con quella uelocißima maniera
Che uſar ſi ſoglia in caſo che più importe,
In uer la patria ſol, ſenza dimora,
Calca l’orme di Pietro intatte ancora.
O che ſicuro rendeſſer Maſtino
De noſtri uecchi le bontadi intere,
O che oltra modo affrettaſſe il camino,
Ch’ambedue le ragion ponno eſſer uere.
Baſti che, ſpinto dal ſuo fier deſtino,
Senz’eſſer conoſciuto nelle altere
Porte entrò di Verona il giorno a tempo,
Anzi per lui pur troppo anco per tempo.
Quiui carco di ferro, e di iſtrumenti,
Che glierano uuopo al triſto tempo, armato,
Hauendo homai delle terrene genti
I ſenſi il ſonno tacito occupato,
Solo con paßi dubbioſi, e lenti
Per non eſſer da alcun forſe ſturbato,
Cheto preſe il camino oue ſapea,
Che Giulia ſua ripoſo eterno hauea.
Gli arriſe ſi colei che fin allora
Gli era ſtata crudel, fortuna rea,
Che ſenza alcun diſconcio, in la terza hora
Giunſe, oue la ſua ſpoſa ſi giacea.
Hor bene i laßi ſpiriti rincora
Che per freddo timor l’alma perdea,
Perche ne caſi eſtremi un nobil cuore
S’aita al fin col proprio ſuo furore.
Se di ardir pieno, o di confuſione,
Se ſpinto da maggior forza, o da ingegno
Non ſo, ſo ben ch’in un momento pone
Fra ſaſſo, e ſaſſo, uno, & un’altro legno,
Prende l’acciaio, e poi fa che riſuone
Sopra la uiua pietra, che da ſegno
Che cuopre la natura il freddo, e’l fuoco
Con naſcoſta ragione in ogni loco.
Ecco che al ſolfo acceſo, il lume accende,
Che certo’l fe del dubbio in che hauea’l core,
Allor ſenza altro piu penſar diſcende
Giu nel Sepolcro pien d’alto furore.
E perche al tutto darſi morte intende,
Non potendolo uccider il dolore,
Accio non gli impediſca alcun queſt’opra,
Tratti i legni, ſi chiude il marmo ſopra.
CANTO QVARTO, ET VLTIMO.
Qveſte fien ben lagrime triſte, queſti
Seranno ben graui ſoſpiri ardenti,
Queſti uerſi fien ben languidi, e meſti,
Ser an ben queſti doloroſi accenti.
Deh fin che dei duo amanti io manifesti
La morte miſerabile alle genti,
Muſe, aitate ſi la uoce mia,
Ch’interrotta dal pianto ella non ſia.
Poi che ſi uide alla ſua donna a canto
Viuo il miſero ſpoſo eſſer ſepolto,
Ah con che languidi occhi, oime, con quanto
Tremor rimira il ſuo leggiadro uolto
E nel mirarla il cuor di dolor tanto
Sente aſſalir, coſi il uigor gli è tolto,
Che, oimè gridando, pallido, e ſmarrito,
Sopra‘l petto le cadde tramortito.
O felice Romeo, ſe terminando
Allor la uita, fine al mal ſuo daua,
Hora il fuggito ſpirto in lui tornando,
La ſpoſa abbraccia, e lei col pianto laua.
Le dà gli ultimi baſci, e rimembrando
I primi, ah quanto duol l’alma gli aggrava,
E in mezo ai basci, e al pianto l’infelice
Queſte in languido ſuon parole dice.
O dolce compagna mentre’l ciel uolſe
Deh chi ſi toſto ha te di uita priua?
Ah chi ſi crudelmente mi ti tolſe?
O fida ſpoſa a cui piu l’eſſer uiua
Senza’l tuo ſpoſo, che la morte dolſe,
Poi che me della uita il duol non priua,
Ne uiuer ſenza te poſſo, ne uoglio,
Ecco che con mie mani hor me ne ſpoglio.
Tai detti uſciti a lui di mezo il cuore,
Le braccia a lei dal collo ambe diſgiugne,
E colmo di rabbioſo alto furore
Ch’ad ucciderſi toſto il ſprona, e pugne,
Trahe di ſeno il mortifero liquore.
Poi ſenza indugio, ah miſero chi giugne
A ſi rio paſſo, tutto l’inghiottiſce,
Ne di morte il terror gia lo ſmariſce.
Anzi com’egli del ſuo bene acquiſto
Fatto habbia, o allor per racquiſtarlo ſia,
Tornar lieto al meſchino il uiſo triſto
Si uede, qual fu gia al buon tempo pria.
E baſciando il bel uolto a quella, e’l miſto
Sen di neue, e di roſe, tutta uia,
Prega humilmente le uirtu ſupreme
Che l’alme, e i corpi lor ſtian ſempre inſieme.
La uirtù acuta del liquor mortale
Le interiora a roder cominciaua,
E l’anima da Dio fatta immortale
Lieta a partir dal corpo s’affrettaua.
Hauea accoccato gia l’ultimo ſtrale
Morte in ſu l’arco, e per ferir ſi ſtava,
Quando del ſugo gia digeſto, ſpente
Tutte le forze, Giulia ſi riſente.
Pian pian ſi deſta, ode lamento, e lume
Vede, ne ancor oue ſi ſia comprende,
Trouarſi ſopra un'huom oltre il coſtume,
Fa che a raccor piu i ſenſi ſparſi intende.
Coſa alla uiſta par, ch’altro proſume
La mente, il ſenſo, e la ragione contende.
Ma perche ſempre al mal uogliamo il cuore,
Penſa ch’iui ſia alcun per ſuo diſonore.
Onde doppo alti raddoppiati ſtridi
Penſando dal Tricaſtro eſſer tradita,
A cui diſſe’l tuo honor Romeo confidi?
Chi in tal periglio hor la tua Giulia aita?
Senti il miſero amante i meſti gridi,
Fu da lui nominar la ſpoſa udita,
Ond’egli l’alma, che la fral ſua ſcorza
Quaſi laſciata hauea, ritenne a forza.
Reſta ſi di ſtupor, ſi d’horror pieno,
Viuendo lei, cui morta hauea creduto,
Ch’ogni crin ſe gli drizza, e gli uien meno
La uoce allor, ch’uſarla hauria uoluto.
Ma in ſe tornato, penſa che’l ueleno
Non ſia ſtato mortal ch’ella ha beuuto,
E che però non l’ha di uita priua,
Benche fatta parer l’habbia non uiua.
Onde a lei che da ſe gridando, intanto
Lui riſpignea cou minnacioſo uolto,
Diſſe, deh uita mia laſciate il pianto,
Sono il uoſtro Romeo con uoi ſepolto,
Che poi ch’eſſer uoi morta ho udito, a canto
A uoi morir anch’io mi ſon riſolto,
E pero prima non mi ſono ucciſo,
Per morir uostro, e non da uoi diuiſo.
Ma non ui hauendo eſtinta quella morte,
Che per ſervarmi fe, darui tentaſte,
Deh fuß’io almeno a trarui di qui forte,
O in piu ſicuro loco ui trouaſte,
C’havria’l mio fine aſſai felice ſorte,
Sperar potendo che uiua reſtaſte.
Ma oime che, non ne uſcendo per uoi ſteſſa,
Ho tema non d’horror qui ſiate oppreſſa.
Deh dunque per ſalvarui ogni opra fate,
Forſe fortuna in fauor uoſtro fia,
Deh uiuete, potendo, e Dio pregate
Che ſe diſgiunti n’ha la ſorte ria
Qua giu, ci uniſca in ciel la ſua pietate.
Coſi la rara fe uoſtra, e la mia
Ch’eſſer d’eterno eſempio in terra debbe,
La ſu quel premio haurà che qui non hebbe.
Egia predir, morendo, all’alma ſento,
Ch’eſſer dal noſtro mal ſortito amore
Dee tra i noſtri parenti ogni odio ſpento.
Hor tempri queſto annuntio il gran dolore,
Che per la morte mia ui da tormento.
Coſì dicea, quando ella, di ſtupore
Piena, e di duol, riconoſcendo il fido
Spoſo, gli tronca il dir con alto grido.
Ahi grida, ahi laſſa me, uiurò dunqu’io
Morendo uoi, che la mia uita ſete?
Morrete uoi pe’l finto morir mio,
E ch’io non debba uccidermi credete
Pe’l uoſtro morir uero? o fato rio:
Oime uoi dunque inteſo non hauete
L’ordin che fra’l Tricaſtro, e me ſi poſe?
Dunque egli, ah frate iniquo, a uoi l’aſcoſe?
Ei riſponder uorria, ma gli ſon tolte
Gia dal morir, le forze, e le parole,
Cade il debil ſuo corpo, e due, e tre uolte
Ricade mentre rileuar ſi uole,
Ella l’egre di lui membra raccolte
Nelle ſue braccia in uan ſi lagna, e duole,
E coi crin d’or raſciuga il freddo humore,
Che col ſpirto dal uiso gli eſce fuore.
Spiraua l’alma il miſero, ella al ſeno
Se lo ſtrignea per dargli aita, e inſieme
Laſciando allo angoſcioſo pianto il freno
Con le labra cogliea le parti eſtreme,
Quando moſſo a pieta nel ciel ſereno
Il grande Iddio, cui fin ſi acerbo preme,
Mandò un de ſuoi fidi meßi in terra
A ſcioglier l’alma da ſi ingiuſta guerra.
II Tricaſtro anſioſo in tanto in uano
Romeo oltra’l deuer hauea aſpettato,
Perche dal mal uſcito di ſua mano
Auuiſo e l’uno, e l’altro fu ingannato.
Ma acciocche poſta in accidente ſtrano
Giulia, non entri in periglioſo ſtato,
Solo ſe n’uſci fuor del monaſtero,
E all’arca ſe n’andò cheto, e leggiero,
La qual d’un baſſo lamentarſi piena
Sentendo prima, e di gridi alti poi,
Biaſma in ſe ſteſſo con pietoſa pena
Il tardar tanto, & i riſpetti ſuoi,
Poſcia alzando il coperchio, homai raffrena
Diſſe, il pianto, e pon fine ai dolor tuoi,
Ecco Giulia il fedel tuo frate, e hor, hora
Haurai, ch’è preſſo, il tuo conſorte anchora.
E mentre da improuiſa marauiglia
Oppreſſo gira gli occhi al picciol lume,
Si uolge a lui la ſpirital ſua figlia
Impetuoſa con horribil lume,
O infelice colui che ſi conſiglia
Con chi del ſaper ſuo troppo proſume,
Ah, diſſe, hor gloriar ben ui potrete
Dell’alta impreſa che ſeguita hauete.
È queſta la pietà, l’aita, è queſta
Manto oue i mi deuea lieta, e felice
Goder il mio ſignore, o manifeſta
Eſtrema crudelta, Giulia infelice
Che altro che morir homai ti reſta
Se con Romeo non piu uiuer ti lice?
Ecco il meſchino, ecco Romeo qui meco
Voi l’uccideſte, e la ſua Giulia ſeco.
E riuolti negli occhi al ſuo ſignore
Delle ſue luci lagrimoſe i rai,
Alma mia, gli dicea, tu dunque fuore
Del ſen della tua Giulia ſola andrai?
Poſcia tremando, ne potendo il cuore
Capir la ſchiera de’ ſuoi tanti guai
Soffogata dal duol, con uiſo ſmorto,
Cadde in ſul petto tramortita, al morto.
Ah qual diuenne il frate, ah quanto, prende
Stupor di coſa a lui ſi horrenda, e noua.
Alta del caſo fier doglia l’offende,
Tremar fallo il periglio in ch’ei ſi troua,
Come uiua calcina s’apre, e fende
S’auuien che innondi lei ſubita pioua,
Coſi par che con impeto il dolore
Apra, e fenda al meſchin nel petto il cuore.
Stupido, sbigottito adunque giunto
Quaſi al morir, gran pezzo immobil fue,
Poi da paura impreſſa al cuor compunto
Che ſi ſcopriſſer l’occulte opre ſue,
Diſpon quiui laſciar quel ch’è defunto,
E uiuo trarne fuor l’un di lor due.
Onde slaciata a Giulia, con ardita
Mano, la gonna, all’alma ſua diè aita.
Ridotta in ſe medſsma, quanto il duolo
Volle però della concetta morte,
Benche aſſalita da infinito ſtuolo
De i nati omei delle ſperanze corte,
Appena ſolleuatala dal ſuolo,
E ſciolta dallo eſtinto ſuo conſorte,
Moſſe (qual negli eſtremi uſar ſi ſuole)
In uan debil ſoccorſo di parole.
Figlia mia cominciò, figlia, per cui
Di uiuer ſol, la uita mia s’addoglia,
Deh perche in queſta tomba appreſſo a uui
Homai morto non m’ha l’aſpra mia doglia?
Dunqu’io ſola cagion, misero fui
(Benche’l ſa’l grande Iddio contra mia uoglia)
Che’l mio amato Romeo ſia giunto a morte,
E forſe io teco a piu ſpietata ſorte?
Ma ſe’l ualor ch’in te fu ſempre, hora hai,
Se uaga ſei de i ſoliti honor tuoi;
Saluar la fama almen diſponti homai,
Se pur la uita conſeruar non uoi,
Penſa quando ſiam qui colti coi rai
Del nouo Sol, che ſi dira dapoi?
Debito è ognihor di generoſo core
Prezzar, ſe non la uita, almen l’honore.
Deh allo uſcir fuor di queſta tomba oſcura
Per honor d’ambidue non eſſer ſchiua.
Non è coſa però ſi a creder dura
Che ſij ſtata in error ſepolta uiua,
Fia del morto Romeo ſol mia la cura.
Tutto farò perche tu figlia uiua.
E qual ſi puo uilta maggior udire,
Che mal grado del ciel uoler morire?
Deh non uoler perdendo il corpo, in preda
A Lucifero dar la immorta l’alma,
Alla piu degna parte il ſenſo ceda,
Qui ſta d’ogni opra tua la uera palma.
Spera ch’a te d’aiuto Iddio proueda
Per ſoſtener del tuo dolor la ſalma.
Viui a lui dedicando glianni tuoi,
Fin ch’ei ti chiami fra gli eletti ſuoi.
Con queſte, & altre in uan parole tenta
Perſuaderla il frate a reſtar uiua.
Riſpoſta indarno attende, e ſi ſpauenta
Veggendo lei ſi di conforto ſchiua.
A lui con faccia horribil s’appreſenta
Del ſuo fallir la pena. Ella ch’è priua
Di ſpeme, furibonda tutta uia
Pur cerca al ſuo morir trouar la uia.
Concetto dentro delle furie, il fuoco
Giulia colma di duol, di rabbia acceſa,
Di morir ferma, con languido, e fioco
Gemer s’accinge a coſi horrenda impreſa,
Volge i ſanguigni lumi, a ſceglier loco
Oue la morte non le ſia conteſa.
E ſeno a ſen congiunto, e faccia a faccia
Col morto ſpoſo ſuo, ſtretto l’abbraccia.
Mentre accoppiar i baci ultimi finge
Et al frate tutt’hor le ſpalle uolta,
Il ſuo Romeo con la ſiniſtra cinge
E tutta in ſe tien l’anima raccolta,
Con l’altra man chiude le labra, e ſtringe
Le nari ſi, ch’indi allo ſpirto tolta
La uia di ſtar per troppo ſpirto in uita,
Scoppia, e da inſieme al duol fine, e alla uita,
IL FINE.